You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
L’ ESTETICA<br />
E’ LA MADRE DELL’ETICA<br />
di Franco Cirone<br />
“Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché l’estetica è la madre dell’etica. Le categorie di<br />
«buono» e «cattivo» sono, in primo luogo e soprattutto categorie estetiche che precedono le categorie del «bene» e del «male».<br />
In etica non «tutto è permesso» proprio perché non «tutto è permesso» in estetica, perché il numero dei colori nello spettro<br />
solare è limitato. Il bambinello che piange e respinge la persona estranea che, al contrario, cerca di accarezzarlo, agisce istintivamente<br />
e compie una scelta estetica, non morale.<br />
La scelta estetica è una faccenda strettamente individuale, e l’esperienza estetica è sempre un’esperienza privata. Ogni nuova<br />
realtà estetica rende ancora più privata l’esperienza individuale; e questo tipo di privatezza, che assume a volte la forma del<br />
gusto (letterario o d’altro genere), può già di per sé costituire se non una garanzia, almeno un mezzo di difesa contro l’asservimento.<br />
Infatti un uomo che ha gusto, e in particolare gusto letterario, è più refrattario ai ritornelli e agli incantesimi ritmici<br />
propri della demagogia politica in tutte le sue versioni. Il punto non è tanto che la virtù non costituisce una garanzia per la<br />
creazione di un capolavoro: è che il male,e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista. Quanto più ricca è l’esperienza<br />
estetica di un individuo, quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero<br />
- anche se non necessariamente più felice - sarà lui stesso. Proprio in questo senso- in senso applicato piuttosto che platonico-<br />
dobbiamo intendere l’osservazione di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo, o l’affermazione di Matthew<br />
Arnold che la poesia ci salverà. Probabilmente è troppo tardi per salvare il mondo, ma per l’individuo singolo rimane sempre<br />
una possibilità. Nell’uomo l’istinto estetico si sviluppa con una certa rapidità, poiché una persona, anche se non si rende ben<br />
conto di quello che è e di quello che le è davvero necessario, sa istintivamente quello che non le piace e quello che non le si<br />
addice. In senso antropologico, ripeto, l’essere umano è una creatura estetica prima che etica. L’arte perciò, e in particolare la<br />
letteratura, non è un sottoprodotto dell’evoluzione della nostra specie, bensì proprio il contrario. Se ciò che ci distingue dagli<br />
altri rappresentanti del regno animale è la parola, allora la letteratura - e in particolare la poesia, essendo questa la forma più<br />
alta dell’espressione letteraria - è, per dire le cose fino in fondo, la meta della nostra specie” (1)<br />
Il concetto di gusto estetico, di cui parla Brodskij richiama<br />
alla mente quello di sapere fare qualcosa mediante e a partire<br />
dalle percezioni sensibili, dalla nostra corporeità, dalle nostre<br />
esperienze e dai nostri retaggi. Quindi il gusto estetico,<br />
l’estetica come madre delle nostre decisioni etiche ci riguarda<br />
da vicino, in ogni momento. L’estetica trascendentale (oggetto<br />
sensibile della conoscenza) e i giudizi estetici (oggetto sensibile<br />
del gusto) si trovano qui riuniti e mescolati in richiami e racconti<br />
sempre autoconoscitivi.<br />
La percezione estetica è anche una buona metafora per dire del<br />
nostro modo di essere e di soggiornare nel mondo, la cui natura<br />
è essenzialmente di essere-avere una mente incorpata, di<br />
essere-avere un corpo-che-pensa, che insieme sentono e danno<br />
un senso, nell’incontro-col-mondo, a quello che incontrano. Per<br />
dare senso occorre essere nella sensibilità (e nella disposizione)<br />
di cogliere un mondo, che solo a partire dal sentirlo, prenderlo<br />
su di sé, intrattenersi con lui, lo si può incontrare. Incontrare<br />
un mondo è innanzitutto incontrare il mondo dell’altro, perlopiù<br />
sconosciuto, ma non così dissimile dal mio, da non poterlo<br />
comprendere e conoscere. Pretenderlo, invece (ingenuamente),<br />
di trovarlo come sovrapposto, quasi-identico al mio è non volere<br />
vedere il mondo, che nel linguaggio, che noi siamo e usiamo, da<br />
cui siamo costituiti, opera per differenza e nella differenza e costruisce,<br />
costituisce mondi. Non vivendo-abitando la differenza<br />
può sfumare l’opportuna distanza, necessaria, per la conoscenza,<br />
alimentando il desiderio (de-sidera) che ci fa raggiungere qualcosa<br />
un pò distante da noi, un po’ più in là per essere còlto,<br />
conosciuto, vissuto.<br />
Conoscere è sinonimo di sapere, di competenza, di pratica e di<br />
esperienza. Solo se desideriamo voler sapere, conoscere, avere<br />
esperienza della vita e del mondo, di noi e degli altri, possiamo<br />
dire di vivere e possiamo davvero fare esperienza, cioè sperimentare,<br />
praticare la vita. Incontrare esteticamente ed eticamente<br />
il mondo dell’altro è incontrare nel medesimo istante il mondo,<br />
anche e soprattutto, dell’altro da me, delle parti sconosciute di<br />
me, che non conosco, ma che mi determinano sempre e in modo<br />
decisivo. L’incontro con l’altro (con gli altri), è potere essere, e<br />
mettersi, nella possibilità di immedesimarsi con lui (con loro),<br />
sentire insieme (co-sentire) le emozioni che stiamo sentendo e<br />
vivendo. Siamo sempre in una certa tonalità emotiva e in una<br />
determinata disposizione, in una inclinazione percettiva particolare,<br />
dunque in uno stare e fare estetico, ineluttabilmente. La<br />
pratica del vedere le cose del mondo, come cose vive per noi, e<br />
di poterle incorpare, dentro la nostra corporeità sensibile, con un<br />
atto intenzionale di allargamento dei limiti imposti dai confini<br />
corporei, è fare dialogare, con la nostra individualità personale,<br />
un mondo, che raggiunto da noi emerge con noi nel-mondo-della-vita.<br />
Il mondo così costituito vive di cose in modo vivo, reso<br />
vivo dal nostro volontario ed inevitabile accoppiamento mimetico<br />
(e strutturale) con lui, carico di senso e di significato, rendendo<br />
l’atto percettivo e il contatto con le cose una faccenda<br />
estetica ed etica. Etica per l’abito di cui si riveste l’azione percettiva-sensibile,<br />
estetica, che vuole percepire nuovamente in altro<br />
modo, non anonimo, quello che incontra. Un costume visionario<br />
allora ricopre il corpo-pensante nell’esercizio dinamico di cogliere<br />
alcune particolari forme del mondo e accoppiarsi in modo<br />
privilegiato con loro. Forme che strutturano un contenuto denso<br />
e plastico, così tipicamente umano, da rendere le cose pulsanti<br />
nel intrecciarsi con noi in un rimando reticolare e circolare,<br />
che costituisce in ogni momento la nostra soggettività e la base<br />
dell’intersoggettività, nello stare con gli altri. Nella percezione<br />
estetica, nel costume estetico, nella pratica etica di sentire e percepire<br />
il mondo c’è il nucleo del nostro percepirci e del nostro<br />
esserci. Rimandati indietro dal mondo ritorniamo a noi ri-vestiti<br />
dell’abito etico dell’incontro estetico. Ecco, andare verso di noi,<br />
verso l’intimo di noi è una pratica estetica ed etica, che la nostra<br />
cultura e il nostro sapere, il nostro fare ed essere può accogliere,<br />
interiorizzare, non rimuovere.<br />
L’etica, informata e fondata dal sapere estetico diventa eminentemente<br />
una pratica di trasformazione interiore, una intima,<br />
decisiva, pratica trasformativa, una metànoia, un cambio radicale<br />
di atteggiamento verso noi-stessi, verso gli altri e verso le<br />
cose del mondo. Diventa filosofia pratica, teoresi e prassi insieme,<br />
cammino di conoscenza. Tra le cose del mondo, troviamo i<br />
presupposti non sempre visti, poiché intimi e vicini, i concetti<br />
consolidati, a volte scontati, su cui siamo invitati e chiamati a<br />
riflettere nuovamente e potere far calare, dentro la nostra vita,<br />
l’azione rivoluzionaria della pratica trasformativa etica, “la quale<br />
possa servire a porre radicalmente in dubbio ed eventualmente<br />
dissolvere, la convinzione ben radicata dell’esistenza di un<br />
mondo separato da noi”, dai nostri sguardi, dalle nostre teoresi<br />
e modi di pensare, dal nostro fare e aver fatto esperienze, pensandoci<br />
ancorati dentro una centralità dell’io.<br />
Fare è anche pensare, agire è anche riflettere. Osservare,<br />
guardare è creare e produrre. Chi contempla un tavolo lo fa, è un<br />
ebanista. Chi ammira un quadro è anche pittore. Sono partecipi<br />
dello stesso campo di possibilità, trascendentale, dell’esperienza<br />
estetica, dove teoria e pratica co-emergono nel mondo del significato<br />
e si appartengono. Le cose che incontriamo nel mondo<br />
emergono all’interno di condizioni di possibilità e necessità già<br />
date, per cui ci troviamo in una situazione e in una dimensione<br />
di prefigurazione a priori di quello che incontriamo nella nostra<br />
esperienza. Nell’incontrare le cose siamo in anticipo su di esse,<br />
sull’incontro che avverrà, come se avvenisse già un po’ prima<br />
di quando pensiamo che avvenga. L’incontro è un avvenimento<br />
preannunciato, precompresso e anticipato, un risultato dato<br />
in anticipo, secondo uno spettro e un campo di possibilità precostituite.<br />
La conoscenza è (anche) un riconoscere le cose che<br />
vediamo, che vengono alla luce, che si manifestano a noi come<br />
fenomeno, come apparizione di senso. Il fenomeno è quello che<br />
appare, che si rivela e manifesta alla luce dell’esperienza.<br />
Non c’è alcun fenomeno se non c’è qualcuno, cioè noi, che lo<br />
possa vedere, che abbia lo sguardo per cogliere e vedere il mondo<br />
delle cose che ci appaiono, il mondo dei fenomeni. Le cose<br />
che appaiono alla luce, che diventano visibili per noi sono le<br />
cose estetiche del mondo, sono gli oggetti della conoscenza,<br />
sono il soggetto che noi siamo. Possiamo vedere le cose e vederci<br />
solo se siamo vedenti. La visione è possibile a partire dal<br />
soggetto che vuole vedere, è solo per un soggetto che sa vedere,<br />
che quindi assiste alla visione di una cosa decisa e anticipata<br />
come visibile, all’interno del campo visionario e trascendentale<br />
dell’esperienza. Nel campo dell’esperienza, all’interno della forma<br />
e del contenuto in cui si rivela.<br />
L’etica della parola estetica e il corpo della mente<br />
L’educazione al gusto è un abito, un etica particolare e generale<br />
del fare. Coinvolge incessantemente la nostra possibilità di stare<br />
al mondo umanamente e consapevolmente. L’umanità dell’uomo<br />
è non solo avere umanità per gli altri, ma essere un’umanità<br />
che sa davvero che, essere-in-un-certo-modo, ne va del suo avere<br />
umanità. Possiamo essere umani, essere etici, cioè essere nei<br />
comportamenti, nelle azioni, nei pensieri, nella parola, capaci di<br />
abitare il mondo, di stare-al-mondo umanamente, essere persone<br />
sensibili (estetiche), solo quando la nostra sensibilità, la nostra<br />
aistesis (la nostra estetica) è coinvolta e messa in gioco ogni<br />
istante, nei giorni e negli anni, da noi stessi.<br />
Quando, cioè, siamo in grado di indagare i presupposti non visti,<br />
non facilmente visibili e anche inconsapevoli, che ci determi<br />
STILI DI VITA<br />
ecoIDEARE - <strong>Maggio</strong> / <strong>Giugno</strong> 2015<br />
11