You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
VIVIR BIEN<br />
O VIVIR MEJOR?<br />
di Dario Sonetti<br />
Da quando il sistema nervoso si è evoluto nella nostra<br />
specie in un cervello che ha permesso di esprimere<br />
l’autocoscienza, la consapevolezza del primo uomo fu<br />
di essere parte di qualcosa molto più grande di lui. Da<br />
qui la meraviglia ma anche la paura che ha cercato di dominare<br />
con l’idea e la conseguente azione che tutto fosse sottomettibile<br />
a lui, compresi i suoi simili.<br />
Questa è la storia meravigliosa e tragica dell’uomo.<br />
Sicuramente non siamo un fine ma la conseguenza di una casualità<br />
e di una necessità che una visione biologica ha oggi ben chiara.<br />
Dall’epoca di Galileo la scienza ha ridimensionato la presenza<br />
ed il ruolo dell’uomo nell’universo ma ciò non è bastato a toglierci<br />
l’illusione di poter essere i padroni e dominatori, almeno<br />
sul nostro pianeta. Chi spadroneggia e domina lo può fare solo<br />
a detrimento di altri e l’uomo l’ha fatto nei confronti dei diversi<br />
esseri e del suo oikos, la casa comune.<br />
Perché una specie autocosciente, forse l’unica sul nostro pianeta,<br />
non è in grado prevedere e agire conseguentemente per evitare<br />
alcuni esiti nefasti delle sue azioni?<br />
Sembra che nel nostro cervello abbiano avuto successo evolutivo<br />
due tendenze, entrambe con un importante significato adattativo<br />
di sopravvivenza, ma purtroppo in contrasto tra di loro.<br />
La prima escogita il modo per far sopravvivere al meglio il<br />
singolo individuo, che per avere successo e quindi sopravvivere<br />
e procreare deve “egoisticamente” pensare a sé stesso in una<br />
visione temporale a breve termine.<br />
Questa tendenza dà sicuramente dei vantaggi immediati al singolo<br />
ma può penalizzare fortemente la sua stessa sopravvivenza<br />
e quella della sua specie nel lungo termine. Vi è poi la tendenza<br />
in contrasto alla precedente, presente anch’essa in tutti noi, perché<br />
adattativamente vantaggiosa, ma in altri termini, di essere<br />
individui che devono “condividere con altri”,e in senso lato,<br />
partecipare con tutto ciò che li circonda. Questo può essere non<br />
premiante in prima istanza, ma lo diventa sicuramente nel lungo<br />
termine garantendo l’esistenza nel futuro almeno della specie,<br />
ma con l’imprescindibile condizione di garantire la vita anche<br />
a tutti gli esseri viventi e all’ecosistema che li ospita. Se abbiamo<br />
sviluppato i sentimenti dell’amore, della compassione,<br />
dell’altruismo, del rispetto è perché, oltre a farci star bene, ci<br />
offrono un vantaggio di sopravvivenza. Ecco allora la dicotomia<br />
che “cova” in tutti noi: essere egoisti garantendoci il meglio per<br />
le nostre singole brevi vite o essere capaci di concretizzare nei<br />
fatti la tendenza spontanea che abbiamo a tener conto degli altri<br />
e delle risorse limitate del sistema chiuso in cui viviamo in modo<br />
che tutti ne possano trarre giovamento e stare bene, comprese le<br />
future generazioni? Questa due tendenze venivano già espresse<br />
in qualche forma nella filosofia greca come ricerca del benessere<br />
edonistico, legato al soddisfacimento dei piaceri principalmente<br />
materiali e come benessere “eudemonico” in cui lo star<br />
bene è la capacità di realizzare sé stessi tenendo conto degli altri<br />
e del mondo in cui si vive, producendo su questi effetti benefici.<br />
In altra forma questa bivalenza viene espressa nella cosmovisione<br />
indigena latinoamericana che contrappone un virtuoso “bien<br />
vivir” al più deleterio “vivir mejor” che loro additano a nostra<br />
scelta di uomini occidentali che ha portato il mondo sull’orlo di<br />
una possibile catastrofe.<br />
Dovremmo essere coscienti di questa convivenza difficile che<br />
battaglia con un carico diverso entro ciascuno di noi. La selezione<br />
naturale sicuramente premia alla fine ciò che garantisce un<br />
successo di sopravvivenza nel lungo termine e quindi potremmo<br />
ottimisticamente pensare che stiamo evolutivamente muovendoci<br />
verso l’”uomo nuovo” auspicato da tanti, ma la peculiarità del<br />
cervello umano ha introdotto una nuova variabile, la tecnologia,<br />
un potentissimo strumento per lo sviluppo della sua società ma<br />
che ha premiato nella realtà dei fatti, la parte egoistica dell’uomo<br />
e che ha tempi tanto rapidi da non permettere una corretta<br />
assimilazione e suo controllo dal nostro alter ego virtuoso. In<br />
altre parole, la fatidica pistola nelle mani di un bambino. Questa<br />
è la tremenda minaccia che pende su di noi a mò di spada di<br />
Damocle.<br />
Una scelta che vada in una direzione o un’altra possiamo attuarla<br />
concretamente ogni giorno della nostra vita introducendo la<br />
consapevolezza nel valore delle cose e dei sentimenti. Se più<br />
persone lo faranno, si potrebbe raggiungere la famosa “massa<br />
critica” che determinerà il cambiamento, auspicabilmente prima<br />
che sia troppo tardi. ■<br />
CONSAPEVOLEZZA E<br />
RESPONSABILITÀ DEL PROGETTARE<br />
E DEL PRODURRE<br />
di Rodrigo Rodriquez<br />
Si, come mi ha detto Nicoletta Cova,<br />
è l’uomo nuovo che può salvare il pianeta.<br />
Dunque, forse le prossime generazioni?<br />
Annoto qui un piacevole episodio che sembrerebbe confermarlo.<br />
Sabato 7 Dicembre, Campus della Facoltà di Ingegneria e Tecnologia<br />
della St. Joseph University, Dar es Salaam, Tanzania,<br />
Cerimonia della GRADUATION. Sono invitato come honour<br />
guest, in quanto presidente dell’Associazione Ruvuma Trust<br />
che ha realizzato un Ospedale in quel Paese.<br />
617 studenti (circa metà cattolici e metà musulmani) ricevono:<br />
● la Laurea, 4 anni di studio, 415 (341 ragazzi e 74 ragazze);<br />
● il Diploma, 2 anni di studio, 112 (95 ragazzi e 17 ragazze);<br />
● il Certificato, 1 anno di studio, 41 (31 ragazzi e 10 ragazze):<br />
Gli studenti sono chiamati uno per uno e, ordinatamente, si pongono<br />
in file, attentamente rispettando le crocette in gesso sul pavimento<br />
di asfalto. Ad alta voce - 617 voci giovani e forti danno<br />
luogo ad un armonioso boato - recitano il Giuramento di Fedeltà<br />
(Oath of Allegiance), articolato in tre capitoli: professione e Patria,<br />
ordine e sviluppo sociale, impegno ecologico;<br />
trascrivo questo:<br />
In quanto cittadini istruiti ci impegniamo a proteggere Madre<br />
Terra dal riscaldamento globale, dalla deforestazione, dalla<br />
contaminazione delle risorse naturali, e a mantenere questo<br />
mondo come un luogo abitabile per le generazioni future.<br />
Cito ora due fatti che mostrerebbero come si stia diffondendo<br />
(mi si lasci essere ottimista) la consapevolezza che chi ha la responsabilità<br />
del progettare – i designers - e del produrre – le<br />
aziende - devono darsi carico di proteggere la natura.<br />
I designers. La Dichiarazione degli Industrial Designers al Congresso<br />
ICSID, Seoul 2001 contiene questa solenne affermazione:<br />
Noi, in quanto industrial designers globali, cercheremo la<br />
via dello sviluppo sostenibile coordinando i diversi aspetti che<br />
influiscono sul suo conseguimento quali economia, cultura,<br />
tecnologia e ambiente.<br />
Le aziende. Nel Febbraio del 2013 la FLOS, produttrice dal 1991<br />
di un prodotto di successo, la lampada Miss Sissi disegnata da<br />
Philippe Starck, fino ad allora realizzata in policarbonato, plastica<br />
che in acqua marina impiega circa 400 anni per decomporsi, ha<br />
proposto al mercato in una co-produzione con la bio-on (azienda<br />
produttrice di polimeri PLA) la commercializzazione della stessa<br />
lampada realizzata in plastica biodegradabile in acqua, un biopolimero<br />
ricavato dagli scarti della barbabietola da zucchero, che ha<br />
il grande pregio di decomporsi in 10 giorni.<br />
Ai rapporti tra design e sviluppo sostenibile sono attento sin da<br />
quando, membro dell’Advisory Committee della piccola nobile<br />
Arango Design Foundation, avendo contribuito alla mostra Re(f)<br />
use lanciata a Miami, ne organizzai nel Novembre 1997, ospitata<br />
in la Triennale, di Milano, la versione mostra Ri-usi, Curatrice<br />
Tamara Molinari, progetto dell’allestimento Marco Ferreri,con il<br />
patrocinio del Ministero dell’Ambiente.<br />
Nell’introduzione scrivevo Ri-usi si propone di mostrare come<br />
il design – inteso come processo che dall’idea arriva al prodotto<br />
– sappia creare dal vecchio una generazione di nuovi beni di<br />
consumo durevoli, di stimolare il progetto della metamorfosi, di<br />
darsi carico della conservazione dell’energia, di assumere l’ecologia<br />
come variabile centrale del progettare. Ma, anche, Ri-usi<br />
”omaggio alla tradizione italiana, che dalla limitatezza delle risorse,<br />
quando non dalla povertà traeva stimolo per recuperare,<br />
per conservare ridando valore, grazie all’italico miscuglio tra<br />
opportunismo e genialità.”<br />
Sono ottimista, anche perchè i messaggi che leggo sulla rivista<br />
<strong>Ecoideare</strong> edita da Rinenergy, sono, oltre che pieni di energia,<br />
positivamente contagiosi. ■<br />
STILI DI VITA<br />
8<br />
ecoIDEARE - <strong>Maggio</strong> / <strong>Giugno</strong> 2015<br />
9