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ANTONELLA GANDOLFO LIMA RAMPOLLA

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un’improvvisa intuizione... Alle prime luci dell’alba, solo con il padre e Mongo, il cane bastardo<br />

che seguiva sempre dappertutto Rocco Spina, decise di arrivare al pozzo Vecchio. Lì nessuno<br />

andava più da gran tempo e l’acqua si stagnava, limacciosa e putrida! Esalava dal fondo un fetido<br />

odore malsano: sembrava che più che un pozzo fosse una putrida bocca di una caverna sottostante,<br />

che si apriva alla superficie con dei residui di “labbra” in muratura sinistri e sberciati.<br />

Il prete si era ricordato che taluni avevan raccontato che di notte, quando brillava quella strana<br />

Luna bassa, rotonda, Lunìa andava colà a cantare la sua lugubre nenia d’amore... Il luogo era<br />

circondato da tante dicerie sul Bombino e addirittura vi era qualcuno che assicurava di aver visto<br />

guizzare, fuori dal pozzo, delle strane fiammelle verdognole, quasi fuochi fatui di palude; poi<br />

salivan tremule in vacillanti sagome e si sperdevano estinguendosi senza vento, nei campi della<br />

notte.<br />

Così era sorta la credenza che quello fosse il pozzo delle anime dei morti!<br />

Per questo nessuno voleva mai andarci, tanto più che la stradella si arrampicava in maniera assai<br />

aspra e inagevole, sul fianco più irto della montagna, dove certamente aveva il proprio covo il<br />

terribile Bombino con la sua banda di briganti, ai quali, talvolta, si univa Ciccio Stoppa.<br />

Da là si vedeva un paesaggio squallido e selvaggio, con la vallata stretta in fondo, quasi ingoiata<br />

dalle gibbosità del Chiarello. Dall’altra parte si vedeva la parete nord, brulla e ventosa, sicché in<br />

quel punto il profilo dei monti pareva più che mai sinistro e invalicabile per l’uomo ostile, ad ogni<br />

dialogo di scoperta e di possesso.<br />

Il pozzo si ergeva in questo contesto, costruito su un piatto gradino, sporgente dalla fiancata, qua<br />

e là imbrattato da cespugli arruffati e spinosi che parevan posti per aumentare l’inaccessibilità. Ed<br />

eccolo, il pozzo, con a stento un quarto dell’anello ancora erto, per il resto un rudere di mattoni e<br />

muschio, pronto pareva, ad ingoiare chi vi si fosse avvicinato. Del ruolo primitivo restava solo,<br />

corroso da un cumulo di ruggine, quello che doveva essere stato il ponte della carrucola dei secchi.<br />

Scivolato in un canto, giaceva un moncherino di catena, seminterrato tra le erbe fitte e il terreno<br />

scuro che era attorno.<br />

Nei giorni precedenti a quello era piovuto tanto e il tondo buco d’acqua si era colmato di una<br />

melmosità verdognola...<br />

In quella direzione si eran mossi il parroco, Don Rosario, e Rocco Spina, il padre di Lunìa, un<br />

pecoraio sempre torvo e accigliato, schivo e silenzioso.<br />

Li precedeva, con brevi corsette guardinghe, Mongo, il bastardo bruno e arruffato che non si<br />

staccava mai dal padrone, quasi fosse la sua ombra fedele.<br />

In silenzio abbandonarono la strada più larga e s’inerpicarono su per la stradella che girava ad<br />

imbuto e poi si biforcava verso il folto dell’abetaia, andando da un canto alla capanna di Zi’ Nicola<br />

Sciarra mentre dall’altro, oltre il Grande Passo, sboccava nel pianoro del pozzo.<br />

Il cane che guadagnava terreno avanti e indietro, sembrava presago e con la coda tra le zampe<br />

diminuiva la distanza dal padrone, affiancandolo quasi.<br />

Fu lui che, giunto in vista del Pozzo, abbaiò alto. Rocco Spina, lesto, lo afferrò per il collare di<br />

peli sporchi e irti, mugugnando a denti stretti una bestemmia e un: “Cuccia, Mongo!”, che si<br />

annullarono nell’ansar del prete e nel suo passo pesante, di poco discostato...<br />

Il parroco e Rocco sostarono interdetti, inspiegabilmente coinvolti dalla teatralità orrida dello<br />

scenario...<br />

Il chiarore lunare pareva convergere, nudo e sfacciato, nella concavità circolare del pozzo che a<br />

sua volta, con un esile riverbero limaccioso, sembrava calamitare ogni raggio.<br />

Era uno spettacolo strano: il cielo si striava in una fascia lattiginosa, appannata. Ancor oltre, con<br />

pennellate irregolari, affiorava una striatura giallognola che, più che affermarsi, pareva dissolversi<br />

esangue in quel magico caleidoscopio lunare. Seghettato dalla cresta dei monti, si coglieva altro<br />

tono di colore: un violetto intenso e diluito a seconda che si perdesse nelle conche o nelle cime...<br />

Anche i cocuzzoli che si intravedevano si adattavano alla tavolozza del cielo in quell’ora di<br />

transizione. Nero e infagottato nelle gramaglie della notte era il primo bastione. Sul retro, invece,<br />

svettava una chiostra che pareva assai più snella, protesa a fondere nel cielo quel suo mantello

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