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novembre dicembre 2011 - Club Alpino Italiano

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» la scomparsa di bonatti<br />

3» Aprile-maggio 1972. Namibia: tra le dune del Deserto del Namib<br />

a volte combinati, altre casuali, tra Dubino e la Val Veni. Per un<br />

tacito accordo non si parlava del passato suo e nostro: da parte sua<br />

era un atto di delicatezza nei confronti della nostra amicizia, che<br />

non voleva venisse inquinata dalle amarezze che da quel passato<br />

avrebbero segnato tutta la sua vita.<br />

Parlerò invece di un Walter molto famigliare, capace di insospettabili<br />

atteggiamenti di preoccupazione paterna nei confronti dei più<br />

giovani e meno esperti, e di tenerezza filiale nei confronti degli<br />

anziani più fragili.<br />

Tutto cominciò da quella che non sospettai fosse l’inizio della fine,<br />

ma, ripensandoci ora, avrebbe potuto essere una premonizione.<br />

Salito dietro le quinte del palco del centro Santa Chiara, al Festival<br />

di Trento dello scorso maggio, per incontrarlo al termine della<br />

serata con Pierre Mazeaud ( si ricordava la tragedia del Pilone<br />

Centrale), mi strinse entrambe le mani e guardandomi con quel<br />

suo sguardo diretto e affettuoso mi disse:“So che c’eravate anche<br />

voi (mio fratello ed io) là sotto e vi impedirono di salire al Gamba,<br />

ma ne parleremo quest’estate con calma”. Era la prima volta che<br />

accennava al passato, dandoci appuntamento come di consueto<br />

per l’estate in Val Veni, appuntamento che non potè mantenere.<br />

Alla fine degli anni ’50 a Courmayeur casa sua era sempre aperta<br />

per noi ragazzi che gli sottoponevamo i nostri progetti di ascensioni<br />

e di vie nuove, ed era prodigo di consigli, indicazioni, ammonimenti.<br />

Le sue parole ci infondevano coraggio, i suoi inviti alla<br />

prudenza aggiungevano esperienza alla nostra scarsa esperienza.<br />

Questo suo atteggiamento accresceva la fiducia in noi stessi e la<br />

consapevolezza dei nostri limiti. Sapevamo che lui, da lontano o<br />

da una lunghezza di corda ci teneva d’occhio, conosceva le nostre<br />

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mete e le nostre possibilità, e che non avrebbe mai consentito che<br />

ci mettessimo nei guai. Non per questo faceva pesare la sua superiorità:<br />

era forte con i forti, ma umile con i deboli; io, noi, alpinisticamente<br />

parlando eravamo dei microbi rispetto a lui, ma tutti i<br />

suoi comportamenti erano improntati a un concetto di parità per<br />

cui non faceva sentire inferiori, bensì potenzialmente in grado di<br />

essere alla sua altezza.<br />

Più di una volta incontrando per le vie di Courmayeur nostra madre<br />

in ansia per noi la tranquillizzava con tenerezza, a volte mentendole<br />

sulle nostra vera meta di quel giorno. Ma se non parlava<br />

del passato pensava e parlava del futuro. Come quel giorno di<br />

qualche hanno fa quando, poco prima del tramonto percorrevamo<br />

insieme un tratto di sentiero pianeggiante sul limitare del bosco<br />

del Frêney, un luogo a lui caro; lui con l’inseparabile Rossana, io<br />

con mia moglie e mia madre allora novantatreenne. Rivolgendosi<br />

a quest’ultima disse: “Signora, non vorrei essere stato al suo<br />

posto quando portava il peso della preoccupazione per i suoi figlioli<br />

lassù, ma vorrei giungere alla sua età con la serenità che<br />

ha maturato superando quelle esperienze”. Il destino ha disposto<br />

diversamente e mia madre, ora novantasettenne, ha pianto per la<br />

morte di quell’uomo, nelle mani del quale poco meno che trentenne<br />

deponeva almeno idealmente la sorte dei suoi ragazzi di una<br />

decina d’anni più giovani. Walter non si sottrasse mai a quella<br />

responsabilità ideale, ed ora, personalmente, mi fa piacere pensare<br />

che forse è nello stesso cielo di altri tre amici e maestri: Andrea<br />

Oggioni, Luciano Tenderini e Gino Buscaini, miei punti di riferimento<br />

sulla montagna e nella vita.<br />

Mi è stata chiesta qualche foto scattata a Walter per illustrare queste<br />

note: ebbene, non ne ho. Nonostante le varie occasioni non<br />

abbiamo mai pensato a fotografarci, consapevoli del fatto che il<br />

ricordo delle persone che più contano non lo si trasferisce sulla<br />

carta, ma lo si porta nel più profondo del cuore.<br />

Ora non mi resta che condividere il lutto con coloro che gli sono<br />

stati più vicini, perché quando si ha avuto la fortuna e il privilegio<br />

di godere dell’amicizia e della considerazione di un Grande Uomo,<br />

doppio è il dolore per la sua morte: in primo luogo per lui, che noi<br />

consideravamo immortale; in secondo luogo per noi, che siamo<br />

privati della forza e della saggezza che non ha mai cessato di trasmetterci<br />

con il suo esempio di coerenza e fedeltà ai propri ideali.<br />

SiLviA meTZeLTin bUScAini - alpinista, scrittrice<br />

Walter è stato il riferimento alpinistico ammirato per tutta la vita<br />

da Gino Buscaini, che lo incontrò dopo aver ripetuto in prima<br />

solitaria la sua via al Grand Capucin. Fu un omaggio simbolico,<br />

non solo affermazione propria. Io lo incontrai a un convegno del<br />

Filmfestival di Trento, seduto accanto a noi sugli scalini del Grand<br />

Hotel. Benché indossasse un’elegante giacca scamosciata, non era<br />

stato ritenuto vestito adeguatamente per la serata di gala ed era<br />

rimasto fuori a cantare insieme a noi invitati esclusi. L’incontro<br />

significativo avvenne l’estate successiva, quando a Courmayeur<br />

andai a chiedere soccorso per amici rimasti bloccati dalla bufera<br />

sull’Aiguille Noire. A questa richiesta, uno degli ammessi al citato<br />

cenone di gala mi rispose “Ma chi paga?”. Indelebile la figura di<br />

Walter che, arrivato di notte sotto pioggia battente con altri amici<br />

suoi, precisò che loro partivano in soccorso per pura solidariarietà.<br />

Nel 1965 egli chiuse con l’alpinismo ufficiale e le sue dichiarazioni<br />

apparvero un po’ plateali. Quando Gino gli chiese la relazione

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