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novembre dicembre 2011 - Club Alpino Italiano

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» ScienZA<br />

a questo scopo curiosi ma efficienti espedienti di sopravvivenza.<br />

L’abete nero, per esempio, produce coni (pigne contenenti i<br />

semi) raggruppati nella parte apicale della pianta in modo da proteggerli<br />

dal calore sprigionato dall’incendio. Le squame dei coni<br />

sono saldate da uno spesso strato di resina: durante il passaggio<br />

dell’incendio, la resina fonde facendo aprire le squame e liberando<br />

i semi. Questi ultimi, cadendo sul suolo arricchito dalle ceneri<br />

lasciate dal fuoco, possono finalmente germinare. Nell’anno<br />

successivo all’incendio quindi, si sviluppa un tappeto di piccole<br />

piantine (semenzali) che formeranno una nuova foresta. I semi<br />

del pino grigio possono rimanere dormienti ma vitali per oltre 10-<br />

15 anni per ricolonizzare il terreno anche dopo ripetuti passaggi<br />

del fuoco. Il pioppo tremulo, invece, si rigenera rapidamente dopo<br />

l’incendio per un riscoppio di gemme dormienti presenti nelle<br />

radici. Anche gli incendi frequenti quindi non danneggiano questa<br />

specie ma ne stimolano il rinnovamento incrementandone la<br />

presenza in bosco.<br />

La popolazione di alcuni insetti fitofagi (che si nutrono di piante)<br />

può talvolta esplodere in maniera epidemica creando distruzioni<br />

di proporzione pari ad un incendio. L’ultima epidemia di una farfalla<br />

tortricide verificatasi nel nord America fra il 1974 ed il 1988<br />

ha devastato più di 55 milioni di ettari di foresta con una perdita<br />

stimata di 200 milioni di metri cubi di conifere, corrispondenti a<br />

10 anni di prelievo forestale. Dopo 4-5 anni di epidemie ripetute,<br />

gli alberi sono irrimediabilmente destinati alla morte. Tuttavia,<br />

la morte delle piante lascerà spazio allo sviluppo di una nuova<br />

generazione di alberi. Come per gli incendi, anche per gli insetti<br />

la vegetazione arborea possiede possiede efficaci meccanismi di<br />

resilienza (cioè di capacità di ritornare alla situazione di partenza<br />

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2» Con i suoi 12 milioni di chilometri quadrati, la foresta boreale rappresenta<br />

quasi il 30% delle foreste mondiali e costituisce uno dei più importanti<br />

ecosistemi del pianeta: un vero e proprio patrimonio naturale<br />

dell’umanità. Manicouagan, QC, Canada. Foto©V. Levasseur<br />

dopo un evento perturbatore). Le piantine di abete balsamico, per<br />

esempio, sono in grado di svilupparsi anche all’ombra delle piante<br />

adulte. Siccome le larve degli insetti preferiscono nutrirsi sugli<br />

alberi di maggiori dimensioni, le piccole piantine vengono risparmiate.<br />

Così, se le piante dominanti muoiono, la rinnovazione può<br />

riprendere a crescere vigorosamente e ricostituire in pochi anni il<br />

popolamento forestale.<br />

fiSionomiA deL PAeSAGGio boreALe<br />

Gli eventi perturbatori scolpiscono e creano il paesaggio dell’ecosistema<br />

boreale: il passaggio dell’incendio o il verificarsi di una<br />

epidemia di insetti lascia grandi aperture su cui nascono o si sviluppano<br />

nuovi individui arborei creando così un mosaico multiforme<br />

di popolamenti con età e composizione differente che si<br />

alternano alle zone umide. In America, il 20% della superficie<br />

della foresta boreale è occupata da fiumi, ruscelli, laghi, zone acquitrinose,<br />

paludi e torbiere. Si stima che la sola foresta canadese<br />

contenga oltre 1,5 milioni di laghi. Il risultato è un insieme ricco<br />

e variegato di configurazioni vegetazionali che sono funzione del<br />

clima, della topografia e profondità del suolo e degli eventi perturbatori,<br />

con alberi piccoli e grandi di diverse specie fra conifere<br />

e latifoglie, a diversi stadi di maturazione. Tutte queste componenti<br />

costituiscono gli elementi di supporto della fauna e della<br />

flora che, per le loro caratteristiche e tipicità, rappresentano la<br />

parte integrante dell’ecosistema della foresta boreale. «<br />

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