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girare a bordo di un mezzo dotato di
tettuccio sarebbe decisamente meglio.
Senza contare che, se avessimo avuto la
macchina, oggi saremmo potuti andare a
scuola insieme, con Doe seduta sul sedile
posteriore – o magari nel bagagliaio –, e
risparmiarci di andare lui da solo su
Principessa e io nella station wagon di zia
a sorbirmi i piagnistei di mia cugina.
Finché io non troverò un lavoro o
Quince passerà al full-time, mi dovrò
accontentare della moto e di passaggi
vari.
«Stai tranquilla», ripeto a Doe per la
ventesima volta da quando zia ha acceso
il motore. «Prova a vederla come una
motoscìa con le ruote.»
Doe mi guarda con gli occhi fuori delle
orbite e le narici spalancate,
evidentemente l’analogia non le è
piaciuta. Mi stupisce che non abbia
ancora strappato la tappezzeria già logora