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EDIZIONE STRAORDINARIA - Radio Radicale

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18<br />

AGENDA COSCIONI - <strong>EDIZIONE</strong> <strong>STRAORDINARIA</strong><br />

CAPITOLO 8<br />

Una lettura alternativa degli<br />

anni neri della repubblica<br />

“Il sistema dei partiti entra in crisi negli anni ’60, intanto con le lotte per i diritti civili. (...)<br />

Negli anni ’70, la solidarietà nazionale è un rigurgito esistenziale del sistema dei partiti<br />

che si mette complessivamente contro la società, il pluralismo nella società; e,<br />

utilizzando poi anche l’emergenza del terrorismo,...” (Rino Formica, più volte Ministro<br />

socialista, a <strong>Radio</strong> <strong>Radicale</strong> nell’aprile 2009).<br />

Elezioni anticipate:<br />

i Radicali bruciano<br />

i certificati elettorali<br />

(1972)<br />

Nel corso degli anni ’70, il processo di erosione della<br />

democrazia italiana conosce una fase di forte accelerazione.<br />

L’unanimismo consociativo nelle<br />

commissioni parlamentari ne è la più evidente riprova.<br />

Il 1972 è l’anno delle prime elezioni anticipate,<br />

il 1974 è l’anno di introduzione del finanziamento<br />

pubblico dei partiti. Il processo di saldatura<br />

del “monopartitismo imperfetto” diventa esplicito<br />

e formale nella stagione della cosiddetta “unità<br />

nazionale” (1976-79) con i monocolori Dc di<br />

Giulio Andreotti . Il 1978 è anche l’anno del sequestro<br />

e dell’assassinio di Aldo Moro.<br />

All’inizio del ‘72 il nuovo capo dello Stato Giovanni<br />

Leone incarica Andreotti di formare il governo.<br />

Invece di verificare l’esistenza di una maggioranza<br />

parlamentare, egli forma un monocolore Dc che<br />

giura subito ed entra in carica. Di fronte al Parlamento,<br />

il primo governo Andreotti non ottiene la<br />

fiducia. A quel punto – per la prima volta nella storia<br />

della Repubblica - vengono sciolte le Camere e<br />

si va alle elezioni anticipate.<br />

Il paradosso di un governo che pur non avendo<br />

mai ottenuto la fiducia del Parlamento, resta in carica<br />

per gestire le elezioni politiche, rappresenta fatto<br />

nuovo e grave. Il motivo reale per il quale si<br />

giunge alla decisione inedita di anticipare le elezioni,<br />

è che per la prima volta i partiti si trovano a<br />

fronteggiare una nuova “minaccia”: il referendum<br />

sul divorzio. La legge che introduce il referendum<br />

è del 1970, nel ’71 una serie di comitati clericali<br />

raccoglie le firme per abrogare la legge Fortuna-Baslini.<br />

La consultazione popolare è vista come il fumo<br />

negli occhi dalle segreterie dei partiti, che la<br />

considerano una pericolosa “spaccatura del Paese”,<br />

cioè un disturbo rispetto alle loro manovre di palazzo.<br />

In particolare il referendum, voluto dal Vaticano<br />

e dai clericali, è inviso ai partiti della sinistra<br />

tradizionale, che lo temono. I capi socialisti sono<br />

ansiosi di tornare al governo con la Dc, i vertici del<br />

Pci puntano alla strategia del compromesso storico,<br />

che verrà esplicitata l’anno dopo. Piuttosto del<br />

“rischio” del referendum, cioè di dare la parola agli<br />

italiani, preferiscono forzare la Costituzione, sciogliere<br />

il Parlamento, indire elezioni anticipate e rinviare<br />

quanto più possibile la consultazione popolare.<br />

Così, con un’interpretazione strumentale delle<br />

norme, il referendum viene rinviato non di un anno,<br />

bensì di due: si terrà infatti nel 1974.<br />

Alle elezioni, i partiti non rappresentati in Parlamento<br />

sono esclusi dall’informazione televisiva e<br />

condannati all’emarginazione. A fronte di queste e<br />

altre illegalità. i Radicali decidono di dare vita a una<br />

forma di disobbedienza civile: bruceranno pubblicamente<br />

i loro certificati elettorali. In Italia, nel<br />

1972 votare è obbligatorio. Chi si sottrae a questo<br />

“dovere” incorre nei rigori della legge. Bruciare i<br />

certificati elettorali e istigare all’astensione è un reato,<br />

Marco Pannella sarà per questo processato da<br />

un Tribunale della Repubblica. Verrà assolto nel<br />

1975, e grazie a questo processo le norme in questione<br />

saranno abrogate o modificate.<br />

L’inganno del cosiddetto<br />

“arco costituzionale”<br />

Ai tanti italiani che non si riconoscono nel cosiddetto<br />

“arco costituzionale” e che vogliono superarne<br />

l’immobilismo, i Radicali offrono nella<br />

primavera del ‘74 gli “Otto referendum contro il<br />

Regime”. Al progetto aderisce un ampio arco di<br />

personalità, che comprende i socialisti Loris Fortuna<br />

e Giorgio Fenoaltea, l’ex presidente della<br />

Corte costituzionale Giuseppe Branca; Norberto<br />

Bobbio, Giorgio Benvenuto, Elena Croce,<br />

Bruno de Finetti, Vittorio Foa, Elio Giovannini,<br />

decine di altri politici, intellettuali, sindacalisti.<br />

Aderiscono anche i maggiori gruppi della sinistra<br />

extra-parlamentare e decine di comunità<br />

cristiane di base. Parallelamente si svolge la campagna<br />

per il referendum sul divorzio. Gli extraparlamentari<br />

si ritirano dall’iniziativa di raccolta<br />

firme sugli otto referendum, sostenendo che è<br />

prioritaria la battaglia per la difesa del divorzio; i<br />

Radicali viceversa pensano di difendere il divorzio<br />

conquistando nuovi spazi di diritto e di libertà,<br />

abrogando le leggi fasciste e autoritarie che<br />

trent’anni di “democrazia” non hanno cancellato.<br />

Da soli, esclusi dai mezzi di comunicazione,<br />

i militanti radicali raccolgono circa 150mila firme<br />

autenticate: un risultato ancora insufficiente.<br />

I Radicali si mobilitano sul fronte dell’informazione.<br />

Chiedono alla Rai-Tv due trasmissioni di<br />

15 minuti riservate alla Lid e al prete del dissenso<br />

don Giovanni Franzoni; un’udienza con il<br />

Presidente della Repubblica Leone; alla proprietà<br />

de “Il Messaggero” di rispettare la linea laica<br />

assunta dal quotidiano nel referendum sul divorzio;<br />

al Parlamento di calendarizzare il pdl Fortuna<br />

sull’aborto, il diritto di voto ai diciottenni e<br />

la riforma del diritto di famiglia.<br />

Marco Pannella e un gruppo di militanti iniziano<br />

il 3 maggio un digiuno che si protrae – salvo<br />

brevi interruzioni – per circa novanta giorni. Si<br />

organizzano a Roma le “Dieci giornate contro la<br />

Giorgiana Masi:<br />

dopo tre decenni, nessuna verità<br />

L’ipotesi prospettata per l’ennesima volta nel 2005 dall’ex Presidente della Repubblica<br />

Francesco Cossiga, che Giorgiana Masi possa essere stata colpita da<br />

“fuoco amico”, cioè da “colpi vaganti sparati da dimostranti” riapre un caso<br />

- in realtà mai chiuso - dopo 28 anni.<br />

L’episodio risale al 12 maggio 1977. A Roma, durante una manifestazione musicale<br />

organizzata dal Partito radicale in piazza Navona nel terzo anniversario della vittoria<br />

nel referendum sul divorzio, una giornata di festa si trasforma in tragedia. Sull’asfalto<br />

di ponte Garibaldi resta una ragazza di 19 anni, Giorgiana Masi, uccisa da un colpo<br />

di pistola. L’inchiesta viene chiusa il 9 maggio 1981 dal giudice<br />

Claudio D’Angelo con la dichiarazione di non luogo a procedere. I<br />

responsabili del reato sono rimasti ignoti, malgrado la riapertura del<br />

caso sia stata più volte sollecitata.<br />

Le foto dimostrano il fatto, smentito in un primo tempo, che nelle<br />

strade hanno operato agenti delle forze dell’ordine in borghese, travestiti<br />

da facinorosi. L’allora ministro dell’interno Francesco Cossiga<br />

afferma in seguito: “Fu un momento drammatico, in cui tra l’altro<br />

chiesi scusa al Parlamento, perché mi era stato detto che non vi erano<br />

in piazza agenti di polizia o carabinieri in borghese. Io affermai<br />

questo. Avendo appreso il contrario, quando gli amici de “L`Espresso”<br />

mi diedero la documentazione fotografica, rimossi dal suo incarico<br />

uno che era mio amico e che mi aveva fornito, non per colpa<br />

sua, queste informazioni. Poi andai in Parlamento e chiesi scusa”.<br />

Si parla anni dopo anche della possibile responsabilità di personaggi<br />

dell’estrema destra o dell’estrema sinistra. Il “pentito” di destra<br />

Angelo Izzo dice nel ‘97 che a sparare è stato Andrea Ghira, usando<br />

le armi in possesso del gruppo eversivo “Drago”, di cui fa parte. L’anno<br />

dopo un quotidiano parla di un rapporto della Digos secondo<br />

cui il colpo mortale sarebbe partito da una pistola calibro 22, poi<br />

trovata in un covo delle Br. Ma la verità non verrà mai alla luce.<br />

Nel 2001, ancora Cossiga dice: “Non vorrei essere frainteso, ma io<br />

dico con estrema onestà che come sia morta Giorgiana Masi non lo<br />

so”. Nel 2003, a “Report”, Cossiga fa capire di sapere qualcosa: “Non<br />

l`ho mai detto all’autorità giudiziaria e non lo dirò mai, è un dubbio<br />

che un magistrato e funzionari di polizia mi insinuarono. Se avessi<br />

preso per buono ciò che mi avevano detto, sarebbe stata una cosa tragica.<br />

Ecco, io credo che questo non lo dirò mai se mi dovessero chiamare<br />

davanti all’autorità giudiziaria, perché sarebbe una cosa molto<br />

dolorosa”. In quegli stessi giorni, l’ex presidente della Commissione<br />

stragi Giovanni Pellegrino, parlando dell’argomento, ricorda che<br />

“Pannella venne a trovarmi e mi diede una traccia, che io purtroppo<br />

non ho potuto seguire fino in fondo. La vicenda rimase un po’ fuori<br />

dai nostri accertamenti”. Ma “le affermazioni di Cossiga - ha aggiunto<br />

Pellegrino - confermano il quadro che ci ha fatto Pannella. Io<br />

credo che già allora si volesse creare in Italia una situazione che poi si determinò nel<br />

biennio 92-93”.

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