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l'opinione

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il gastronautainfo@gastronauta.itA me non mi piacee faceva la sua comparsa troneggiando come un bene prezioso”(Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose). La generazione cheattualmente è compresa fra i 35-50 anni può essere invece etichettatacon il classico “si beve meno, si beve meglio”. Si può anche aggiungereche hanno cominciato a considerare il vino come bevanda e non piùcome alimento. Completamente diversa è la faccia della medaglia dellenuove generazioni che individuano nei rossi e nei bianchi una bevandacome le altre e non hanno una cultura familiare e di branco comenel passato. Queste generazioni non vivono la tavola come momentoaffettivo (coppie separate, mamma che lavora e non cucina), anzila maggior parte dei pranzi e cene li vivono in branco o da soli:occasioni in cui il vino non è presente e con il quale non entranoin contatto. Sempre in queste generazioni, quasi sempre, mancal’appartenenza al territorio, il legame con le origini e con la culturalocale, di cui il vino con le sue rappresentazioni fa parte. Cosa si puòfare? Difficile avere una ricetta vincente, ma sicuramente la diffusionedella cultura materiale, di cui il vino fa parte può in qualche modoaiutare. Così la storia della nascita del vino e il suo sviluppo attraversole diverse civiltà, il racconto del percorso del vino, delle tante varietàdei vitigni che affollano i territori italiani… Sarà sempre più importantefar capire che bere un vino significa “introitare” (come scrive ItaloCalvino) un territorio: sostanziale differenze da trangugiare unabevanda che non ha una Chiesa né una Bandiera (Primo Levi).Purtroppo all’orizzonte si profilaun nuovo problema per laristorazione in fatto di vini(e di carta dei vini): ilconsumatore-bevitore hascoperto il mal di testa e conesso i solfiti e, di conseguenzachiede a gran vocei vini che ne fanno a meno!Questo trend sempre piùsull’onda crea non pochiproblemi alla ristorazione chedeve aggiornare al più presto lapropria offerta dei vini persoddisfare una domanda semprepiù asfittica. Dunque nuoviinvestimenti, quando appuntoil consumatore bevedi meno, e le bottiglie in cantina“riposano” tranquille.È davvero singolare che questogrido d’allarme sui solfitisia piombato improvvisamente.Viene da chiedersi: ma primail mal di testa o questa ricercadi salubrità non c’era? Il sospettoè che forse la domandadi non impiegare solfiti siaarrivata soprattutto da noimedia, quindi una domandacreata, piuttosto che generatadalla necessità.9

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