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EDIZIONE STRAORDINARIA - Radio Radicale

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30<br />

AGENDA COSCIONI - <strong>EDIZIONE</strong> <strong>STRAORDINARIA</strong><br />

CAPITOLO 14<br />

La negazione del diritto<br />

alla conoscenza<br />

L’avvento della Repubblica per lungo tempo non produce mutamenti nella disciplina<br />

della radiodiffusione voluta dal regime fascista, imperniata sulla riserva allo Stato<br />

dell’attività radiotelevisiva e sul penetrante controllo politico circa l’assetto societario ed<br />

i contenuti dei programmi. Nell’Italia repubblicana, il controllo del consenso e del<br />

dissenso continua a essere assicurato principalmente attraverso il controllo del mezzo<br />

radiotelevisivo, in continuità con l’uso che il fascismo fece della radio e del cinema.<br />

Dall’Eiar a Raiset<br />

Una immutabilità segnata persino dalla continuità<br />

giuridica, oltre che delle strutture e del personale<br />

giornalistico, della concessionaria unica Rai rispetto<br />

all’Eiar, l’Ente italiano per le audizioni radiofoniche<br />

cui il fascismo ha riservato l’attività radiofonica.<br />

Occorre aspettare il 1974 per vedere cancellato, sia<br />

pure parzialmente, il monopolio statale delle trasmissioni<br />

radiotelevisive, in virtù di due sentenze<br />

della Corte costituzionale che aprono il settore alle<br />

televisioni estere e a quelle via cavo. E’ lo stesso<br />

Presidente della Corte costituzionale, Francesco<br />

Paolo Bonifacio, in un articolo pubblicato sul Corriere<br />

della sera a due mesi dalla cessazione della sua<br />

funzione, a dare atto al Partito <strong>Radicale</strong> di aver<br />

contribuito a creare - attraverso la mobilitazione<br />

popolare intorno alla petizione contro il decreto<br />

Togni, che smantella i ripetitori delle tv estere, e alla<br />

raccolta firme per un referendum abrogativo delle<br />

norme del Codice postale che vietano le tv via<br />

cavo, purché si limitino all'ambito locale - il clima<br />

e le condizioni che spingono la Corte ad approvare<br />

quelle sentenze rivoluzionarie che porteranno al<br />

superamento del “monopolio pubblico” dell'informazione,<br />

per realizzare il “servizio pubblico”.<br />

Comincia così il periodo delle radio libere in tutta<br />

Italia e, quasi subito, la comparsa anche delle prime<br />

televisioni private. L’entrata in scena di alcuni editori<br />

(Rusconi, Rizzoli, Mondadori) proiettano le<br />

televisioni oltre la dimensione locale (con accorgimenti<br />

tecnici che <strong>Radio</strong> <strong>Radicale</strong> è una delle prime<br />

a mettere in atto nel campo radiofonico).<br />

La sentenza della Corte, dal valore dirompente ma<br />

transitorio, mette in moto un processo che occorre<br />

però regolare per legge. Gli orfani del monopolio<br />

Rai (i sindacati dei giornalisti radiotelevisivi,<br />

molti intellettuali di sinistra, i partiti di opposizione,<br />

una parte consistente della Dc che ha controllato<br />

fino ad allora il servizio pubblico) impediscono<br />

che questa legge si faccia, adottando un atteggiamento<br />

di boicottaggio e di difesa degli equilibri<br />

esistenti.<br />

A beneficiare più di tutti dell’assenza di una nuova<br />

regolamentazione del sistema televisivo, mentre<br />

contemporaneamente aggira la normativa esistente,<br />

è Silvio Berlusconi. La posizione di monopolio<br />

della Fininvest nel settore privato, viene dapprima<br />

consentita di fatto, quindi ratificata a più riprese<br />

dalla partitocrazia: prima con il baratto del 1985,<br />

del quale si rende protagonista anche il Pci (che ottiene<br />

il controllo di Rai 3 in cambio del salvataggio<br />

alle reti di Berlusconi) poi a più riprese, con le leggi<br />

“Mammì” (1990), “Maccanico” (1997), “Gasparri”<br />

(2003). Di pari passo anche la Rai viene occupata<br />

dai partiti e “privatizzata” a loro uso e consumo,<br />

attraverso la lottizzazione<br />

Una convergenza di interessi partitocratici che prosegue<br />

fino a oggi, nonostante la spinta a favore della<br />

concorrenza proveniente dall’Unione europea.<br />

Il 15 giugno 2002 il Parlamento europeo ha approvato<br />

una mozione nella quale esprime preoccupazione<br />

“per la situazione in Italia, dove la gran<br />

parte dei media e del mercato della pubblicità è<br />

controllato in forme diverse dalla stessa persona”,<br />

situazione che “potrebbe costituire una grave violazione<br />

dei diritti fondamentali a norma dell’articolo<br />

7 del Trattato dell’Unione europea modificato<br />

dal Trattato di Nizza”. A ciò si aggiungono le reiterate<br />

sentenze della Corte costituzionale, di cui il<br />

caso “Europa 7” - emittente privata titolare di concessione<br />

ma priva di frequenze perché occupate illegalmente<br />

da una delle tre emittenti Mediaset – è<br />

significativa del mantenimento contra legem da<br />

parte della Rai di tre reti e della raccolta pubblicitaria.<br />

Nel gennaio 2008 la Corte di Giustizia dà ragione<br />

ad Europa 7, sentenziando che il regime delle<br />

frequenze in Italia è “contrario al diritto comunitario”.<br />

In tal modo, il tanto declamato pluralismo della<br />

comunicazione – pubblica e privata – finisce per<br />

rispecchiare, salvo poche e poco rilevanti eccezioni,<br />

il “pluralismo” interno al sistema dei partiti, affidando<br />

alla mediazione dei loro apparati burocratici<br />

finanziati dallo Stato la gestione della comunicazione.<br />

Nel frattempo, in sessant'anni non è mai<br />

avvenuto un ricambio generazionale dei dirigenti<br />

e dei giornalisti della concessionaria pubblica.<br />

La sistematica<br />

ed impunita violazione<br />

delle regole<br />

dell’informazione<br />

politica<br />

Nel primo periodo della Repubblica non esiste regola<br />

che disciplini l’informazione e la propaganda<br />

politica attraverso il mezzo radiotelevisivo.<br />

A parte l’immediato dopoguerra, quando la radio<br />

pubblica è caratterizzata da un dibattito politico<br />

vivace, contraddistinto da personalità e da temi anche<br />

anticonformisti (come quelli trattati nel dibattito<br />

pressoché giornaliero che si teneva nella rubrica<br />

radiofonica “Il convegno dei cinque”), ben presto<br />

la rottura dei governi del Cln - dovuta alla scelta<br />

atlantica ed europea della Repubblica italiana -<br />

riporta l’informazione politica sotto il rigido controllo<br />

del Governo, escludendo dal confronto non<br />

solo i partiti di opposizione (il Pci, il Psi di allora, il<br />

Msi) ma in gran parte anche gli alleati laici dei governi<br />

democristiani.<br />

L’assenza di regole sull’informazione falsa palesemente<br />

le competizioni elettorali: nel 1958 il Partito<br />

radicale ed il Partito repubblicano, presenti alle<br />

elezioni politiche con liste comuni, devono rivolgersi<br />

al Presidente della Repubblica per denunciare<br />

la loro totale esclusione dall’informazione elettorale.<br />

La situazione, nonostante l’entrata in scena della<br />

televisione a metà degli anni ‘50, si protrae fino al<br />

1963 quando, a seguito di una sentenza della Corte<br />

costituzionale del 1960, i partiti di opposizione<br />

riescono a ottenere vere e proprie tribune elettorali,<br />

con dibattiti e conferenze stampa trasmesse dalla<br />

Rai dalle quali però sono escluse le forze politiche<br />

non rappresentate in Parlamento. I partiti del<br />

regime si assicurano così l'utilizzazione monopolistica<br />

della radio e della televisione, escludendone<br />

rigorosamente tutte le forze nuove che potrebbero<br />

in qualche modo turbare o concorrere a modificare<br />

gli equilibri, insieme immobili e logori,<br />

della vita politica italiana.<br />

Gli anni successivi, grazie alle lotte del Partito radicale,<br />

sono caratterizzati dalla progressiva conquista<br />

di regole che restaurano presupposti minimi<br />

per la validità della consultazione elettorale.<br />

Nel 1968 e nel 1972 il Partito radicale denuncia<br />

l’illegalità delle elezioni politiche, decidendo di<br />

non presentare propri candidati e di invitare gli<br />

elettori a votare scheda bianca, e in pochi anni si<br />

ottiene, attraverso forti iniziative nonviolente e<br />

giudiziarie, una serie di storiche riforme: l’accesso<br />

alle tribune politiche dei partiti non rappresentati<br />

in Parlamento; la garanzia dell’equal time per<br />

tutti i competitori elettorali; il sorteggio dell’ordine<br />

di intervento; l’accesso alle tribune dei rappresentanti<br />

dei Comitati promotori dei referendum<br />

(ottenuto in occasione del referendum sul<br />

divorzio dopo 78 giorni di digiuno di Marco Pannella).<br />

Sempre grazie a uno sciopero della fame e poi della<br />

sete di Marco Pannella, alle elezioni politiche<br />

del 1976 viene riconosciuto per la prima volta il<br />

principio della “riparazione” per soggetti politici<br />

cui è stato illegittimamente impedito l’accesso.<br />

Da quel momento, la Rai e la Commissione parlamentare<br />

di vigilanza pongono in essere un'opera<br />

di smantellamento delle tribune, spostandole<br />

in fasce orarie di scarso ascolto, riducendone il<br />

tempo complessivo e adottando format che sterilizzano<br />

le tribune rendendole prive di interesse.<br />

In breve tempo le tribune televisive passano da<br />

un ascolto medio di 19 milioni di telespettatori<br />

nel 1976 al milione e mezzo del 1986, ulteriormente<br />

dimezzatosi nel corso degli anni.<br />

Contemporaneamente, dinanzi all'importanza<br />

assunta dalle consultazioni referendarie, gli spazi<br />

di accesso sono contratti, negando la peculiarità<br />

del Comitato promotore e diluendone la<br />

presenza con l'ammissione paritaria di decine di<br />

altri soggetti, tra partiti e comitati, ivi inclusi gli<br />

astensionisti.<br />

Ottenuta la sostanziale eliminazione della possibilità<br />

per i cittadini di conoscere il dibattito politico<br />

secondo regole democratiche , a partire<br />

dalla seconda metà degli anni ‘80 si verifica lo<br />

spostamento della comunicazione politica nei<br />

programmi di intrattenimento, sottratti a qualsiasi<br />

vincolo regolamentare e controllati nelle<br />

conduzioni, così come i telegiornali, dalla lottizzazione<br />

partitocratica della Rai. Quando il legislatore<br />

completa il vuoto di regole per i programmi<br />

di informazione, l'applicazione della legge<br />

viene demandata a organismi di garanzia privi di<br />

adeguati poteri cogenti e comunque incapaci di<br />

assolvere le loro funzioni.<br />

Alle elezioni del 2000, a seguito di una denuncia<br />

Dal 2000 a oggi<br />

non v'è<br />

competizione<br />

elettorale o<br />

referendaria senza<br />

che l' Autorità<br />

garante accerti<br />

ugualmente gravi<br />

violazioni della par<br />

condicio da parte<br />

dei programmi Rai<br />

e Mediaset.<br />

della Lista Bonino, l'Autorità per le garanzie nelle<br />

comunicazioni con la storica delibera n.<br />

70/00/CSP riconosce che Porta a Porta - il principale<br />

talk show politico, definito la “terza Camera<br />

del Parlamento italiano”- durante la campagna<br />

elettorale è un programma di comunicazione<br />

politica mascherato da informazione e che<br />

pertanto favorisce arbitrariamente alcuni partiti<br />

. Immediatamente, con i successivi regolamenti,<br />

la Commissione parlamentare di vigilanza interviene<br />

- in contrasto alla lettera della legge<br />

28/2000 e potendo contare sull'inappellabilità<br />

dei propri atti affermata dalla giurisprudenza<br />

amministrativa – per “legalizzare” i comportamenti<br />

in precedenza considerati una violazione<br />

della par condicio.<br />

Gli anni seguenti sono segnati dalla costante violazione<br />

della legge 28/2000 , in primo luogo attraverso<br />

regolamenti di attuazione volti a limitare<br />

l'accesso alla televisione dei soggetti politici alternativi<br />

alle due coalizioni Polo e Ulivo. Dal<br />

2000 a oggi non v'è competizione elettorale o referendaria<br />

senza che l' Autorità garante accerti<br />

ugualmente gravi violazioni della par condicio<br />

da parte dei programmi Rai e Mediaset. In questo<br />

contesto, nel 2000 vengono vietati gli spot<br />

televisivi, cioè l'unico strumento che si è rivelato<br />

efficace per il successo di forze politiche alternative,<br />

altrimenti non conoscibili dagli elettori. La<br />

sistematica violazione delle regole che disciplinano<br />

il sistema radiotelevisivo è possibile solo<br />

grazie all'impunità assicurata dal rifiuto sistematico<br />

dell'esercizio dell'attività giurisdizionale<br />

contro chi ha realizzato – dall’interno e dai massimi<br />

livelli dell'organizzazione della informazione<br />

e della comunicazione – veri e propri attentati<br />

ai diritti politici dei cittadini. Le iniziative

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