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(poikilìa) e della commistione degli stili (Teocr<strong>it</strong>o passa da un genere all’altro anche nell’amb<strong>it</strong>o<br />

dello stesso componimento).<br />

Nel corpus teocr<strong>it</strong>eo ci sono «mimi urbani» in esametri, epilli come Ila o Eracle bambino, un<br />

carme m<strong>it</strong>ologico come il Ciclope. Soprattutto ci sono dieci idilli bucolici, cioè d’ambiente<br />

agreste e pastorale, ai quali Teocr<strong>it</strong>o deve la sua fama. Questi dieci carmi – tutti in esametri<br />

e in dialetto dorico – inaugurano un filone della poesia antica, che sarà ripreso dalle Bucoliche<br />

di Virgilio (anch’esse in numero di dieci) e avrà grande fortuna nella letteratura <strong>it</strong>aliana<br />

ed europea.<br />

Le origini del genere bucolico sono forse da ricercare nel recupero colto di una tradizione<br />

della poesia orale d’ambiente pastorale, consistente in gare di canto a contrasto su temi liberi<br />

o prefissati, alla presenza di un giudice che decretava la v<strong>it</strong>toria. Naturalmente la trasposizione<br />

letteraria di queste forme popolari comportava la stilizzazione delle s<strong>it</strong>uazioni,<br />

dei dialoghi, soprattutto del paesaggio, immancabilmente edenico, sereno e luminoso, insomma<br />

«idillico». In questo paesaggio statico e rarefatto, che presenta ora i contorni netti e<br />

solari del paesaggio siciliano ora quelli tipici del locus amoenus virgiliano, l’ab<strong>it</strong>ante della<br />

c<strong>it</strong>tà proiettava i suoi sogni e le sue nostalgie. Infatti questa poesia è in funzione del gusto<br />

di un pubblico inurbato, dotto, appartenente a una società di corte. Onnipresente è il paesaggio<br />

med<strong>it</strong>erraneo, ora scenario del rustico canto, ora delizioso luogo appartato per<br />

l’incontro d’amore:<br />

In nome delle Ninfe vuoi, capraio, seduto, qui, sul colle che declina tra i tamarischi,<br />

vuoi suonare il flauto?<br />

… Qui vi sono querce, il cipero c’è qui, c’è il bel ronzare che le api fanno presso<br />

gli alveari …<br />

Più soave del fonte che zampilla e si versa dall’alto della roccia è il tuo canto, pastore<br />

…<br />

… vi sono lì gli allori, flessibili cipressi, edera nera e c’è la v<strong>it</strong>e col suo dolce frutto,<br />

c’è l’acqua fresca …<br />

Nei carmi bucolici troviamo gare di canto strutturate in forma amebea (cioè «a botta e risposta»),<br />

dialoghi fra pastori (boukóloi) come quello dell’idillio I, tra Tirsi e un anonimo capraio,<br />

che ha per argomento la morte per amore del m<strong>it</strong>ico Dafni: un motivo, questo, che<br />

verrà ripreso da Virgilio nella X egloga (che è un conforto alle sofferenze d’amore del poeta<br />

elegiaco Cornelio Gallo). C’è la serenata del capraio T<strong>it</strong>iro alla r<strong>it</strong>rosa Amarillide in forma<br />

di paraklausíthyron («canto davanti alla porta chiusa»). C’è, nell’idillio VII, la formulazione<br />

di un ideale di v<strong>it</strong>a quieta (asychía) – conforme all’inv<strong>it</strong>o delle filosofie ellenistiche – al riparo<br />

dalle passioni, anche amorose («Valga per noi solo la quiete …» v. 122). Anche all’amore<br />

rinunciano i pastori di Teocr<strong>it</strong>o per conseguire una completa pace dei sensi nell’inebriante<br />

contatto con la natura:<br />

… e noi … su morbidi giacigli di tenero lentisco ci adagiammo e su foglie di v<strong>it</strong>e<br />

appena còlte con grande godimento. Su di noi con forza si scuoteva un f<strong>it</strong>to bosco<br />

d’olmi e pioppi e lì accanto zampillava, gorgogliando dall’antro delle Ninfe, la fonte<br />

sacra e dagli ombrosi rami si affannavano a urlare le cicale anner<strong>it</strong>e dal sole …<br />

«Quello di Teocr<strong>it</strong>o è il mondo dell’asychìa, che non conosce i fragori della guerra e la violenza<br />

dei torbidi civili, e in cui anche il tormento amoroso e la morte perdono gran parte dei loro<br />

connotati dolorosi e drammatici, per dissolversi nella malia del canto consolatore» (Nuzzo).<br />

C’è, ancora nell’idillio VII, una vera e propria dichiarazione di poetica callimachea. La enuncia<br />

il pastore Simichida (pseudonimo dello stesso Teocr<strong>it</strong>o): «Odio il poeta che s’affanna a<br />

eguagliare una casa alla vetta dell’Oromedonte e i polli delle Muse, quelli che inutilmente si<br />

danno da fare per rifare il verso al cantore di Chio, starnazzando», dove il bersaglio polemico<br />

è rappresentato dagli im<strong>it</strong>atori di Omero (il cantore di Chio) e in genere dai cultori tardivi<br />

del poema epico.<br />

La lirica d’età ellenistica 303<br />

Il genere bucolico<br />

I 12 ss.;<br />

trad. di<br />

V. Gigante Lanzara<br />

V 45 ss.<br />

I 7 ss.<br />

XI 45 ss.<br />

I temi<br />

VII 131;<br />

trad. di<br />

V. Gigante Lanzara

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