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purificazione campestre), una il compleanno dell’amico Cornuto, una il sacerdozio<br />
di Messalino, figlio di Messalla;<br />
• un terzo libro, diviso in due parti dagli autori del Rinascimento, che contiene:<br />
elegie non scr<strong>it</strong>te da Tibullo, ma da un poeta che, col nome di Lygdamus (forse<br />
pseudonimo di Ovidio agli inizi della carriera), canta l’amore per una donna di<br />
nome Neèra; un Panegirico di Messalla del quale si celebrano con epica pesantezza<br />
le doti mil<strong>it</strong>ari e oratorie; elegie sull’amore di Sulpicia (nipote di Messalla)<br />
per Cerinto forse scr<strong>it</strong>te da Tibullo; «bigliettini» in distici forse scr<strong>it</strong>ti da Sulpicia<br />
stessa, nel qual caso si tratterebbe degli unici versi scr<strong>it</strong>ti da una donna nel<br />
mondo latino.<br />
La letterarietà dei personaggi e delle s<strong>it</strong>uazioni<br />
Tibullo canta l’amore per due donne. La prima è Delia, la tipica donna elegiaca affascinante,<br />
volubile, amante del lusso, incline al tradimento. Il suo vero nome secondo<br />
Apuleio (Apol. 10) sarebbe stato Plania (l’aggettivo greco délos renderebbe<br />
il latino planus, evocando anche l’ep<strong>it</strong>eto di Apollo Delio, dio della poesia).<br />
La seconda è Nèmesi, la «vendicatrice» di Delia che aveva abbandonato il poeta<br />
per un amante più giovane e bello. Ma anche questa seconda donna, con tutta probabil<strong>it</strong>à<br />
una cortigiana, fa soffrire il poeta. Se Delia aveva trasformato il poeta da vir<br />
fortis e asper (un «duro» insomma!) in una trottola («Sono sbattuto come una trottola<br />
messa in moto … dalla sferza di un bambino», I 5, 1-3), la seconda puella non<br />
sembra migliore. Nèmesi è avida di lusso (dominam rapacem, II 4, 25), è sempre lì<br />
a chiedere danaro con la mano tesa (cava pretium flag<strong>it</strong>at usque manu II 4, 14). È<br />
insomma una mantenuta, al punto che il poeta le augura che il vento e il fuoco<br />
disperdano i doni dei vari amanti (eripiant partas ventus et ignis opes, II 4, 40) e la<br />
considera degna rappresentante dei vizi dell’età del ferro, che all’amore antepone il<br />
lusso (ferrea non Venerem, sed praedam saecula laudant, II 3, 35). Infatti Nèmesi<br />
finisce con l’abbandonare il poeta, ricco solo di parole, per uno schiavo arricch<strong>it</strong>o.<br />
Come le altre puellae degli elegiaci, Delia e Nèmesi sono in gran parte creature<br />
letterarie, anche se la seconda è r<strong>it</strong>ratta in modo più crudo e disincatanto. Quasi<br />
inesistenti, i loro tratti descr<strong>it</strong>tivi. Di Delia si sa solo che ha capelli lunghi e biondi,<br />
ricadenti sulle braccia delicate. I suoi sentimenti sono incostanti, ha vari uomini (I<br />
5). Incerto è anche il suo status sociale e anagrafico: ora ha un coniunx (I 2, 41)<br />
non si sa se «mar<strong>it</strong>o» o «amante», ora vive con una vecchia governante (I 3), ora<br />
ha una madre che fa da tram<strong>it</strong>e tra lei e il poeta (I 6). Nèmesi, il cui nome è certamente<br />
f<strong>it</strong>tizio indicando la rivalsa del poeta sull’infedeltà di Delia, è naturalmente<br />
formosa (II 3, 6), saeva (II 4, 25), dura (II 6, 28), possiede occhi parlanti (oculos loquaces,<br />
II 6, 43), forse è sposata (II 6, 50), più probabilmente è una cortigiana come<br />
la Cinzia di Properzio (vedi p. 346).<br />
Ma al di là della loro consistenza reale, Delia e Nèmesi sono le donne dell’elegia<br />
romana, per convenzione libertine e adultere, destinate a svolgere il ruolo di amanti,<br />
mai di spose fedeli. Esse vivono solo nelle s<strong>it</strong>uazioni topiche della poesia erotica:<br />
serenata davanti alla porta chiusa (paraklausìthyron), indifferenza alle pene<br />
dell’amante, gelosia e timore del tradimento, abbandono (discidium), r<strong>it</strong>i magici per<br />
conquistare il favore dell’amata, vagheggiamento patetico della propria morte confortata<br />
dalla presenza dell’amata, ecc.<br />
In particolare il rapporto asimmetrico e umiliante imposto al poeta dalla tirannica Nèmesi<br />
riflette, non senza una punta d’ironia, il topos elegiaco del serv<strong>it</strong>ium amoris (v. p. 349):<br />
Tibullo e il Corpus Tibulliano 341<br />
Delia<br />
Nèmesi<br />
Due creature letterarie?<br />
I tratti della donna<br />
dell’elegia<br />
Il serv<strong>it</strong>ium amoris