EDIZIONE STRAORDINARIA - Radio Radicale
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“LA PESTE ITALIANA” 11<br />
ducono i tempi della carcerazione preventiva (poi<br />
denominata eufemisticamente custodia cautelare)<br />
e sembrano, sotto la spinta dell’opinione pubblica,<br />
aprire la strada a una vera riforma della giustizia<br />
come dimostra la larghissima maggioranza<br />
popolare che approva nel 1988 il referendum sulla<br />
responsabilità civile dei magistrati.<br />
Le responsabilità<br />
dei politici e della<br />
corporazione dei<br />
magistrati<br />
Le resistenze della corporazione dei giudici unite<br />
alla debolezza della classe politica riescono però<br />
sempre a impedire ogni possibilità di riforma. Il referendum<br />
sulla responsabilità civile dei magistrati<br />
è di fatto annullato da una successiva legge del Parlamento<br />
firmata dal ministro della Giustizia di uno<br />
dei partiti – il Psi – che pure ha promosso il referendum.<br />
L’unica riforma realizzata, quella del Codice<br />
di procedura penale, non produce gli effetti sperati<br />
per il mancato adeguamento delle strutture giudiziarie<br />
al nuovo Codice e perché il rito accusatorio<br />
che esso ha introdotto non tollera i poteri eccezionali<br />
attribuiti alle procure e il conseguente squilibrio<br />
fra accusa e difesa.<br />
Tranne quello sulla responsabilità civile dei magistrati,<br />
poi vanificato da una legge del Parlamento,<br />
tutti gli altri tentativi di modificare la situazione<br />
per via referendaria sono o impediti dalle sentenze<br />
della Corte Costituzionale (è così per il referendum<br />
abrogativo dei reati d’opinione e di associazione<br />
previsti dal Codice Rocco, nel 1978, e per quello<br />
che abrogava il sistema proporzionale nella elezione<br />
dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura,<br />
nel 1988) o annullati, nonostante la vasta<br />
maggioranza conseguita, per il mancato raggiungimento<br />
del quorum del 50% dei votanti (è<br />
così per quelli , sugli incarichi extragiudiziari dei<br />
magistrati, sul sistema elettorale del Csm e sulla separazione<br />
del carriere nel 2000 quando il quorum<br />
non è raggiunto in presenza di una campagna<br />
astensionista promossa da Berlusconi che pure si<br />
dichiara d’accordo su quelle riforme, ma invita gli<br />
elettori a disertare le urne perché, una volta eletto,<br />
ci avrebbe pensato lui). Ugualmente vani sono i<br />
tentativi di procedere per via legislativa. La riforma<br />
del Codice Rocco è per trenta anni continuamente<br />
rinviata di Governo in Governo, di legislatura<br />
in legislatura, indipendentemente dalla composizione<br />
della maggioranze parlamentari nonostante<br />
il lavoro svolto dalle commissioni di volta in<br />
volta nominate dai diversi ministri.<br />
Conserviamo di conseguenza un codice di ispirazione<br />
autoritaria ma di grande qualità giuridica, alterato<br />
da una congerie di leggi e leggine eccezionali<br />
che ne peggiorano la qualità rendendolo ancora<br />
più autoritario. Quanto alla Giustizia civile, nonostante<br />
il suo evidente dissesto, la riforma del<br />
Codice del ‘42 non entra mai neppure nell’agenda<br />
politica e nei programmi dei diversi governi.<br />
Alle responsabilità politiche, poi, si contrappongono<br />
e sommano le responsabilità della magistratura<br />
associata e delle sue correnti che danno una<br />
interpretazione sempre più corporativa dell’autonomia<br />
dell’ordine giudiziario, interpretata come<br />
potere dello Stato chiuso in sé stesso, contro la lettera<br />
e lo spirito della Costituzione che invece la finalizza<br />
alla indipendenza di giudizio dei magistrati.<br />
Il Csm, oltre a divenire il principale sostenitore<br />
delle leggi e dei poteri speciali e di prassi più che<br />
discutibili nell’uso spregiudicato della legge sui<br />
pentiti, durante e dopo Tangentopoli da strumento<br />
di autonomia amministrativa e disciplinare<br />
e di consulenza nei rapporti con il Governo e<br />
con il Parlamento, si costituisce nella pratica in<br />
organo di vero e proprio contropotere nei confronti<br />
dei poteri esecutivo e legislativo. A questo si<br />
aggiunge l’invadente presenza di magistrati negli<br />
uffici legislativi di tutti i ministeri e l’occupazione<br />
di tutte le direzioni generali del ministero della<br />
Giustizia che di fatto limita o annulla la normale<br />
dialettica fra ministro della Giustizia e CSM e<br />
quella fra potere legislativo e ordine giudiziario.<br />
La Giustizia una grande<br />
e irrisolta questione<br />
sociale<br />
La crisi della Giustizia italiana diviene perciò una<br />
grande e irrisolta questione sociale. Un Paese senza<br />
Giustizia, con 9 milioni di processi pendenti<br />
fra civile e penale, e con il 90-95% di reati che restano<br />
impuniti per incapacità di individuarne gli<br />
autori, è un Paese che si condanna a vivere nella<br />
illegalità. La lentezza della giustizia civile ha gravissime<br />
ricadute sulla vita economica del paese e<br />
allontana gli investimenti stranieri. Occorrono<br />
oltre quattro anni in media per ottenere una sentenza<br />
in primo grado, una durata che può raddoppiare<br />
in caso di appello. Indipendentemente<br />
dall’esito formale del giudizio, questi tempi pregiudicano<br />
i diritti del creditore e avvantaggiano<br />
il debitore, premiano chi ha torto e puniscono chi<br />
ricorre alla giustizia per far valere il suo diritto e la<br />
sua ragione. Il rapporto Doing Business della<br />
Banca Mondiale, che misura l’indicatore di efficienza<br />
nella applicazione dei contratti in rapporto<br />
al funzionamento del sistema giudiziario, colloca<br />
l’Italia al 155mo posto fra 181 paesi.<br />
Le conseguenze che questo disordine normativo<br />
e giudiziario produce sul sistema penitenziario sono<br />
gravissime in termini di sovraffollamento,<br />
L’Italia senza<br />
Giustizia: con 9<br />
milioni di processi<br />
pendenti fra civile e<br />
penale, e con il 90-<br />
95% di reati che<br />
restano impuniti<br />
per incapacità di<br />
individuarne gli<br />
autori, è un Paese<br />
che si condanna a<br />
vivere nella illegalità.<br />
inumanità della pena, illegalità costituzionale (la<br />
Costituzione all’art.27 stabilisce che la pena non<br />
può essere contraria al senso di umanità e deve<br />
tendere alla rieducazione del condannato).<br />
E’ politicamente assai lontana quella “marcia per<br />
l’amnistia” del Natale del 2005, alla quale partecipano<br />
alcuni leader politici e anche l’attuale capo<br />
dello Stato. Se approvata, l’amnistia - oltre ad<br />
alleggerire la situazione già allora insostenibile del<br />
sistema penitenziario - eliminerebbe gran parte<br />
dell’arretrato e consentito al sistema giudiziario<br />
di riorganizzarsi e ripartire e al sistema politico di<br />
affrontare sul piano legislativo le necessarie riforme.<br />
Il Parlamento non ne ha il coraggio. Si approva<br />
l’indulto che allevia temporaneamente - solo<br />
temporaneamente - il sistema penitenziario ma<br />
continua a ingolfare la macchina giudiziaria costretta<br />
ad istruire processi sui quali l’indulto ha<br />
cancellato la pena e tenuto in vita il reato. Le riforme<br />
non si fanno. E si riprende ad affrontare<br />
con la solita logica dell’emergenza ogni nuovo<br />
problema sociale. Certo è più facile alimentare<br />
campagne demagogiche sulla sicurezza che riformare<br />
il sistema penale e civile. E’ più facile inasprire<br />
le pene e aumentare le tipologie di reato che<br />
realizzare e sperimentare quel giusto equilibrio fra<br />
reclusione e pene alternative che è da decenni in<br />
vigore negli altri paesi europei. E’ più facile riempire<br />
le carceri di tossicodipendenti. Ma per questa<br />
strada si amplia e non si restringe il perimetro<br />
della illegalità, non si danno risposte alla domanda<br />
di giustizia e a quella di sicurezza, si alimenta<br />
soltanto un clima di intolleranza e di giustizia<br />
sommaria contro il diverso e il più debole, si cancella<br />
la Costituzione e ci si allontana da quel modello<br />
di Stato di diritto che da almeno due secoli<br />
si è affermato in Europa.<br />
L’Italia è sempre fra gli Stati più condannati dalla<br />
Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo<br />
per violazioni della Convenzione europea sui<br />
diritti umani e in particolare dell’art. 6, che impone<br />
agli Stati di garantire una durata ragionevole<br />
dei processi. Il 37 per cento di tutte le sentenze di<br />
condanna da parte della Corte per inefficienza<br />
della giustizia è a carico dell'Italia.<br />
Nel 2008 la Corte emette 82 sentenze contro<br />
l’Italia (più che per qualsiasi altro Stato dell’Europa<br />
occidentale), delle quale 51 per la lentezza<br />
dei processi.<br />
Al 31 dicembre 2008 pendono presso la Corte<br />
4.200 casi riguardanti l’Italia, cioè il 4,3 per cento<br />
del totale (solo Russia, Turchia, Romania e<br />
Ucraina ne avevano un numero maggiore). Di tali<br />
casi, 2.600 sono per la durata eccessiva dei processi,<br />
materia per la quale l’Italia ha riportato 999<br />
condanne negli ultimi dieci anni. In tale periodo<br />
(1° novembre 1998 – 31 dicembre 2008), la Corte<br />
dichiara ammissibili 1.744 casi riguardanti<br />
l’Italia – un numero inferiore solo a quello dei casi<br />
riguardanti la Turchia.<br />
L'Italia è inoltre lo Stato con il maggior numero<br />
di sentenze di condanna della Corte europea di<br />
Strasburgo non eseguite sul piano interno: 2.467<br />
su un totale di 3.544 casi pendenti dinanzi al Comitato<br />
dei Ministri del Consiglio d’Europa.<br />
Il numero dei procedimenti contro l’Italia a Strasburgo<br />
sarebbe ancora più alto se il 18 aprile<br />
2001 non fosse entrata in vigore la Legge 89 (detta<br />
‘Legge Pinto’), che impone di richiedere un indennizzo<br />
per l’eccessiva durata dei processi attraverso<br />
il ricorso a una Corte di Appello italiana invece<br />
che alla Corte europea. Paradossalmente, anche<br />
i tempi di questi ricorsi sono però solitamente<br />
più lunghi di quelli previsti dalla legge e gli indennizzi<br />
sono a volte incongrui, fornendo nuove<br />
ragioni per ricorrere a Strasburgo.<br />
Ancora nel marzo 2009, il Comitato dei Ministri<br />
del Consiglio d'Europa richiama l'Italia a risolvere<br />
il problema strutturale dell'eccessiva durata<br />
delle procedure giudiziarie nei processi civili,<br />
penali e amministrativi. Il Comitato inoltre invita<br />
ad adottare urgentemente misure ad hoc per<br />
ridurre il numero di cause pendenti davanti ai tribunali<br />
e a rivedere la legge Pinto creando un fondo<br />
speciale per i risarcimenti e semplificando le<br />
procedure per ottenerli.<br />
Nel solo 2008 gli indennizzi ai cittadini per la<br />
lentezza dei processi, in base alla legge Pinto, costano<br />
allo Stato oltre 32 milioni di euro.