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editoriale<br />
Dal Salone verso il mondo<br />
Ma l’export di ieri non basta<br />
di David Pambianco<br />
Il Salone del Mobile ha segnato un altro momento di grande successo mediatico.<br />
Le cifre sono, come al solito, impressionanti. A Milano, nella settimana dell’evento,<br />
sono arrivate oltre 300mila persone per osservare e toccare con mano le novità del<br />
design e dell’arredo. In questa armata di visitatori, cresce in modo esponenziale la presenza<br />
estera che si caratterizza, si organizza e si rafforza anche all’interno delle mura<br />
del Salone, con roccaforti espositive sempre più connotate. Su tutte, per i progressi<br />
compiuti, le aziende di Svezia, Brasile e Cina.<br />
Può essere interessante fare un parallelo con i fasti della Milano della moda degli anni<br />
Novanta. Anche allora ci si apriva fiduciosi e si conquistava il mondo. Anche allora si<br />
riteneva che nessuno potesse imitare la formula milanese di evento. Viceversa, quella<br />
formula è stata copiata. Le capitali della moda si sono moltiplicate e si moltiplicheranno<br />
ancora. La moda milanese è rimasta ferma a quel modello per un tempo infinito, e<br />
ci ha messo almeno un decennio prima di prendere coscienza della necessità di quella<br />
svolta che sembra essere arrivata con l’ultima assemblea (vedi articolo all’interno).<br />
Il Salone del Mobile, insomma, corre il rischio di rappresentare un ologramma<br />
ingannatore. Permette di crogiolarsi su un’immagine di superiorità apparentemente<br />
invincibile. Mentre, viceversa, la rappresentazione non corrisponde più allo stato di<br />
salute reale di quell’industria che ci sta dietro. L’arredo nazionale appare variegato<br />
nelle strategie, con brand di livello internazionale, catene che brillano e consolidano<br />
(spesso con posizionamento low cost), ma anche moltissime piccole realtà, le quali si<br />
trovano in forte difficoltà. In generale, il comparto paga un nanismo – aspetto cronico<br />
del made in Italy – che sta ancorando il destino delle aziende all’infelice destino dell’economia<br />
italiana. I riflessi di questo ancoraggio sono evidenti. Confrontando il design<br />
con la moda, il mondo dell’arredo non solo ha esportato un terzo dei cugini (8,5 contro<br />
29 miliardi), ma la quota export sul totale fatturato si ferma al 53% contro il 67<br />
per cento. Soprattutto, ha esportato a raggio più limitato, concentrandosi in Europa e<br />
restando a distanze siderali da mercati quali il Giappone, Hong Kong e Cina.<br />
L’arredo, è vero, a differenza della moda, sconta la differenza di barriere logistiche che<br />
può passare tra movimentare una borsetta e una cucina. Perciò, negli appelli moltiplicatisi<br />
in questi giorni sulla necessità di esportare - concetto che è oramai una scontata<br />
necessità da un decennio – è utile riflettere su queste barriere. Non è tanto l’export la<br />
chiave per un settore che cerca di innovare. La chiave deve essere il “come”.<br />
6 pambianco magazine 7 maggio 2013