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EDIZIONE STRAORDINARIA - Radio Radicale

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28<br />

AGENDA COSCIONI - <strong>EDIZIONE</strong> <strong>STRAORDINARIA</strong><br />

CAPITOLO 13<br />

Il mancato rispetto<br />

degli obblighi internazionali<br />

della repubblica italiana<br />

L’inottemperanza di precisi mandati parlamentari e di obblighi derivanti dall'adesione<br />

dell’Italia a trattati internazionali, nonché la massiccia violazione delle direttive<br />

comunitarie, comportano ritardi e boicottaggi di necessarie e urgenti riforme del diritto<br />

internazionale, oltre che ingenti costi a danno della collettività.<br />

Il combinato disposto degli articoli 10 e 11 della<br />

Costituzione sancisce la superiorità del diritto internazionale<br />

sul diritto interno, laddove dispone<br />

che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma<br />

alle norme del diritto internazionale generalmente<br />

riconosciute” e che l’Italia “consente, in condizioni<br />

di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di<br />

sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri<br />

la pace e la giustizia fra le Nazioni”. E’ in base<br />

a quest’ultima disposizione che, ad esempio, la<br />

normativa comunitaria prevale su quella interna e<br />

obbliga le istituzioni ad adeguare laddove necessario<br />

la disciplina interna a quella europea.<br />

Allo stesso modo, l’Italia è tenuta a dare esecuzione<br />

alle norme di diritto internazionale, sia generale<br />

che di origine pattizia. L’inadempienza italiana è<br />

clamorosa, ad esempio, nel caso della mancata inclusione,<br />

a distanza di vent’anni, del reato di tortura<br />

nel suo Codice Penale. E’ il 3 novembre 1988,<br />

infatti, che l'Italia autorizza la ratifica della Convenzione<br />

ONU contro la tortura e altre pene o<br />

trattamenti crudeli, inumani o degradanti. All'inizio<br />

del 2009, il Senato della Repubblica, a seguito<br />

del parere negativo del Governo (!) e malgrado il<br />

voto segreto, vota contro la proposta dei Radicali di<br />

porre fine a questo ulteriore vulnus legislativo di<br />

attuazione degli obblighi internazionali dell'Italia.<br />

Lotta alla fame nel<br />

mondo, un impegno<br />

tradito<br />

Nel 1979 un Rapporto delle Nazioni Unite prevede<br />

per l’anno successivo oltre 40 milioni di morti<br />

per fame e per denutrizione. Il documento denuncia<br />

anche il mancato adempimento, da parte dei<br />

paesi industrializzati, dell’impegno assunto al Palazzo<br />

di Vetro di destinare lo 0,7% del Prodotto Interno<br />

Lordo a programmi di cooperazione allo sviluppo.<br />

Già nel marzo del ’79 il Partito radicale lancia la<br />

“Campagna contro lo sterminio per fame nel<br />

mondo” che si protrae per anni con azioni nonviolente<br />

(marce, scioperi della fame e della sete) e iniziative<br />

istituzionali che coinvolgono parlamentari<br />

e personalità di tutto il mondo. Nel giugno del<br />

1981, viene lanciato l’Appello “contro la fame e<br />

per lo sviluppo” che viene sottoscritto da 113 Premi<br />

Nobel.<br />

Nell’agosto del 1981, su iniziativa dei parlamentari<br />

Radicali, il Parlamento italiano è convocato - per<br />

la prima volta nella sua storia e in via del tutto straordinaria<br />

– e approva una mozione che impegna<br />

il Governo a destinare a quello scopo 3.000 miliardi<br />

di lire, cifra che eleva di almeno dieci volte l’irrisorio<br />

stanziamento destinato alla cooperazione. In<br />

quelle stesse settimane, su iniziativa degli eurodeputati<br />

Radicali, il Parlamento europeo adotta una<br />

mozione sulla falsariga di quella italiana. Il documento<br />

viene sottoscritto dalla maggioranza assoluta<br />

dei parlamentari europei ed entra in vigore<br />

senza dover passare al vaglio del dibattito dell’aula.<br />

In esso si impegna la Commissione esecutiva e gli<br />

stati membri a destinare 5 milioni di Ecu (l’euro<br />

di allora) per 5 milioni di vite da salvare. Nel 1984<br />

il Parlamento italiano approva la “legge Piccoli”<br />

che istituisce il Fondo Aiuti Italiani contro la fame<br />

nel mondo prevedendo l'impiego di 1.900 miliardi<br />

di lire per un intervento straordinario contro la<br />

fame. Nel giro di 3 anni gli stanziamenti effettivamente<br />

decuplicano: il rapporto degli aiuti allo sviluppo<br />

rispetto al PIL passa così dallo 0,08% del<br />

1979, anno di inizio della campagna radicale, allo<br />

0,40% del 1986. L’iniziativa italiana provoca un<br />

effetto a catena e altri paesi europei aumentano i<br />

propri fondi alla cooperazione.<br />

Col passare degli anni, complice il silenzio mediatico,<br />

la percentuale di aiuti pubblici allo sviluppo<br />

torna alle percentuali degli anni ’70 toccando il minimo<br />

storico per un paese ricco nel 2006 con la<br />

percentuale dello 0,11% - al netto della cancellazione<br />

del debito pubblico dei paesi poveri. Ad oggi,<br />

l’Italia resta il paese meno generoso tra gli stati<br />

membri dell’Unione europea.<br />

Nel 1984, per reperire ulteriori fondi per la lotta<br />

alla fame nel mondo, all’interno delle norme del<br />

Concordato tra Stato e Chiesa cattolica che finanziano<br />

alcune denominazioni religiose attraverso il<br />

contributo volontario obbligatorio col meccanismo<br />

del cosiddetto “8x1000” sul gettito totale Irpef,<br />

si prevede l’opzione di finanziare lo Stato per<br />

scopi sociali o assistenziali tra i quali, appunto, la<br />

fame nel mondo. Nel 2004, ultimo anno con dati<br />

attendibili, il gettito complessivo dell’8x1000 è<br />

di circa 897 milioni di euro. Solo il 39,6% dei contribuenti<br />

esprime la propria scelta, e la somma corrispondente,<br />

355 milioni di euro, è distribuita tra<br />

i sette enti previsti dalla legge, tra cui lo Stato. Il<br />

60,4% non si pronuncia, ma la quota corrispondente<br />

dell'otto per mille, pari a 541 milioni di euro,<br />

è comunque ridistribuita proporzionalmente<br />

in base alle opzioni esplicitamente espresse. Lo Stato,<br />

che in 25 anni non ha mai fatto pubblicità sulle<br />

finalità del suo 8x1000, riceve circa 100 milioni<br />

di euro: sottratti gli 80 milioni di euro che a partire<br />

dalla finanziaria 2004 vengono trasferiti al bilancio<br />

generale, rimangono 20 milioni di euro, di<br />

cui solo 880.000 euro (il 4,44%) viene destinato<br />

dallo Stato alla “fame nel mondo”.<br />

L’Italia artefice della<br />

Corte Penale a livello<br />

internazionale ma non a<br />

livello interno<br />

Tra il ‘93 e il ‘94 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu<br />

crea i Tribunali Internazionali per i crimini commessi<br />

nella Ex-Jugoslavia e in Ruanda. Malgrado le<br />

risoluzioni istitutive obblighino gli Stati membri<br />

ad adoperarsi anche per la dotazione budgetaria<br />

dei tribunali ad hoc, l’Italia, uno dei paesi maggiormente<br />

convinti dell’impresa, non ottempera agli<br />

impegni assunti al Palazzo di Vetro, di fatto ritardandone<br />

l’avvio dei lavori.<br />

Nel luglio ’98, a conclusione di un processo pluriennale,<br />

si tiene a Roma la Conferenza diplomatica<br />

di plenipotenziari per l’istituzione della Corte<br />

Penale Internazionale, che si conclude con l’adozione<br />

dello Statuto della Corte che prende il nome<br />

della città ospite. Il 26 luglio 1999, l’Italia diviene<br />

il quarto paese a ratificare lo Statuto di Roma che<br />

ha giurisdizione su genocidio, crimini di guerra e<br />

contro l’umanità. Dopo dieci anni dalla decisione,<br />

il Governo italiano non provvede ancora ad adeguare<br />

le norme dell’ordinamento interno per la<br />

collaborare con la Corte. In virtù di ciò, nel caso<br />

in cui un ricercato della Cpi - ad esempio il Presidente<br />

del Sudan Al-Bashir recentemente incriminato<br />

dal Procuratore generale della Corte per i crimini<br />

commessi in Darfur - venga a trovarsi sul territorio<br />

italiano, il nostro Governo non sarebbe in<br />

grado di collaborare all’arresto e al trasferimento<br />

dell’imputato al tribunale dell’Aja.<br />

Vi è di più: non solo il Governo non ottempera<br />

con decreti legislativi agli obblighi derivanti dalla<br />

ratifica dello Statuto di Roma ma, a fronte della<br />

presenza di numerosi disegni di legge in materia,<br />

né i presidenti delle Commissioni parlamentari<br />

competenti, né il Governo concedono mai corsie<br />

preferenziali per recuperare la grave lacuna norma-

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