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La Freccia Marzo 2020

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COLLEZIONISTI<br />

Gemma De Angelis Testa nel suo appartamento a fianco all'opera di<br />

Armando Testa, Sedia Antropomorfa, 1976, e di Ed Ruscha, IF, 1995<br />

© Barbara Corsico<br />

Gemma Testa mi sorprende e mi sommerge fin dalle<br />

prime battute della nostra intervista, un fiume in piena<br />

dove fluttuano la sua storia personale e le sue idee molto<br />

nette sull’arte. «Il mio amore per lei risale a quando<br />

ero piccola: in casa non c’erano giocattoli, bensì molti<br />

libri dedicati ai grandi pittori della storia. L’arte contemporanea<br />

è arrivata dopo, quando a 20 anni conobbi mio<br />

marito Armando Testa, maestro eccezionale nell’avvicinarmi<br />

a questo universo nuovo e sorprendente. Posso<br />

dire che galeotti sono stati la laguna di Venezia e l’amore<br />

per l’arte che condividevamo e che ci ha accompagnato<br />

per il resto della nostra vita insieme», esordisce.<br />

Subito però precisa: «Mio marito non era, tuttavia, un<br />

collezionista: era un artista a tutto tondo. Il più artista<br />

tra i pubblicitari e il più anomalo tra gli artisti. Il disegno<br />

occupava quasi interamente il suo tempo e lui non desiderava<br />

essere distratto da altre immagini sulle pareti.<br />

Gli piaceva essere contornato da muri bianchi, come<br />

fossero dei fogli da disegno, su cui poter dipingere. Pertanto<br />

la nostra casa di Torino era un loft, molto scenografico<br />

ma povero di pareti, con grandi vetrate su tutti<br />

e quattro i lati del palazzo. Avevamo la sensazione di<br />

essere dentro un acquario, il panorama della città con<br />

le sue colline, il suo cielo spazzato via dal vento, in certi<br />

momenti era limpido e stellato, ed entrava nella nostra<br />

abitazione senza bisogno d’altro».<br />

Quale è stato il primo artista contemporaneo che ha<br />

scelto di inserire nella sua collezione?<br />

Si tratta di un acquisto che avvenne molto prima di<br />

cominciare la mia attività di collezionista: un’opera di<br />

Cy Twombly del 1962, The Vengeance of Achilles, nella<br />

quale ritrovai la mia passione giovanile per l’eroe<br />

omerico. All’epoca, nei primi anni ‘80, ero molto radicale,<br />

amavo quasi esclusivamente Lucio Fontana, Piero<br />

Manzoni, Robert Ryman e Cy Twombly, che ancora oggi<br />

rimane tra i miei artisti preferiti. <strong>La</strong> scelta di Twombly,<br />

poi, era stata una vera e propria provocazione nei riguardi<br />

di mio marito. Un autore così lontano da quelli<br />

che lui amava, diventato fonte di piacevoli e stimolanti<br />

discussioni. <strong>La</strong> collezione vera e propria, a parte qualche<br />

sporadico acquisto, è iniziata dopo la scomparsa<br />

di Armando.<br />

Qual è il capolavoro della sua raccolta a cui è più legata?<br />

Le opere nella mia casa sono state scelte tutte con<br />

amore, sentimento percepito da chi visita la mia collezione.<br />

Ciascuna di esse mi ha donato molto, mi hanno<br />

aiutata a capire molte cose della vita. Per questo, mi è<br />

difficile selezionare un solo artista.<br />

Collezione Gemma De Angelis Testa. Da sinistra Bill Viola, Surrender,<br />

2001; Peter Doig, House of pictures, 2001; John Currin, Young Man, 1992<br />

© Fabio Mantegna<br />

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