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Ecoideare Maggio Giugno N29

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L’ ESTETICA<br />

E’ LA MADRE DELL’ETICA<br />

di Franco Cirone<br />

“Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché l’estetica è la madre dell’etica. Le categorie di<br />

«buono» e «cattivo» sono, in primo luogo e soprattutto categorie estetiche che precedono le categorie del «bene» e del «male».<br />

In etica non «tutto è permesso» proprio perché non «tutto è permesso» in estetica, perché il numero dei colori nello spettro<br />

solare è limitato. Il bambinello che piange e respinge la persona estranea che, al contrario, cerca di accarezzarlo, agisce istintivamente<br />

e compie una scelta estetica, non morale.<br />

La scelta estetica è una faccenda strettamente individuale, e l’esperienza estetica è sempre un’esperienza privata. Ogni nuova<br />

realtà estetica rende ancora più privata l’esperienza individuale; e questo tipo di privatezza, che assume a volte la forma del<br />

gusto (letterario o d’altro genere), può già di per sé costituire se non una garanzia, almeno un mezzo di difesa contro l’asservimento.<br />

Infatti un uomo che ha gusto, e in particolare gusto letterario, è più refrattario ai ritornelli e agli incantesimi ritmici<br />

propri della demagogia politica in tutte le sue versioni. Il punto non è tanto che la virtù non costituisce una garanzia per la<br />

creazione di un capolavoro: è che il male,e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista. Quanto più ricca è l’esperienza<br />

estetica di un individuo, quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero<br />

- anche se non necessariamente più felice - sarà lui stesso. Proprio in questo senso- in senso applicato piuttosto che platonico-<br />

dobbiamo intendere l’osservazione di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo, o l’affermazione di Matthew<br />

Arnold che la poesia ci salverà. Probabilmente è troppo tardi per salvare il mondo, ma per l’individuo singolo rimane sempre<br />

una possibilità. Nell’uomo l’istinto estetico si sviluppa con una certa rapidità, poiché una persona, anche se non si rende ben<br />

conto di quello che è e di quello che le è davvero necessario, sa istintivamente quello che non le piace e quello che non le si<br />

addice. In senso antropologico, ripeto, l’essere umano è una creatura estetica prima che etica. L’arte perciò, e in particolare la<br />

letteratura, non è un sottoprodotto dell’evoluzione della nostra specie, bensì proprio il contrario. Se ciò che ci distingue dagli<br />

altri rappresentanti del regno animale è la parola, allora la letteratura - e in particolare la poesia, essendo questa la forma più<br />

alta dell’espressione letteraria - è, per dire le cose fino in fondo, la meta della nostra specie” (1)<br />

Il concetto di gusto estetico, di cui parla Brodskij richiama<br />

alla mente quello di sapere fare qualcosa mediante e a partire<br />

dalle percezioni sensibili, dalla nostra corporeità, dalle nostre<br />

esperienze e dai nostri retaggi. Quindi il gusto estetico,<br />

l’estetica come madre delle nostre decisioni etiche ci riguarda<br />

da vicino, in ogni momento. L’estetica trascendentale (oggetto<br />

sensibile della conoscenza) e i giudizi estetici (oggetto sensibile<br />

del gusto) si trovano qui riuniti e mescolati in richiami e racconti<br />

sempre autoconoscitivi.<br />

La percezione estetica è anche una buona metafora per dire del<br />

nostro modo di essere e di soggiornare nel mondo, la cui natura<br />

è essenzialmente di essere-avere una mente incorpata, di<br />

essere-avere un corpo-che-pensa, che insieme sentono e danno<br />

un senso, nell’incontro-col-mondo, a quello che incontrano. Per<br />

dare senso occorre essere nella sensibilità (e nella disposizione)<br />

di cogliere un mondo, che solo a partire dal sentirlo, prenderlo<br />

su di sé, intrattenersi con lui, lo si può incontrare. Incontrare<br />

un mondo è innanzitutto incontrare il mondo dell’altro, perlopiù<br />

sconosciuto, ma non così dissimile dal mio, da non poterlo<br />

comprendere e conoscere. Pretenderlo, invece (ingenuamente),<br />

di trovarlo come sovrapposto, quasi-identico al mio è non volere<br />

vedere il mondo, che nel linguaggio, che noi siamo e usiamo, da<br />

cui siamo costituiti, opera per differenza e nella differenza e costruisce,<br />

costituisce mondi. Non vivendo-abitando la differenza<br />

può sfumare l’opportuna distanza, necessaria, per la conoscenza,<br />

alimentando il desiderio (de-sidera) che ci fa raggiungere qualcosa<br />

un pò distante da noi, un po’ più in là per essere còlto,<br />

conosciuto, vissuto.<br />

Conoscere è sinonimo di sapere, di competenza, di pratica e di<br />

esperienza. Solo se desideriamo voler sapere, conoscere, avere<br />

esperienza della vita e del mondo, di noi e degli altri, possiamo<br />

dire di vivere e possiamo davvero fare esperienza, cioè sperimentare,<br />

praticare la vita. Incontrare esteticamente ed eticamente<br />

il mondo dell’altro è incontrare nel medesimo istante il mondo,<br />

anche e soprattutto, dell’altro da me, delle parti sconosciute di<br />

me, che non conosco, ma che mi determinano sempre e in modo<br />

decisivo. L’incontro con l’altro (con gli altri), è potere essere, e<br />

mettersi, nella possibilità di immedesimarsi con lui (con loro),<br />

sentire insieme (co-sentire) le emozioni che stiamo sentendo e<br />

vivendo. Siamo sempre in una certa tonalità emotiva e in una<br />

determinata disposizione, in una inclinazione percettiva particolare,<br />

dunque in uno stare e fare estetico, ineluttabilmente. La<br />

pratica del vedere le cose del mondo, come cose vive per noi, e<br />

di poterle incorpare, dentro la nostra corporeità sensibile, con un<br />

atto intenzionale di allargamento dei limiti imposti dai confini<br />

corporei, è fare dialogare, con la nostra individualità personale,<br />

un mondo, che raggiunto da noi emerge con noi nel-mondo-della-vita.<br />

Il mondo così costituito vive di cose in modo vivo, reso<br />

vivo dal nostro volontario ed inevitabile accoppiamento mimetico<br />

(e strutturale) con lui, carico di senso e di significato, rendendo<br />

l’atto percettivo e il contatto con le cose una faccenda<br />

estetica ed etica. Etica per l’abito di cui si riveste l’azione percettiva-sensibile,<br />

estetica, che vuole percepire nuovamente in altro<br />

modo, non anonimo, quello che incontra. Un costume visionario<br />

allora ricopre il corpo-pensante nell’esercizio dinamico di cogliere<br />

alcune particolari forme del mondo e accoppiarsi in modo<br />

privilegiato con loro. Forme che strutturano un contenuto denso<br />

e plastico, così tipicamente umano, da rendere le cose pulsanti<br />

nel intrecciarsi con noi in un rimando reticolare e circolare,<br />

che costituisce in ogni momento la nostra soggettività e la base<br />

dell’intersoggettività, nello stare con gli altri. Nella percezione<br />

estetica, nel costume estetico, nella pratica etica di sentire e percepire<br />

il mondo c’è il nucleo del nostro percepirci e del nostro<br />

esserci. Rimandati indietro dal mondo ritorniamo a noi ri-vestiti<br />

dell’abito etico dell’incontro estetico. Ecco, andare verso di noi,<br />

verso l’intimo di noi è una pratica estetica ed etica, che la nostra<br />

cultura e il nostro sapere, il nostro fare ed essere può accogliere,<br />

interiorizzare, non rimuovere.<br />

L’etica, informata e fondata dal sapere estetico diventa eminentemente<br />

una pratica di trasformazione interiore, una intima,<br />

decisiva, pratica trasformativa, una metànoia, un cambio radicale<br />

di atteggiamento verso noi-stessi, verso gli altri e verso le<br />

cose del mondo. Diventa filosofia pratica, teoresi e prassi insieme,<br />

cammino di conoscenza. Tra le cose del mondo, troviamo i<br />

presupposti non sempre visti, poiché intimi e vicini, i concetti<br />

consolidati, a volte scontati, su cui siamo invitati e chiamati a<br />

riflettere nuovamente e potere far calare, dentro la nostra vita,<br />

l’azione rivoluzionaria della pratica trasformativa etica, “la quale<br />

possa servire a porre radicalmente in dubbio ed eventualmente<br />

dissolvere, la convinzione ben radicata dell’esistenza di un<br />

mondo separato da noi”, dai nostri sguardi, dalle nostre teoresi<br />

e modi di pensare, dal nostro fare e aver fatto esperienze, pensandoci<br />

ancorati dentro una centralità dell’io.<br />

Fare è anche pensare, agire è anche riflettere. Osservare,<br />

guardare è creare e produrre. Chi contempla un tavolo lo fa, è un<br />

ebanista. Chi ammira un quadro è anche pittore. Sono partecipi<br />

dello stesso campo di possibilità, trascendentale, dell’esperienza<br />

estetica, dove teoria e pratica co-emergono nel mondo del significato<br />

e si appartengono. Le cose che incontriamo nel mondo<br />

emergono all’interno di condizioni di possibilità e necessità già<br />

date, per cui ci troviamo in una situazione e in una dimensione<br />

di prefigurazione a priori di quello che incontriamo nella nostra<br />

esperienza. Nell’incontrare le cose siamo in anticipo su di esse,<br />

sull’incontro che avverrà, come se avvenisse già un po’ prima<br />

di quando pensiamo che avvenga. L’incontro è un avvenimento<br />

preannunciato, precompresso e anticipato, un risultato dato<br />

in anticipo, secondo uno spettro e un campo di possibilità precostituite.<br />

La conoscenza è (anche) un riconoscere le cose che<br />

vediamo, che vengono alla luce, che si manifestano a noi come<br />

fenomeno, come apparizione di senso. Il fenomeno è quello che<br />

appare, che si rivela e manifesta alla luce dell’esperienza.<br />

Non c’è alcun fenomeno se non c’è qualcuno, cioè noi, che lo<br />

possa vedere, che abbia lo sguardo per cogliere e vedere il mondo<br />

delle cose che ci appaiono, il mondo dei fenomeni. Le cose<br />

che appaiono alla luce, che diventano visibili per noi sono le<br />

cose estetiche del mondo, sono gli oggetti della conoscenza,<br />

sono il soggetto che noi siamo. Possiamo vedere le cose e vederci<br />

solo se siamo vedenti. La visione è possibile a partire dal<br />

soggetto che vuole vedere, è solo per un soggetto che sa vedere,<br />

che quindi assiste alla visione di una cosa decisa e anticipata<br />

come visibile, all’interno del campo visionario e trascendentale<br />

dell’esperienza. Nel campo dell’esperienza, all’interno della forma<br />

e del contenuto in cui si rivela.<br />

L’etica della parola estetica e il corpo della mente<br />

L’educazione al gusto è un abito, un etica particolare e generale<br />

del fare. Coinvolge incessantemente la nostra possibilità di stare<br />

al mondo umanamente e consapevolmente. L’umanità dell’uomo<br />

è non solo avere umanità per gli altri, ma essere un’umanità<br />

che sa davvero che, essere-in-un-certo-modo, ne va del suo avere<br />

umanità. Possiamo essere umani, essere etici, cioè essere nei<br />

comportamenti, nelle azioni, nei pensieri, nella parola, capaci di<br />

abitare il mondo, di stare-al-mondo umanamente, essere persone<br />

sensibili (estetiche), solo quando la nostra sensibilità, la nostra<br />

aistesis (la nostra estetica) è coinvolta e messa in gioco ogni<br />

istante, nei giorni e negli anni, da noi stessi.<br />

Quando, cioè, siamo in grado di indagare i presupposti non visti,<br />

non facilmente visibili e anche inconsapevoli, che ci determi<br />

STILI DI VITA<br />

ecoIDEARE - <strong>Maggio</strong> / <strong>Giugno</strong> 2015<br />

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