Scuola e Cultura - Ottobre 2009 - scuola e cultura - rivista
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<strong>Ottobre</strong> <strong>2009</strong><br />
sulla sicura competenza disciplinare e può<br />
allontanare dalle cattedre docenti di alto valore, ma<br />
meno dotati di quel requisito.<br />
3) L’internazionalizzazione spinta, intesa come<br />
trattamento di forte favore a studenti esteri, non può<br />
che produrre un’emarginazione (o ghettizzazione) in<br />
altri corsi e in altre sedi della popolazione<br />
studentesca italiana. I dati disponibili per alcune<br />
Facoltà anglicizzate (Ingegneria tessile a Biella;<br />
Ingegneria elettronica e informatica a Vercelli)<br />
dimostrano che almeno come primo effetto dei<br />
recenti provvedimenti sono diminuite fortemente in<br />
quelle sedi le iscrizioni di studenti italiani.<br />
4) Una parte considerevole di laureati anche dalle<br />
Facoltà di punta nel campo scientifico, tecnologico ed<br />
economico resta a lavorare nel contesto italiano e<br />
deve interagire quotidianamente con tecnici e<br />
strutture (laboratori, cantieri, aziende, uffici<br />
amministrativi) con i quali si comunica, anche nello<br />
specifico, in italiano.<br />
5) L’attrazione di un alto numero di studenti esteri<br />
sembra un obiettivo ancora confusamente concepito.<br />
Lo scopo, vogliamo credere, non è semplicemente<br />
quello di far venire frotte di tali studenti nelle nostre<br />
Università, formarli (spendendo anche o quasi del<br />
tutto le nostre risorse) e poi farli ripartire, ma quello di<br />
creare legami con Università di altri Paesi, con<br />
successivi sviluppi di ricerca, pura e applicata. Ma<br />
rapporti del genere non dovrebbero svolgersi e<br />
restare racchiusi nel linguaggio dei laboratori, bensì<br />
svilupparsi in un contesto che abbracci fortemente la<br />
<strong>cultura</strong> ambientale. L’inglese al quale ci si affida<br />
attualmente in tutte le situazioni operative e tecniche<br />
è, notoriamente, l’inglese “mondiale”, linguastrumento<br />
priva di più ampi contenuti di <strong>cultura</strong>,<br />
non nutrito propriamente dalla civiltà del grande<br />
Paese che l’ha generato, ma trapiantato, adottato e<br />
adattato in India, Australia, Canada, Sudafrica e via<br />
dicendo, fatta eccezione per gli USA, che ne sono<br />
una seconda patria molto particolare. Perché<br />
precludere agli ospiti di altri Paesi un’esperienza di<br />
piena <strong>cultura</strong> scientifica italiana, connessa con<br />
l’intera tradizione di questa civiltà, che conta nei<br />
secoli e nel presente grandissimi nomi anche nelle<br />
scienze, nella matematica, nel diritto, nelle<br />
tecnologie, nella filosofia, oltre che nella letteratura e<br />
nell’arte?<br />
Per concludere con le considerazioni che tendono a<br />
temperare gli entusiasmi, dobbiamo segnalare che<br />
l’andamento impresso da decisioni del tipo indicato<br />
non è facilmente reversibile nel breve tempo: uno iato<br />
di quattro-cinque anni potrebbe bastare a creare una<br />
frattura tra talune istituzioni universitarie e il bacino<br />
territoriale e la tradizione ambientale di riferimento.<br />
Le considerazioni da svolgere sull’altro versante, più<br />
ampiamente socio-educativo, che devono essere<br />
fatte presenti ai responsabili – tutti noi, a vario titolo<br />
– , sono almeno le seguenti.<br />
6) La sottrazione di un vasto campo di sapere<br />
avanzato alla sfera della lingua primaria della<br />
comunità nazionale (entità ancora consistente e<br />
funzionale al vivere delle popolazioni odierne) crea<br />
nel suo sistema linguistico complessivo una<br />
sostanziale frattura, introduce una sorta di<br />
bilinguismo: del tipo di quello che dominò a lungo nei<br />
Paesi europei nell’età medievale, tra il latino utilizzato<br />
per l’alta <strong>cultura</strong> e le lingue volgari, dal lessico più<br />
povero e dalla sintassi più elementare, destinate<br />
all’uso corrente e alla letteratura d’intrattenimento.<br />
Una frattura che fu eliminata a partire dal tardo<br />
medioevo e ancor più nell’età rinascimentale e poi in<br />
quella illuministica, le due età che hanno reso<br />
moderne e cariche di energie <strong>cultura</strong>li le lingue<br />
nazionali, travasandovi il patrimonio di derivazione<br />
classica e destinandole così all’uso in tutte le sfere<br />
della conoscenza e delle attività civili e pratiche. Il<br />
ripristino di una lingua di “superstrato <strong>cultura</strong>le” di<br />
dimensioni mondiali è un’operazione appena<br />
all’inizio, da considerare e coltivare certamente, ma<br />
che non è di immediato pieno rendimento.<br />
7) La frattura linguistica produce, si sa, separazione<br />
sociale e tendenza alla tecnocrazia. In situazioni del<br />
genere, i primi a provare disinteresse nei confronti<br />
della lingua nazionale sono, spesso, taluni depositari<br />
della nuova alta <strong>cultura</strong>, materialmente e solo<br />
operativamente intesa: identificata con l’uso dell’altra<br />
lingua, che considerano vero fattore privilegiante<br />
delle proprie persone.<br />
8) La pressione che dalla sponda universitaria si<br />
vuole esercitare sulla <strong>Scuola</strong> secondaria può indurre<br />
in questa un effetto divaricante, nei sensi sopra<br />
indicati, ancora più forte, per la maggiore<br />
suggestionabilità degli adolescenti e delle loro<br />
famiglie, che spingerebbero sempre più i propri figli<br />
verso una sola posta: l’ambìto, profondo possesso<br />
dell’unica lingua passepartout, che permette di<br />
diventare ingegnere, avvocato, medico ecc. con gli<br />
studi da compiere all’Università. (Non abbiamo<br />
sentito dire e ripetere, in anni recenti, che le priorità<br />
per la nostra <strong>Scuola</strong> erano le tre “I” di inglese,<br />
informatica e impresa?). Questa polarizzazione<br />
danneggerebbe soprattutto le fasce popolari della<br />
nostra società, che hanno appena raggiunto il<br />
traguardo di una italofonia essenziale, fattore<br />
decisivo per una loro integrazione sociale dignitosa, e<br />
che potrebbero invece indursi a rallentare questo loro<br />
cammino.<br />
Raccogliendo queste otto considerazioni, non<br />
abbiamo inteso creare una contrapposizione netta tra<br />
due visioni dei processi della formazione universitaria<br />
nel nostro Paese, oggi. Ci sembra che vi sia un<br />
ampio terreno intermedio per intenderci, sul quale<br />
vorremmo vedere avviato un serio dibattito. Questo<br />
potrebbe partire dalle seguenti riflessioni e proposte,<br />
che guardano già alle esigenze che si pongono sui<br />
due fronti.<br />
I. La lingua dell’insegnamento, vista soprattutto dalla<br />
parte del docente e nei momenti salienti dell’azione<br />
educativa, non può non essere che una lingua<br />
profondamente posseduta e di forte spessore<br />
<strong>cultura</strong>le.<br />
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