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Edizione di FORLI (ven, 1 feb 2013)<br />
IL TRISTE AMARCORD SOMIGLIANZE E DIFFERENZE CON ALLORA<br />
Quel 1999 tra sofferenza e sotterfugi<br />
E l’aiuto della città non arrivò<br />
http://sfogliatore.quotidiano.net/webedicola.php?edizione=FORLI&issu...<br />
di UGO RAVAIOLI<br />
«NON FIDATEVI di questa persona: <strong>il</strong> becchino della Libertas». Alle prime avvisaglie dell’estate<br />
del 1999 la scritta comparve su oltre un paio di migliaia di manifestini che tappezzarono <strong>Forlì</strong>.<br />
Contornava <strong>il</strong> ritratto del presunto becchino, Piero Paganelli, da qualche giorno ex proprietario<br />
della maggiore squadra di basket cittadina. Il virtuale certificato di morte era stato siglato <strong>il</strong> 12<br />
giugno, un sabato, nello studio di un commercialista di via Biondini. Tecnicamente si trattava di<br />
una fusione: la Dinamo Sassari assorbiva la Libertas <strong>Forlì</strong>. Agli effetti pratici l’atto si traduceva<br />
però nella cessione di fatto del diritto sportivo. Sassari, retrocessa, recuperava un posto nel<br />
campionato di A2. La Libertas <strong>Forlì</strong>, sesta nella regular season e semifinalista ai playoff,<br />
scompariva dalla faccia della terra.<br />
UNA PIETRA TOMBALE calava insomma su una società che aveva alle spalle 53 anni di storia<br />
e 26 partecipazioni ai tornei delle massime serie. All’epoca erano ancora in corso le vecchie lire e<br />
anche in economia un campionato di A2 esigeva un budget attorno ai 2 m<strong>il</strong>iardi. Troppi per una<br />
compagine sociale in cui Paganelli, che oggi lavora per una company californiana che commercia<br />
in tutto <strong>il</strong> mondo prodotti per animali d’affezione, si era accollato — di ricapitalizzazione in<br />
ricapitalizzazione — la stragrande maggioranza delle quote, rischiando di finire in bolletta.<br />
Magari aveva sperato che lo sponsor, Carne Montana, si dimostrasse più munifico. O che<br />
qualcuno dei compagni d’avventura allargassero i cordoni della borsa.<br />
LA STAGIONE sportiva si concluse <strong>il</strong> 9 maggio a Livorno (l’allenatore era Renato Pasquali, oggi<br />
a Kiev in Ucraina, e in squadra c’erano Richardson, Monroe, Mujezinovic e <strong>il</strong> giovanissimo<br />
Bulleri) e nel giro di poche settimane si chiuse bottega. Sassari era retrocessa già <strong>il</strong> 18 apr<strong>il</strong>e e<br />
probab<strong>il</strong>mente è attorno a quelle date che si sv<strong>il</strong>upparono i primi contatti. Il patron del club sardo<br />
era un pezzo grosso, <strong>il</strong> penalista Dino M<strong>il</strong>ia, tre legislature come deputato del disciolto Partito<br />
Monarchico. Si mosse forse anche per motivi elettorali e spianare la strada al figlio Sergio, odierno<br />
assessore alla cultura e allo sport della Regione Sardegna e fresco candidato al Parlamento nelle<br />
liste dell’Udc.<br />
IN EXTREMIS, con un preliminare di vendita già in mano, Paganelli andò a bussare alla porta<br />
del sindaco Franco Rusticali per cercare una scappatoia. Le ore che precedettero <strong>il</strong> suggello<br />
dell’atto di fusione furono particolarmente convulse. Vennero coinvolti i potentati della politica e<br />
<strong>il</strong> gruppo Conad. Le disponib<strong>il</strong>ità non mancarono ma non risultarono sufficienti.<br />
Per la tifoseria fu una vicenda all’insegna di ‘prendi i soldi e scappa’. In realtà i 500-600 m<strong>il</strong>ioni<br />
intascati da Paganelli servirono semplicemente a tappare i buchi ma non a farlo rientrare dalle<br />
pesanti personali esposizioni. Già in inverno, e ce n’è traccia nei verbali dei consigli<br />
d’amministrazione, Paganelli aveva denunciato l’insostenib<strong>il</strong>ità della situazione. Più o meno<br />
come l’altro ieri ha fatto Grazioso. Senza che però qualche scialuppa di salvataggio salpasse in<br />
soccorso.<br />
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