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mpe al seguito<br />
oprietari?<br />
avrà abbaiato sì e no una cinquantina<br />
di volte, pochissime cioè. Ebbene<br />
il più delle volte che ha accolto<br />
qualcuno con il suo sommesso bau<br />
bau, è stato quando abbiamo incontrato<br />
un vecchio, ma soprattutto<br />
malvestito o trasandato. In quelle<br />
rare occasioni mi è sembrato che<br />
Thea si fosse sintonizzata improvvisamente<br />
su modelli di comportamento<br />
più vicini e consoni a quello<br />
che si usa correntemente definire il<br />
mondo di oggi, che non condivido,<br />
e cioè quelli che individuano il modello<br />
vincente nell’essere... giovani...<br />
ricchi e belli ! Anche se, così dicono<br />
almeno alcuni veterinari, questa<br />
non è proprio una sorpresa, perché<br />
i cani nella loro immaginazione<br />
hanno un’idea ben definita dell’uomo...<br />
normale, e quando incontrano<br />
uno che non coincide con il loro<br />
schema di uomo... normale, reagiscono<br />
abbaiando.<br />
Ancora un piccola osservazione,<br />
diverse volte mi capita di intravvedere<br />
una certa somiglianza, non soltanto<br />
di tipo fisico, tra cane e padrone<br />
(il che, in qualche caso, non<br />
è certo un complimento, fosse per<br />
l’uno che per l’altro), ma constato,<br />
sempre più spesso, che i cani sono<br />
migliori dei loro padroni.●<br />
Riflessioni in cornice<br />
di Luca Dessardo<br />
Catastrofi naturali di vario genere,<br />
l’ultima delle quali il terremoto<br />
in Cile - avvenuto prima ancora<br />
che cessasse la preoccupazione<br />
per le vittime del sisma che ha distrutto<br />
Haiti - sembrano succedersi<br />
con una frequenza e intensità sempre<br />
maggiori, denudando l’uomo di<br />
tutta la sua vanità. E nelle macerie<br />
che rimangono ritroviamo da una<br />
lato solidarietà spicciola, e dall’altro<br />
un insulso fatalismo che non giova<br />
a nessuno. Partiamo dalla solidarietà<br />
che si manifesta subito dopo<br />
le immagini di morte e rovina trasmesse<br />
dai media. Certamente va<br />
detto come troppo frequentemente<br />
questa solidarietà si riveli ipocrita:<br />
dalla sicurezza delle nostre case con<br />
un sms od una telefonata mandiamo<br />
qualche soldo di aiuto alle vittime,<br />
e questo è spesso un modo facile<br />
di lavarci la coscienza. Ma di quale<br />
colpa dobbiamo mai purgarci?<br />
Dalla nostra indifferenza, che non<br />
siamo in grado di sopportare. I senzatetto<br />
d’inverno muoiono di freddo<br />
per le strade (questo febbraio<br />
ne è morto uno a Fiume, soffocato<br />
dal fumo della candela con la quale<br />
tentava di riscaldarsi), ma passandoci<br />
vicino distogliamo lo sguardo.<br />
E poi pretendiamo di redimerci con<br />
un obolo di sms. Inoltre, il nostro è<br />
anche un tentativo di scuoterci di<br />
dosso il senso di colpa di essere nati<br />
più privilegiati - ecco il vero peccato<br />
originario che oggi ci angoscia.<br />
Figli della morale cattolica, per noi<br />
è un peso essere “nati meglio” rispetto<br />
ad altri. E allora una telefonata<br />
può fare tutta la differenza: per<br />
noi, piuttosto che per i bisognosi.<br />
L’universalità della disgrazia -<br />
ed invero negli ultimi tempi le catastrofi<br />
naturali colpiscono abbastanza<br />
indiscriminatamente - sta<br />
però cambiando qualcosa. Il pericolo<br />
si sta facendo sempre più generale,<br />
tanto che l’idea della fine<br />
del mondo è sempre più pressante.<br />
Come il Candide di Voltaire escla-<br />
Societá<br />
Sulla fine del mondo<br />
mava di fronte al terremoto di Lisbona<br />
“Ecco la fine del mondo!”,<br />
così anche oggi sono numerosi coloro<br />
che riprendendo in mano testi<br />
profetici (da Nostradamus al calendario<br />
Maya, fino ai segreti di Fatima),<br />
leggono nelle recenti devastazioni<br />
l’inizio della fine. Il problema<br />
dell’atteggiamento fatalista è che<br />
attribuendo la caratteristica di ineluttabilità<br />
a qualunque cosa accada<br />
perdiamo immediatamente ogni<br />
senso di responsabilità. Se si tratta<br />
di destino, ogni tentativo intrapreso<br />
per difenderci è inutile, perché alla<br />
fine il futuro è già scritto. Tanto vale<br />
non fare nulla per migliorare la situazione.<br />
Al massimo, insegna il Savonarola,<br />
potremmo pentirci dei nostri<br />
peccati. Religiosi o meno, la penitenza<br />
di fronte ad una qualsivoglia<br />
forza superiore che si manifesta in<br />
tutta la sua potenza rimane pur sempre<br />
passiva. Una sorta di penitenza<br />
coatta - a differenza di una fede che<br />
non ha bisogno di prove per essere<br />
forte o di una buona condotta che<br />
non abbia bisogno di minacce per<br />
mantenersi tale. Rifuggendo dunque<br />
dal bieco egoismo della penitenza<br />
sul letto di morte, lasciamo cadere<br />
in acqua anche l’idea che la fine<br />
sia inevitabile e abbracciamo piuttosto<br />
la consapevolezza o anche, se<br />
serve, la velleità che con le nostre<br />
azioni possiamo pur cambiare qualcosa.<br />
Prendiamo pertanto da una<br />
parte l’idea dell’universalità della<br />
disgrazia, concetto che la religione<br />
ha spesso tentato di insegnarci, insita<br />
nell’ipotesi della fine del mondo,<br />
e utilizziamola per purificare la solidarietà<br />
dalle sue aberrazioni utilitaristiche.<br />
Lo ha capito bene il premio<br />
Nobel Al Gore, il quale spiega<br />
che dobbiamo vedere nella disgrazia<br />
(ambientale, ma nulla vieta di<br />
trascendere questo limite) un nemico<br />
comune che possa, appunto,<br />
accomunarci. Nella prevenzione, e<br />
non solamente nel pianto rassegnato.<br />
Altrimenti la fine potrebbe veramente<br />
essere vicina. ●<br />
<strong>Panorama</strong> 13