31.05.2013 Views

Scuola e Cultura - Ottobre 2009 - scuola e cultura - rivista

Scuola e Cultura - Ottobre 2009 - scuola e cultura - rivista

Scuola e Cultura - Ottobre 2009 - scuola e cultura - rivista

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>Ottobre</strong> <strong>2009</strong><br />

Rilke avrebbe potuto tradurre più letteralmente con<br />

«Ach» o «weh mir», se avesse conosciuto la<br />

variante anteriore «Oimè» del testo leopardiano<br />

(secondo l’edizione Peruzzi e il commento di<br />

Giuseppe e Domenico De Robertis, mentre<br />

«bruttissimo» per il Binni). Quindi bene essersi<br />

tenuto in una posizione oggettiva d’ambiente,<br />

percependo però il forte dissidio interiore…. Se il<br />

«dolce» (non «süss») è tipico di Leopardi, non meno<br />

caratteristico è l’«oimè» legato a «travaglia», in Il<br />

Primo amore, o sentito in una consonanza<br />

psicologico-esistenziale in Il Passero solitario come<br />

non gli è estraneo il più rude e drammatico «infesto»<br />

in La vita solitaria (vv. 75 e 86), e «inesausto»<br />

(grembo), «inesorato» (flutto) in La Ginestra (vv. 254<br />

e 267). Ed è spiegato, si spiega, con il successivo<br />

forte disperato «Oh giorni orrendi / in così verde<br />

etate!», sempre de La Sera (vv. 23-4). S’interrompe<br />

(come per il non rendibile in tedesco «Amore» della<br />

Vita nova) al vocativo invocante «O donna mia» e lo<br />

lascia vuoto sul problematico termine «donna» con<br />

dei puntini dopo una «O…». C’è tutta un’amabilità<br />

trafitta e delusa («Amore, amore, assai lungi volasti /<br />

dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, / anzi<br />

rovente», La vita solitaria, vv. 39-41) che sta accanto<br />

al gioco drammatico di immagine/realtà, di sembiante<br />

(«imago» in Il primo amore, «fantasma»,<br />

«speciosissime larve» in Storia del genere umano,<br />

apparenze ingannevoli in Il tramonto della luna)<br />

particolarmente femminile diverso e staccato dalle<br />

persone, dalle cose effettive, come nella vista di<br />

Elvira per Consalvo, o della «bellissima donna»<br />

(sempre Consalvo, v. 60), la donna poi che non si<br />

trova, che non si vede sulla terra, al modo della<br />

Virtù). Senza dire del lamento (Rilke con la sua<br />

Klage) concentrato in quel «oimè» ben prima di<br />

Leopardi, in Petrarca e nella lirica del Cinquecento e<br />

indietro fino in Giacomo Pugliese («Oi Deo…»).<br />

Dunque, la notte è magica, di incanto (senso della<br />

sera, della notte ben caro a Rilke già nelle prime<br />

poesie e in quelle giovanili, che dilata le cose o vede<br />

incedere calma la luna lungo le aiuole, la notte anche<br />

cupa durante una tempesta, nel ciclo compositivo<br />

delle immagini) . E in ciò contrasta vieppiù con<br />

l'animo del poeta (nello stesso Rilke è viva amabile e<br />

dolce la sera rispetto all’aurora 64): «Ecco una parola<br />

magica [dolce]. La notte sentita prima che descritta»<br />

(De Robertis).<br />

Specie se «dolce» viene inteso come risalente (in<br />

una linea di vicinanza di significati) alla radice di<br />

«gioire» di un pastore per «una notte serena e chiara<br />

e silenziosa» (nel rilievo di De Robertis), e lo si<br />

consideri nella lunga esperienza traduttoria di<br />

Leopardi dal mondo greco antico e qui in particolare<br />

omerico (Iliade, VIII, 555-9). Traduzione fatta in<br />

giovane età e che merita riportare come<br />

testimonianza di un gusto suo proprio, di un Leopardi<br />

che s’intreccia sino a confondersi sul passo originario<br />

omerico (per la suggestione delle sue care<br />

contemplazioni notturne alla luce della luna):<br />

Sì come quando graziosi in cielo<br />

rifùlgon gli astri intorno della luna,<br />

e l'aere è senza vento, e si discopre<br />

ogni cima de' monti ed ogni selva<br />

ed ogni torre; allor che su nell'alto<br />

tutto quanto l'immenso etra si schiude,<br />

e vedesi ogni stella, e ne gioisce<br />

il pastor dentro all'alma.<br />

11<br />

Con tale passo così tradotto si presenta inoltre il<br />

problema dell’imitazione, pure quello del<br />

‘sentimentale’ antico e moderno ( 164) Imitare scene<br />

e situazioni del vivere, imitare la Natura. E ciò<br />

dall’occhio dello scrittore o della poesia la quale è<br />

finzione, nel gioco del corrispondere all’oggetto o<br />

all’ambiene paesistico di partenza, ma arricchendolo<br />

con l’immaginazione senza per ciò ingannare<br />

l’intelletto. Sarebbe questa la poesia sentimentale<br />

antica, nella cui linea si mette Leopardi, diversa per<br />

lui da quella sentimentale moderna. Nel Discorso di<br />

un italiano intorno alla poesia romantica egli cita per il<br />

sentimentale antico due esempi di spettacolo<br />

sentimentale: quello della vaga similitudine omerica<br />

(Iliade, VIII, 555-9) e quello di «un veleggiamento<br />

notturno e tranquillo non lontano dalle rive» (Eneide,<br />

VII, 8-16). Armonia suggestiva, attraente negli<br />

antichi, ricca ma secondo natura. Ancora giovane<br />

scrive «[…] e la natura qual ella è bisogna imitare, ed<br />

hanno imitata gli antichi, onde una similitudine<br />

d’Omero semplicissima senza spasimi e senza<br />

svenimenti, e un’ode di Anacreonte, vi destano una<br />

folla di fantasie, e vi empiono la mente e il cuore<br />

senza paragone più che cento mila versi sentimentali<br />

[moderni], perché quivi parla la natura e qui parla il<br />

poeta». E la traduzione è da lui intesa (accanto ai<br />

significati specifici nell’Indice dello Zibaldone) come<br />

un ricreare il testo curando l’effetto che avrebbe<br />

procurato nell’altra lingua, con le bellezze e i<br />

significati da far apprezzare nella voce nuova o<br />

‘seconda’.<br />

Nel gioco della ‘finzione’, dunque, tolto l’«ohimè», la<br />

Notte può essere «dolce». Esito problematico, se il<br />

‘piacevole’ è una sospensione tattica che non deve<br />

trarre in inganno («la disperazione si finge<br />

sorridente», Leopardi), se nel dolore il poeta, lui<br />

(come gli antichi), guarda alla Natura suscitandone il<br />

‘meraviglioso’, facendo credere che ella sia buona e<br />

pietosa, sì da far ‘gioire’ l’uomo come il pastore di<br />

Omero. Toglie allora (immagina) le angosce, come<br />

alla luna toglie il faticoso suo continuo viaggiare. E<br />

la ferma, facendola abbassare sulla terra, punto di<br />

appoggio stabile. Protagonista, anche per Rilke, la<br />

Luna nel sottile credere, intendere, dunque<br />

immaginare in una luce gradevole il doloroso stesso,<br />

il problematico (si capisce, aderendo Rilke a<br />

Leopardi, non in battuta sua diretta).<br />

«Ohimè» trova poi riscontro in Rilke nel frequente<br />

motivo del lamento, «Klage», che diventa il titolo di<br />

alcune composizioni rilkiane. Lamento e<br />

invocazione: senza appiattire i due autori, Leopardi<br />

lontano da una facile speranza credulona auspica<br />

qualcosa però, la solidarietà o l’iniziativa magnanima<br />

aperta al rischio, nei modi suoi non certo eguali a<br />

quelli dell’altro (logico-analitico anche nel gioco della<br />

fantasia più sorprendente, Leopardi - irrazionale nelle<br />

intuizioni più subitanee e apprensive di una<br />

riflessione filosofica protratta, Rilke), mentre Rilke se<br />

nemmeno convinto per altre ragioni della speranza si<br />

dispone alla preghiera, «Gebet», che compare pure<br />

nel titolo di suoi lavori. E la tempesta, motivo di<br />

preoccupazione in Leopardi (povero il contadinello,

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!