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DECAMERON di Giovanni Boccaccio - Vastacom.org

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<strong>Giovanni</strong> <strong>Boccaccio</strong> – Decameron<br />

non ti lascerà mentire. Ahi misera te, che ad una ora avrai<br />

perduto il male amato giovane e il tuo onore! - E dopo<br />

questo venne in tanto dolore, che quasi fu per gittarsi<br />

della torre in terra. Ma, essendosi già levato il sole ed ella<br />

alquanto più dall'una delle parti più al muro accostatasi<br />

della torre, guardando se alcuno fanciullo quivi colle<br />

bestie s'accostasse cui essa potesse mandare per la sua<br />

fante, avvenne che lo scolare, avendo a piè d'un cespuglio<br />

dormito alquanto, destandosi la vide ed ella lui. Alla<br />

quale lo scolare <strong>di</strong>sse:- Buon dì, madonna; sono ancor<br />

venute le damigelle?La donna, vedendolo e udendolo,<br />

ricominciò a piagner forte e pregollo che nella torre<br />

venisse, acciò che essa potesse parlargli. Lo scolare le fu<br />

<strong>di</strong> questo assai cortese. La donna, postasi a giacer<br />

boccone sopra il battuto, il capo solo fece alla cateratta <strong>di</strong><br />

quello, e piagnendo <strong>di</strong>sse:- Rinieri, sicuramente, se io ti<br />

<strong>di</strong>e<strong>di</strong> la mala notte, tu ti se'ben <strong>di</strong> me ven<strong>di</strong>cato, per ciò<br />

che, quantunque <strong>di</strong> luglio sia, mi sono io creduta questa<br />

notte, stando ignuda, assiderare; senza che io ho tanto<br />

pianto e lo 'nganno che io ti feci e la mia sciocchezza che<br />

ti credetti, che maraviglia è come gli occhi mi sono in<br />

capo rimasi. E per ciò io ti priego, non per amor <strong>di</strong> me, la<br />

qual tu amar non dei, ma per amor <strong>di</strong> te, che se'gentile<br />

uomo, che ti basti, per vendetta della ingiuria la quale io<br />

ti feci, quello che infino a questo punto fatto hai, e<br />

faccimi i miei panni recare, e che io possa <strong>di</strong> quassù<br />

<strong>di</strong>scendere, e non mi voler tor quello che tu poscia<br />

vogliendo render non mi potresti, cioè l'onor mio; ché, se<br />

io tolsi a te l'esser con meco quella notte, io, ognora che a<br />

grado ti fia, te ne posso render molte per quella una.<br />

Bastiti adunque questo, e come a valente uomo, sieti assai<br />

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<strong>Giovanni</strong> <strong>Boccaccio</strong> – Decameron<br />

l'esserti potuto ven<strong>di</strong>care e l'averlomi fatto conoscere;<br />

non volere le tue forze contro ad una femina esercitare;<br />

niuna gloria è ad una aquila l'aver vinta una colomba;<br />

dunque, per l'amor <strong>di</strong> Dio e per onor <strong>di</strong> te, t'incresca <strong>di</strong><br />

me. Lo scolare, con fiero animo seco la ricevuta ingiuria<br />

rivolgendo, e veggendo piagnere e pregare, ad una ora<br />

aveva piacere e noia nello animo; piacere della vendetta,<br />

la quale più che altra cosa <strong>di</strong>siderata avea; e noia sentiva,<br />

movendolo la umanità sua a compassion della misera. Ma<br />

pur, non potendo la umanità vincere la fierezza dello<br />

appetito, rispose:- Madonna Elena, se i miei prieghi (li<br />

quali nel vero io non seppi bagnare <strong>di</strong> lagrime né far<br />

melati come tu ora sai p<strong>org</strong>erei tuoi) m'avessero<br />

impetrato, la notte che io nella tua corte <strong>di</strong> neve piena<br />

moriva <strong>di</strong> freddo, <strong>di</strong> potere essere stato messo da te pure<br />

un poco sotto il coperto, leggier cosa mi sarebbe al<br />

presente i tuoi esau<strong>di</strong>re; ma se cotanto or più che per lo<br />

passato del tuo onor ti cale, ed etti grave il costà su<br />

ignuda <strong>di</strong>morare, p<strong>org</strong>i cotesti prieghi a colui nelle cui<br />

braccia non t'increbbe, quella notte che tu stessa ricor<strong>di</strong>,<br />

ignuda stare, me sentendo per la tua corte andare i denti<br />

battendo e scalpitandola neve, e a lui ti fa aiutare, a lui ti<br />

fa i tuoi panni recare, a lui ti fa por la scala per la qual tu<br />

scenda, in lui t'ingegna <strong>di</strong> mettere tenerezza del tuo onore,<br />

per cui quel medesimo, e ora e mille altre volte, non hai<br />

dubitato <strong>di</strong> mettere in periglio. Come nol chiami tu che ti<br />

venga ad aiutare? E a cui appartiene egli più che a lui? Tu<br />

se'sua: e quali cose guarderà egli o aiuterà, se egli non<br />

guarda e aiuta te? Chiamalo, stolta che tu se', e prova se<br />

l'amore il quale tu gli porti e il tuo senno col suo ti<br />

possono dalla mia sciocchezza liberare, la qual,<br />

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