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ANTONELLA GANDOLFO LIMA RAMPOLLA

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Lunìa incassava senza un lamento, inerme e ferma, distrutta da quella gragnola di percosse che<br />

parevano bucarla. Rimaneva impietrita in quel suo silenzio, con quei suoi occhi stralunati e fissi che<br />

sembravano non capire ed insieme accusare, gridare comunque la loro verità, la loro scelta voluta<br />

ed il loro destino subìto...<br />

Purtroppo nella colluttazione la latta, che era fermata al ferro curvo del pozzo da una fune più<br />

volte annodata, volò giù nel fondo. Allora la ragazza si accasciò, lanciando un terribile urlo di belva<br />

ferita. Così cadde e sbatté la nuca esile sulla pietra... E sulla pietra cadde pure l’urlo suo che lì si<br />

sfece perché ribevuto dal grembo della terra da cui sembrava esser sgorgato, tagliente e straziato...<br />

Più tardi, quando larghi raggi di sole, abbandonati i veli porporini dell’aurora, conquistavano le<br />

vallate, vennero su in diversi.<br />

Rocco, il padre, piangeva lacrime di ferro e si mordeva le mani, chiuso in un dolore che era<br />

rabbia e impotenza, rimorso e passione.<br />

Lunìa fu portata giù a braccia, su una specie di lettiga fatta con una coperta.<br />

Il viso era immobile, ora vero nella sua veste eterna: un viso di sfinge tragica, carico di tante<br />

catene di esistenze sbagliate, un viso di terra e pietra che tornava alla terra e con la pietra del monte<br />

faceva materia organica, vitale. Solo un rivolo di sangue rosso e vivido le colava giù dalle labbra<br />

tirate, come l’ultimo assurdo filo di linfa umana che fuggiva l’involucro sbagliato... Pietosamente,<br />

Peppe, l’Arpinu, nel trambusto, delicatamente, non visto, l’asciugò con il fazzoletto...<br />

Si capì subito che era morta.<br />

Ma quegli strani, dementi occhi spalancati, vivi sempre nella loro fissa immobilità, occhi che<br />

accusavano e pregavano, occhi che possedevano un loro ermetico messaggio di morte e di vita,<br />

senza barriere, in cui la vita era morte in eterna infrangibile alternanza, quelle pupille facevano<br />

credere impossibile il decesso di Lunìa! Per questo fu portata in chiesa con tanta precauzione, ché...<br />

“...forse... ancora, forse...”.<br />

Poi, mentre la campana dondolava sulla schiena del vento mesti rintocchi, dal pozzo fu ripescata<br />

la latta.<br />

Dentro...<br />

Su un folto tappeto di muschio, composto a morbido appoggio, era un esserino raggomitolato,<br />

con la testina coperta da una folta peluria e reclinata all’indietro, quasi dovesse guardar verso<br />

l’alto...<br />

Grandi e lucenti, in quel faccino mangiato dal fango, due occhi di giada volavano al cielo e forse<br />

alla Luna...<br />

A sera la campana pianse piano, a lungo con filamenti di echi lamentosi che si annodavano in<br />

ogni casa, ad ogni albero, ad ogni sasso dei monti... E tutti piansero quei due fuscelli di vita, persi<br />

nel respiro freddo di una notte di novembre.<br />

La montagna, la sua montagna, colse ad uno ad uno quei rintocchi che morivano in languori di<br />

rimpianto, che si sfaldavano giù per la valle come foglie di suoni, di pensieri esausti e...<br />

...per quella notte cancellò...<br />

...la LUNA...!<br />

...Su un rozzo pezzo di legno, ai piedi della Croce, poi si trovò inciso:<br />

Per te - Lunìa -<br />

filo d’erba ormai secco<br />

genziane e rododendri<br />

e il cuore della - Luna -

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