novembre dicembre 2011 - Club Alpino Italiano
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LA riviSTA 6 | <strong>2011</strong> 63<br />
cosa li spinga a sopportare pesanti<br />
permanenze sotterranee,<br />
senza la prospettiva di raggiungere<br />
il fondo.<br />
Lasciati i modul risaliamo le<br />
corde, uscendo in tempo per<br />
scaldarci al sole e per una doccia<br />
di fortuna: l’acqua che ricaviamo<br />
dalla fusione dei nevai<br />
è razionata, ma periodicamente<br />
se ne può approfittare per lavarsi<br />
e tornare alla decenza.<br />
Quanto a berne è un’altra cosa:<br />
quella che otteniamo è piena<br />
di parassiti e si può consumare<br />
solo dopo bollitura. Per due<br />
settimane berremo solo thè.<br />
L’eccezione è il vino armeno,<br />
dolce da morire, che sale dalla<br />
malga portato dai pastori, sempre<br />
sorridenti, sebbene armati<br />
di kalashnikov.<br />
IL fONDO DEI fONDI<br />
Il 13 mattina siamo in quattro<br />
con gli occhi già nel pozzo,<br />
Io, Roberto, Denis e Eugeny, il<br />
russo che sembra uscito da un<br />
film. Nessuna sosta prevista<br />
fino a -1.400, al campo Sandy<br />
Beach.<br />
Più che una discesa, la nostra<br />
sembra una caduta controllata<br />
su corda. Superiamo la zona<br />
dei meandri ed infine siamo al<br />
campo, il più spazioso; prima<br />
di mangiare Denis ci invita a<br />
prendere una pillola protettiva<br />
per le infezioni intestinali, mostrandoci<br />
la latrina del campo:<br />
si trova a tre metri dalla tenda,<br />
pure rialzata rispetto a questa;<br />
i liquami scendono per gravità<br />
ed è normale che si arrivi presto<br />
alla contaminazione: dalla<br />
suola degli scarponi al thè è<br />
solo questione di tempo…<br />
Dopo un paio d’ore di sosta,<br />
usciamo dalla tenda per prepararci:<br />
è il momento di indossare<br />
'l’idrocostume', una sorta di<br />
tuta stagna che dovrebbe farci<br />
superare all’asciutto le acque di<br />
Bermuda, il sifone che ci attende<br />
poco oltre il campo: è una<br />
squallida pozza color caffelatte<br />
lunga tre metri, ma dovremo<br />
farne un paio in più per essere<br />
certi di riaffiorare fuori dall’acqua.<br />
La cosa funziona così: ci<br />
si mette la maschera subacquea<br />
e la cintura con i piombi, che<br />
servono a zavorrarsi per evitare<br />
di impigliarsi sulla volta del<br />
sifone e morire annegati.<br />
Scopro di avere i polsini larghi:<br />
per farli stagnare sono<br />
costretto a tirare su le maniche<br />
fino al gomito. Ci siamo, è il<br />
momento di andare in acqua.<br />
Dopo Roberto tocca a me: tre<br />
respiri profondi, poi dentro,<br />
nell’acqua gelida, senza vedere<br />
nulla. Mi tiro sulla corda per<br />
alcune bracciate, trattenendo il<br />
fiato ed infine riaffioro in superficie:<br />
sono dall’altra parte,<br />
siamo a Second Life.<br />
Scendiamo pozzi per 50 mt,<br />
alla base dei quali finalmente<br />
togliamo l’idrocostume, scoprendo<br />
che nessuno aveva le<br />
porte veramente stagne. Procediamo<br />
per gallerie ed un<br />
numero infinito di brevi salti,<br />
ma dopo un’altra ora siamo al<br />
campo tre, a -1.650. Qui termina<br />
la corsa della giornata,<br />
ma prima di cadere nel sonno<br />
mettiamo la sveglia: bisogna<br />
ricordarlo, qui la notte è eterna<br />
e nessuna alba ci sveglierà.<br />
Quella del giorno dopo è arti-<br />
ficiale, alla luce calda dell’acetilene;<br />
dopo colazione chiudiamo<br />
la tenda: ora la direzione<br />
per il fondo non segue più la<br />
forza di gravità. Dopo duecento<br />
metri di cunicoli punitivi riprendiamo<br />
la posizione eretta,<br />
lasciandoci alle spalle Way of<br />
the dream, il solo nome che riesce<br />
ad esprimere la forza di un<br />
sogno che ha condotto russi ed<br />
ucraini oltre il limite dei duemila<br />
metri.<br />
Dopo averne fatte, di cord<br />
e e di roba, il frontale elettrico<br />
illumina qualcosa di chiaro in<br />
lontananza.<br />
È la tenda in cui vivono Yuri<br />
Bazilievskj e gli altri due speleosub<br />
in appoggio, contenti di<br />
vederci poiché siamo le prime<br />
forme di vita che vedono da<br />
molto.<br />
Yuri è già 5 giorni che si trova<br />
in questo posto infame: la tenda<br />
è per tre posti scarsi, e si trova<br />
in una bassa galleria tra due<br />
pozzi, l’unico posto dove c’è<br />
spazio. Qui il Voronja è ad un<br />
bivio importante: se si scende il<br />
pozzetto che precede la tenda,<br />
si prende la via dei sifoni fino<br />
a Dva Kapitana. Questa è la via<br />
che prenderà Yuri nel rischioso<br />
tentativo di portare l’uomo<br />
dalla sommità di un altopiano<br />
al livello del mare.<br />
Dopo averli salutati, prendiamo<br />
l’altra via, che si affaccia<br />
su Millennium, il pozzo di 40<br />
metri a metà del quale si varca<br />
la fatidica soglia dei 2mila.<br />
Scese altre corde la strada è<br />
quella di una bassa condotta<br />
fangosa, semiallagata nel finale:<br />
direi che ci siamo. Questo è<br />
il luogo che cercavamo, l’idea<br />
che ci ha portati in Caucaso.<br />
È Gra Skinchylas, ma i più lo<br />
conoscono come game over, il<br />
fondo fossile della grotta più<br />
profonda del mondo, a 2.060<br />
metri di profondità.<br />
I PIU’ fORtI<br />
Ripenso agli speleosub, ormai<br />
intenti ad immergersi profondi<br />
nel Voronja: la speleologia<br />
russa, almeno sul piano<br />
esplorativo, dimostra una superiorità<br />
indiscussa.<br />
Ho ascoltato uno dei più forti:<br />
Andrej Shuvalov, mentre<br />
raccontava la spedizione alla<br />
Snezna, un abisso che richiede<br />
dieci giorni per scendere al<br />
fondo ed almeno altrettanti<br />
per rivedere la superficie, su<br />
montagne percorse da bande<br />
di ribelli con il kalashnikov,<br />
pronti a derubarti di ogni<br />
avere; sembrava un romanzo<br />
d’avventura d’altri tempi, ma<br />
era tutto vero.«<br />
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