Banalità, pag - Patrizio Marozzi
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qualunquismo di un elogio funebre. Come dicevo, sono<br />
tempi di guerra.<br />
Bernardo Joyce<br />
In un certo qual modo potrebbe sembrare quello che<br />
stavo dicendo.<br />
Blatero<br />
Ho l‟impressione che tutto quello che sta avvenendo<br />
non abbia più nessun connotato di esistenza, la<br />
rappresentazione di quel che accade, è qualcosa di<br />
completamente diverso dalla rappresentazione. Qualcosa<br />
un mondo che non esiste si manifesta per mostrarci<br />
soltanto ciò che di se stesso non vuole conoscere, l‟atto<br />
della rappresentazione è in una sorta di partecipazione,<br />
che ignora tutto quello che dà spiegazione e significato,<br />
che cerca il motivo e la soluzione, che appunto<br />
rappresenta. Se ciò che si mostra è il male che non si<br />
rappresenta, quanto arduo può essere il percorso per<br />
riportare la vita in qualcosa che si rappresenta, nella<br />
realtà che ha un motivo e un significato, in ciò che non si<br />
identifica in una non rappresentazione, che muore<br />
nell‟impossibilità di non saper vivere con ciò che non è<br />
rappresentabile nella soluzione, e ancor di più nella<br />
spiegazione del motivo. La conoscenza di fatto non può<br />
più non rappresentarsi, diventando essa stessa motivo di<br />
non rappresentazione, ma nella rappresentazione, il<br />
conoscere non può eludere il non rappresentabile, e per<br />
questo il silenzio che ne deriva è l‟artefice stesso di ogni<br />
possibilità di rappresentazione. Perdere il silenzio<br />
equivale a dire di non potere più pensare, equivale a dire<br />
che il pensiero è soltanto manifesto, senza nessuna<br />
relazione con il resto della coscienza umana, l‟essere<br />
umano “è” passivo dinnanzi alla non rappresentazione<br />
manifesta del male, né è succube manifestazione che non<br />
è in grado di rappresentarsi, né trovare una catarsi che lo