EDIZIONE STRAORDINARIA - Radio Radicale
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AGENDA COSCIONI - <strong>EDIZIONE</strong> <strong>STRAORDINARIA</strong><br />
CAPITOLO 13<br />
Il mancato rispetto<br />
degli obblighi internazionali<br />
della repubblica italiana<br />
L’inottemperanza di precisi mandati parlamentari e di obblighi derivanti dall'adesione<br />
dell’Italia a trattati internazionali, nonché la massiccia violazione delle direttive<br />
comunitarie, comportano ritardi e boicottaggi di necessarie e urgenti riforme del diritto<br />
internazionale, oltre che ingenti costi a danno della collettività.<br />
Il combinato disposto degli articoli 10 e 11 della<br />
Costituzione sancisce la superiorità del diritto internazionale<br />
sul diritto interno, laddove dispone<br />
che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma<br />
alle norme del diritto internazionale generalmente<br />
riconosciute” e che l’Italia “consente, in condizioni<br />
di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di<br />
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri<br />
la pace e la giustizia fra le Nazioni”. E’ in base<br />
a quest’ultima disposizione che, ad esempio, la<br />
normativa comunitaria prevale su quella interna e<br />
obbliga le istituzioni ad adeguare laddove necessario<br />
la disciplina interna a quella europea.<br />
Allo stesso modo, l’Italia è tenuta a dare esecuzione<br />
alle norme di diritto internazionale, sia generale<br />
che di origine pattizia. L’inadempienza italiana è<br />
clamorosa, ad esempio, nel caso della mancata inclusione,<br />
a distanza di vent’anni, del reato di tortura<br />
nel suo Codice Penale. E’ il 3 novembre 1988,<br />
infatti, che l'Italia autorizza la ratifica della Convenzione<br />
ONU contro la tortura e altre pene o<br />
trattamenti crudeli, inumani o degradanti. All'inizio<br />
del 2009, il Senato della Repubblica, a seguito<br />
del parere negativo del Governo (!) e malgrado il<br />
voto segreto, vota contro la proposta dei Radicali di<br />
porre fine a questo ulteriore vulnus legislativo di<br />
attuazione degli obblighi internazionali dell'Italia.<br />
Lotta alla fame nel<br />
mondo, un impegno<br />
tradito<br />
Nel 1979 un Rapporto delle Nazioni Unite prevede<br />
per l’anno successivo oltre 40 milioni di morti<br />
per fame e per denutrizione. Il documento denuncia<br />
anche il mancato adempimento, da parte dei<br />
paesi industrializzati, dell’impegno assunto al Palazzo<br />
di Vetro di destinare lo 0,7% del Prodotto Interno<br />
Lordo a programmi di cooperazione allo sviluppo.<br />
Già nel marzo del ’79 il Partito radicale lancia la<br />
“Campagna contro lo sterminio per fame nel<br />
mondo” che si protrae per anni con azioni nonviolente<br />
(marce, scioperi della fame e della sete) e iniziative<br />
istituzionali che coinvolgono parlamentari<br />
e personalità di tutto il mondo. Nel giugno del<br />
1981, viene lanciato l’Appello “contro la fame e<br />
per lo sviluppo” che viene sottoscritto da 113 Premi<br />
Nobel.<br />
Nell’agosto del 1981, su iniziativa dei parlamentari<br />
Radicali, il Parlamento italiano è convocato - per<br />
la prima volta nella sua storia e in via del tutto straordinaria<br />
– e approva una mozione che impegna<br />
il Governo a destinare a quello scopo 3.000 miliardi<br />
di lire, cifra che eleva di almeno dieci volte l’irrisorio<br />
stanziamento destinato alla cooperazione. In<br />
quelle stesse settimane, su iniziativa degli eurodeputati<br />
Radicali, il Parlamento europeo adotta una<br />
mozione sulla falsariga di quella italiana. Il documento<br />
viene sottoscritto dalla maggioranza assoluta<br />
dei parlamentari europei ed entra in vigore<br />
senza dover passare al vaglio del dibattito dell’aula.<br />
In esso si impegna la Commissione esecutiva e gli<br />
stati membri a destinare 5 milioni di Ecu (l’euro<br />
di allora) per 5 milioni di vite da salvare. Nel 1984<br />
il Parlamento italiano approva la “legge Piccoli”<br />
che istituisce il Fondo Aiuti Italiani contro la fame<br />
nel mondo prevedendo l'impiego di 1.900 miliardi<br />
di lire per un intervento straordinario contro la<br />
fame. Nel giro di 3 anni gli stanziamenti effettivamente<br />
decuplicano: il rapporto degli aiuti allo sviluppo<br />
rispetto al PIL passa così dallo 0,08% del<br />
1979, anno di inizio della campagna radicale, allo<br />
0,40% del 1986. L’iniziativa italiana provoca un<br />
effetto a catena e altri paesi europei aumentano i<br />
propri fondi alla cooperazione.<br />
Col passare degli anni, complice il silenzio mediatico,<br />
la percentuale di aiuti pubblici allo sviluppo<br />
torna alle percentuali degli anni ’70 toccando il minimo<br />
storico per un paese ricco nel 2006 con la<br />
percentuale dello 0,11% - al netto della cancellazione<br />
del debito pubblico dei paesi poveri. Ad oggi,<br />
l’Italia resta il paese meno generoso tra gli stati<br />
membri dell’Unione europea.<br />
Nel 1984, per reperire ulteriori fondi per la lotta<br />
alla fame nel mondo, all’interno delle norme del<br />
Concordato tra Stato e Chiesa cattolica che finanziano<br />
alcune denominazioni religiose attraverso il<br />
contributo volontario obbligatorio col meccanismo<br />
del cosiddetto “8x1000” sul gettito totale Irpef,<br />
si prevede l’opzione di finanziare lo Stato per<br />
scopi sociali o assistenziali tra i quali, appunto, la<br />
fame nel mondo. Nel 2004, ultimo anno con dati<br />
attendibili, il gettito complessivo dell’8x1000 è<br />
di circa 897 milioni di euro. Solo il 39,6% dei contribuenti<br />
esprime la propria scelta, e la somma corrispondente,<br />
355 milioni di euro, è distribuita tra<br />
i sette enti previsti dalla legge, tra cui lo Stato. Il<br />
60,4% non si pronuncia, ma la quota corrispondente<br />
dell'otto per mille, pari a 541 milioni di euro,<br />
è comunque ridistribuita proporzionalmente<br />
in base alle opzioni esplicitamente espresse. Lo Stato,<br />
che in 25 anni non ha mai fatto pubblicità sulle<br />
finalità del suo 8x1000, riceve circa 100 milioni<br />
di euro: sottratti gli 80 milioni di euro che a partire<br />
dalla finanziaria 2004 vengono trasferiti al bilancio<br />
generale, rimangono 20 milioni di euro, di<br />
cui solo 880.000 euro (il 4,44%) viene destinato<br />
dallo Stato alla “fame nel mondo”.<br />
L’Italia artefice della<br />
Corte Penale a livello<br />
internazionale ma non a<br />
livello interno<br />
Tra il ‘93 e il ‘94 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu<br />
crea i Tribunali Internazionali per i crimini commessi<br />
nella Ex-Jugoslavia e in Ruanda. Malgrado le<br />
risoluzioni istitutive obblighino gli Stati membri<br />
ad adoperarsi anche per la dotazione budgetaria<br />
dei tribunali ad hoc, l’Italia, uno dei paesi maggiormente<br />
convinti dell’impresa, non ottempera agli<br />
impegni assunti al Palazzo di Vetro, di fatto ritardandone<br />
l’avvio dei lavori.<br />
Nel luglio ’98, a conclusione di un processo pluriennale,<br />
si tiene a Roma la Conferenza diplomatica<br />
di plenipotenziari per l’istituzione della Corte<br />
Penale Internazionale, che si conclude con l’adozione<br />
dello Statuto della Corte che prende il nome<br />
della città ospite. Il 26 luglio 1999, l’Italia diviene<br />
il quarto paese a ratificare lo Statuto di Roma che<br />
ha giurisdizione su genocidio, crimini di guerra e<br />
contro l’umanità. Dopo dieci anni dalla decisione,<br />
il Governo italiano non provvede ancora ad adeguare<br />
le norme dell’ordinamento interno per la<br />
collaborare con la Corte. In virtù di ciò, nel caso<br />
in cui un ricercato della Cpi - ad esempio il Presidente<br />
del Sudan Al-Bashir recentemente incriminato<br />
dal Procuratore generale della Corte per i crimini<br />
commessi in Darfur - venga a trovarsi sul territorio<br />
italiano, il nostro Governo non sarebbe in<br />
grado di collaborare all’arresto e al trasferimento<br />
dell’imputato al tribunale dell’Aja.<br />
Vi è di più: non solo il Governo non ottempera<br />
con decreti legislativi agli obblighi derivanti dalla<br />
ratifica dello Statuto di Roma ma, a fronte della<br />
presenza di numerosi disegni di legge in materia,<br />
né i presidenti delle Commissioni parlamentari<br />
competenti, né il Governo concedono mai corsie<br />
preferenziali per recuperare la grave lacuna norma-