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Negli ultimi anni sulla scena politica delle nostre aree è venuta a consolidarsi la convinzione che l’elezione diretta dei rappresentanti del popolo sia uno strumento di maggior garanzia dello spirito della democrazia. Così, prima in Italia, poi in Croazia, nel giro di pochi anni è stata introdotta l’elezione diretta del sindaco e del presidente della regione (“zupano”, “governatore”). Il principio dell’elezione diretta si fonda sul convincimento che la scelta di un candidato ad un’importante funzione istituzionale sia, da una parte, un’espressione più coerente della volontà degli elettori e, dall’altra, rappresenti un impegno più vincolante per chi viene eletto direttamente nell’urna piuttosto che da chi s’introna passando per liste partitiche e con la mediazione di consigli, assemblee, parlamenti. In virtù di questo mandato popolare – che già in sé è certamente timbro di trasparenza – l’incaricato gode di parecchi svincoli rispetto ai piccoli ricatti interpartitici che avvengono nelle varie aule (il che lo rende abbastanza protetto dalle varie “crisi”) e dunque di una libertà di movimento che non può far che bene quando ispirata dalle buone intenzioni. L’elezione diretta consente inoltre di relegare in secondo piano gli intrallazzi (vari scambi di favore) che di norma avvengono all’interno dei partiti quando giunge il momento di compilare le liste. Ragioni di dubbio sulla bontà assoluta del metodo ce ne sarebbero tante, ma limiatiamoci a una: si pensì soltanto ai vari vecchi e moderni dittatori in giro per il mondo, tutti in carica in virtù del mandato popolare. Quello stesso mandato popolare che d’altra parte è ragione d’orgoglio per chi viene scelto tramite elezione diretta. La questione, dunque, non è così semplice. A complicarla c’è il carattere stesso del comune cittadino elettore: molto attento e coinvolto fin che dura la campagna elettorale, risulta praticamente disinteressato ed assente per tutta la durata del mandato. Si è dunque in presenza di un rapporto diretto (tra eletto ed elettore) che se è molto concreto sul come (in campagna elettorale), risulta invece abbastanza presunto tale, anemico e fittizio sul “cosa” 58 <strong>Panorama</strong> JKL Il canto del disincanto (la durata e le azioni intraprese durante il mandato).E, paradossalmente, durante il mandato (il “cosa”) a vigilare sull’azione dell’eletto non sono i cittadini che gli hanno assegnato il mandato popolare, bensì proprio quei partiti (tramite l’azione in aula) che si volevano evitare in sede elettorale quali possibili inquinatori della libera e diretta volontà del popolo! Anche in seno all’Unione Italiana, l’organizzazione centrale e unitaria degli Italiani di Crozia e Slovenia, c’è voglia di elezione diretta. Se n’è discusso alla recente Assemblea UI di Abbazia. In effetti, dopo il ribaltone di vent’anni fa, un bisogno di rinnovamento si avverte davvero. Attualmente in seno all’UI vige la cosiddetta diarchia perfetta: accanto al Presidente dell’Assemblea (l’organo legislativo o, meglio sarebbe dire – decisionale), convive di pari grado il Presidente della Giunta (l’organo esecutiva). Tanto per rendere chiare le cose, i documenti dell’UI sono validi solo se firmati da entrambi i presidenti. Manca invece il Presidente dell’Unione Italiana (anche se questo titolo appartiene formalmente al Presidente dell’Assemblea), inteso come vertice rappresentativo dell’associazione e dunque, come tale, privo di poteri reali ma gravido di un peso morale. La diarchia, in questi quattro lustri, è riuscita a creare un buon equilibrio: non tanto tra la Giunta esecutiva (che in questi anni ha avuto non soltanto l’esecutività che le compete, ma anche una determinante propositività) e l’Assemblea (che tanto ha deciso – giustamente, come da statuto – ma poco ha proposto), quanto piuttosto tra personalità forti trovatesi contemporaneamente a ricoprire i due incarichi (bastino gli esempi Borme / Tremul degli esordi e Radin / Tremul di oggi) Ad ogni modo, a parte le impressioni personali, un’analisi seria sugli effetti della diarchia in seno all’UI manca. Ma una cosa è certa: l’eventuale introduzione dell’elezione diretta in seno all’Unione porterà all’abolizione della diarchia perché il mandato popolare, se tale deve essere, si può assegnare soltanto ad una persona. A chi? Solitamente lo si da a chi ha incarichi esecutivi (i presidenti di Francia e USA, di Silvio Forza Elezioni dirette per direttissima? ad esempio, oppure i sindaci di cui prima). D’altra parte è difficile immaginare un Presidente dell’Assemblea eletto direttamente dal popolo: o viene eletto dall’Assemblea, oppure non è più presidente dell’Assemblea. È pur sempre possibile una terza via, quella di procedere a modifiche statutarie che prevedano l’introduzione di un Presidente dell’Unione Italiana tout court e che ne indichino chiaramente le competenze e le modalità di convivenza dialettica con il presidente dell’Esecutivo. Nel nostro microcosmo minoritario, l’elezione diretta a livello locale, cioè di Comunità degli Italiani, potrebbe rivelarsi una scelta azzeccata poiché nelle località piccole ci si conosce di persona e si può votare con perfetta cognizione di causa. Più complesso invece il voto a livello intercomunitario (cioè di Unione Italiana), poiché inevitabilmente il voto andrebbe a premiare quelle tre/quattro persone che negli ultimi anni hanno avuto grande visibilità nei media. Da una parte si può dire che queste tre/quattro persone negli ultimi vent’anni hanno fatto un ottimo lavoro e che dunque non ha senso cambiare. Detto questo, cioè che un avvicendamento di nomi non è necessariamente obbligato, si deve pur constatare, a livello di principio, che con l’elezione diretta tale cambiamento sarebbe di fatto impossibile. Chi sta ripetutamente nei giornali e nelle TV da anni è inattaccabile. Per non dire che ripetizione è anche reputazione. Si tratterebbe di un mandato popolare inquinato per disparità di trattamento, e non perché voluta essa dai “vecchi” candidati, ma semplicemente perché al momento attuale questa è la natura delle cose, ovvero perché i nomi nuovi partirebbero da posizioni di visibilità originaria distante anni luce rispetto a quella di chi è ormai noto da decenni. Ecco perché l’introduzione dell’elezione diretta degli incaricati UI (così come la decentralizzazione al suo interno, oppure la rappresentanza di tutte le CI in seno all’Assemblea: ma questi sono altri argomenti), non è una pratica che si può risolvere in maniera troppo sbrigativa. Può essere, invece, l’ordine del giorno fondamentale del mandato della nuova assemblea che verrà eletta nella tarda primavera. ●
Vita, colore e sentimento nella Venezia dell’800 Opere dei maestri più noti dell’800 veneto tra i quali Bartolomeo Bezzi, Guglielmo Ciardi, Giacomo Favretto, Pietro Fragiacomo, Cesare Laurenti, Alessandro Milesi, Luigi Nono, Ettore Tito, Federico Zandomeneghi. A presentarle è stata la rassegna Vita a Venezia. Colore e sentimento nella pittura veneta dell’800, allestita recentemente a Milano. Dipinti che esemplificano le tematiche ricorrenti nella pittura italiana dell’epoca, fra cui le scene di genere, il paesaggio e la ritrattistica. Un esempio ne è il seducente movimento delle figure nella Piazza San Marco di Tito. Rimarcano, inoltre, quella suggestione di vita quotidiana, numerosi capolavori tra quali spiccano In pescheria di Laurenti ed El va di Favretto. Di grande interesse anche le vedute paesaggistiche che emergono dalle opere di Guglielmo Ciardi, Pietro Fragiacomo, Bartolomeo Bezzi, accomunate dalla ricerca della linea dell’orizzonte e da un’atmosfera lirica, intima, malinconica e volutamente alternativa a quella della consueta veduta che negli anni Ottanta ha ancora molti esponenti: da Grubacs a Querena a Caffi ad Antonietta Brandeis. Opere come Piazza San Marco, invece, testimoniano il ritorno in auge delle scene in costume tipico del revival settecentesco, grazie alla riscoperta della pittura tiepolesca e dei temi goldoniani avvenuta principalmente ad opera di Pompeo Gherardo Molmenti. “El và”, olio su tavola di Giacomo Favretto del 1884. In alto a sinistra: “Piazza San Marco”, olio su tavola di Ettore Tito del 1884. A sinistra: “Sul Canal Grande”, olio su tela di Pietro Fragiacomo, e a lato: “In pescheria”, pastello su carta di Cesare Laurenti del 1887 <strong>Panorama</strong> 59
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