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ANTONELLA GANDOLFO LIMA RAMPOLLA

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Ed ecco che la bimba arriva dal prato di don Ernesto Laganà, tappezzato di un verde cupo che<br />

declina piano.<br />

Fermandosi, lì, allo steccato, lungo la mulattiera, Ninuzza scorge una quaglia, goffae panciuta,<br />

che saltella sull’erba: per irreali giochi d’ombre e di luci, dà l’impressione di avere ali sottili e assai<br />

lunghe, che la fan capace di volare. Pensieri vaghi volano con lei e, oltre le nubi di bambagia<br />

sfilacciata, vanno alla Vergine Maria...<br />

Ora Carmelina guarda il rosaio e pensa a quello del giardinetto dell’arciprete che è tutto un<br />

rigoglio di corolle in festa. Ella da lì lo vede, oltre il muretto e le pare che quel piccolo pezzo di<br />

terra sia un angolo sognante, di paradiso... Dice a Ninuzza: “Nci portamu i rosi a maestra?”. E<br />

questa, triste: “A undi?”. Loro sono lì, sulla stradella polverosa... Allora Carmelina con quegli occhi<br />

scuri e inquieti, guarda la Madonnina, poi, con un gesto rapido, prende una rosa dallo smilzo rosaio<br />

appena in fiore. Si spina e una gocciolina di sangue macchia di rosso la rosa. Carmelina si succhia il<br />

dito e tiene con religiosa cura il bocciolo odoroso. Lo vorrebbe dare alla maestra che all’indomani<br />

se ne andrà per sempre. Dice, tremando, in un soffio che è solo la voce del cuore: “Madonna...”. E<br />

gli occhi grandi le si colmano di pianto.<br />

Ninuzza, mesta recita con un filo di voce rotta, ricordando: “Com’è triste il giorno di maggio nel<br />

vicolo povero e solo...”: la poesia che la maestra le ha fatto imparare. Sussurra, disperata: “T’a<br />

ricordi?... Com’era bellu”.<br />

Si siede sul rotto basamento di pietra e piange. Intanto la rosetta si appassisce un poco tra le dita<br />

calde di Carmelina. Si guarda la vecchia scarpa con la suola scollata e si serra nelle spalle. Rivede il<br />

vicoletto ove abita con la zia Marietta, la sorella di sua madre, morta anni addietro. Il padre se ne è<br />

andato emigrante, e, quando può, manda qualche lira.<br />

I pensieri mesti chiudono loro attorno un cerchio di solitudine amara; un fiato lungo di vento<br />

spettina le trecce delle bimbe.<br />

Ninuzza cerca nel prato la grossa quaglia, ma le ombre si son fatte impalpabile cortina e, come<br />

sagome lunghe e incerte che si dan la mano, si accucciano dattorno. Petulante e sbrigativa, spacca il<br />

silenzio la campanella della chiesa matrice e Carmelina ode le voci aspre di Micu e ‘Ntoni, i figli<br />

della zia: le gridano che ha fatto tardi e che l’avrebbero picchiata. Sì, la picchiano spesso e, anzi,<br />

‘Ntoni, quando è sola, la pizzica al petto e cerca d’infilarle le mani sotto la gonna... Ninuzza, con<br />

un’infelicità senza speranza, esclama di botto: “È tardu, mi ndi vaiu!”. E fugge via.<br />

Ora c’è un silenzio greve, sospeso e attento... Poi un calabrone, con furiose picchiate e riprese,<br />

gira attorno alla bimba e, infine, velocissimo, si tuffa nel cuore della rosa più aperta.<br />

Carmelina, pian piano, alzandosi sulla punta dei piedi, appoggia la rosellina, già sciupata e quasi<br />

vizza, in alto nella nicchia, dove il muro si fa fondo e scuro. Distrutta una ragnatela, ecco che il<br />

fiore par stare a bella posta sul manto azzurro dipinto della Vergine Santa...<br />

Carmelina, con un grosso sospiro di pianto represso, bisbiglia: “Madonna, pe’ a maestra... Dinzi<br />

u torna e ca eu ‘a vogghiu beni...”.<br />

...Sempre più vien scuro. Tra gli alberi, dietro alla chiesetta, il viottolo piega e poi s’appiglia a<br />

cespugli polverosi e brulli. Sulla dolce salita che va verso il monte s’incontra, furtivo, un gruppetto<br />

di occhi sconsolati. Non parlano i bambini, ché nulla c’è più da dire... Solo Maria estrae da dentro il<br />

petto, oltre la maglia enorme del fratello grande che ora sta in Belgio, una striscetta di carta ben<br />

piegata. Con gli occhi pieni di lacrime legge piano: “Cara maestra, ti scrivo addio e io e gli altri<br />

bambini ti diciamo grazie”. Rocco tira dall’orlo del pantalone un resto di matita e, tremando,<br />

aggiunge sul foglietto: “Ciao, ti voglio bene. Rocco”. Indi dà la matita agli altri e tutti, a turno<br />

dicono con il loro nome inciso pesantemente, il dolore di quell’addio... Maria, girata di spalle,<br />

piange e si asciuga il naso in quelle maniche troppo lunghe che tiene arrotolate.<br />

All’indomani quel mucchietto di case sul pendio, qua e là disperse per la campagna, è un nodo<br />

chiuso e ostile, quasi atterrito da oscuri fantasmi assai temuti e da ataviche diffidenze che alzan<br />

muri.

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