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CONSULENTE DEL LAVORO<br />
CONSULENTE LEGALE<br />
La retribuzione chilometro<br />
dopo chilometro<br />
Le ore di viaggio per trasferte sono da considerarsi orario di lavoro<br />
sempre o solo nel caso siano necessarie per l’ attività lavorativa?<br />
a cura dello Studio Leoni<br />
Il fallimento per le società<br />
trasferite all’estero<br />
Spetta al giudice italiano decidere sul fallimento delle ditte situate<br />
in altri Paesi al solo scopo di evadere le imposte<br />
a cura di Paolo Broggi<br />
Come noto l’art. 1, comma 2 lett. a) del D. Lgs. n. 66/2003,<br />
riprendendo quanto disposto dalla direttiva 1993/104/CE,<br />
definisce l’orario di lavoro come «qualsiasi periodo in cui<br />
il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e<br />
nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni». I criteri che<br />
definiscono l’orario di lavoro consistono non solo nella presenza<br />
al lavoro del lavoratore ma anche nella sua messa a disposizione<br />
nei confronti del datore di lavoro nonché<br />
nell’essere nell’esercizio della sua attività o<br />
delle sue funzioni. Come si evince chiaramente<br />
dalla congiunzione “e” del dettato legislativo,<br />
tutti i criteri indicati devono coesistere al<br />
fine della riconduzione della prestazione<br />
lavorativa nella nozione di orario di lavoro.<br />
La definizione dettata dall’art. 1, comma<br />
2, del D. Lgs. n. 66/2003 ha notevolmente<br />
dilatato il concetto di orario lavoro rispetto<br />
alla previgente disciplina contenuta negli artt.<br />
1 e 3 del R.D.L. n. 692/1923 che si riferiva<br />
al concetto di lavoro effettivo quale «lavoro<br />
che richieda una applicazione assidua e<br />
continuativa», estendendone la nozione a<br />
tutte quelle attività che presuppongono una<br />
“messa a disposizione” a favore del datore di lavoro. In tal senso,<br />
la circolare n. 8/2005 di questo Ministero afferma che «l’attuale<br />
formulazione ha una accezione certamente più ampia, così come<br />
ha chiarito la stessa Corte di Giustizia Europea, che ha ritenuto<br />
compresi nell’orario di lavoro i periodi in cui i lavoratori sono<br />
obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dai<br />
datori di lavoro e a tenervisi a disposizione di quest’ultimo per<br />
poter fornire immediatamente la loro opera in caso di necessità».<br />
Tuttavia, nonostante l’estensione del concetto di orario di lavoro,<br />
permane la problematica della computabilità del tempo di viaggio<br />
per trasferta nell’attività lavorativa poiché l’art. 8 del D. Lgs. n.<br />
66/2003 ha confermato l’esclusione dall’orario di lavoro del tempo<br />
impiegato per recarsi al lavoro, così come previsto all’art. 5 del<br />
R.D. n. 1955/1923 e dall’art. 4 del R.D. n. 1956/1923, stabilendo<br />
che tale periodo di tempo non è retribuibile e non può essere<br />
computato nell’orario di lavoro. Pertanto il tempo impiegato dal<br />
lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta non<br />
costituisce esplicazione dell’attività lavorativa<br />
ed il disagio che deriva al lavoratore è assorbito<br />
dall’indennità di trasferta. D’altro canto la<br />
giurisprudenza, seppure con riferimento alla<br />
nozione di orario di lavoro effettivo dettata<br />
dal R.D. n. 692/1923, ha negato costantemente<br />
che il tempo di viaggio in occasione della<br />
trasferta possa rientrare nell’esplicazione<br />
dell’attività lavorativa evidenziando che il<br />
disagio psicofisico e materiale del lavoratore<br />
viene compensato dall’indennità di trasferta.<br />
Più recentemente, con la sentenza n. 5701 del<br />
22 marzo 2004, la Cassazione ha affermato che<br />
«il tempo impiegato per raggiungere il posto<br />
di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera<br />
e propria (con sommatoria al normale orario<br />
di lavoro), allorché sia funzionale rispetto alla prestazione. Tale<br />
requisito sussiste quando il dipendente, obbligato a presentarsi alla<br />
sede dell’impresa, sia inviato, di volta in volta, in varie località per<br />
svolgere la prestazione lavorativa». Tuttavia, sempre nella stessa<br />
sentenza, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che «salvo<br />
diverse previsioni contrattuali, il tempo impiegato giornalmente<br />
per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta<br />
non può considerarsi come impiegato nell’esplicazione dell’attività<br />
lavorativa vera e propria, non facendo parte dell’orario di lavoro<br />
effettivo, e non si somma quindi al normale orario di lavoro».<br />
Nell’era della globalizzazione si è registrata una<br />
forte tendenza da parte degli imprenditori italiani a<br />
trasferire società all’estero, e ciò sia per la necessità di<br />
internazionalizzare i propri prodotti che per le migliori condizioni<br />
produttive, ed in alcuni casi - meno virtuosi - anche per sfuggire<br />
ai creditori.<br />
Secondo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione a<br />
Sezioni Unite (nr.8426- depositata il 09/04/2010) è stato sancito<br />
il principio secondo il quale : «In tema di fallimento, sussiste la<br />
giurisdizione del giudice italiano nel caso di trasferimento della<br />
sede legale all’estero della società prima della presentazione e/o<br />
del deposito della istanza di fallimento, qualora tale trasferimento<br />
risulti fittizio».<br />
In via generale ai sensi dell’art. 9 della la Legge Fallimentare<br />
(R.D. 16/03/1942, n. 267) Il fallimento è dichiarato dal tribunale<br />
del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa,<br />
ove per sede principale si intende il centro dell’attività direttiva,<br />
amministrativa ed organizzativa. Nel caso in esame gli Ermellini<br />
hanno rigettando il ricorso dispiegato da un imprenditore<br />
contro il provvedimento con cui la Corte d’appello di Roma<br />
aveva dichiarato il fallimento di una Srl, nonostante la società<br />
avesse la sede all’estero, nella fattispecie in Romania. I legali<br />
della ricorrente nel giudizio di merito avevano eccepito il<br />
difetto di giurisdizione del giudice italiano in conseguenza<br />
proprio dell’avvenuto trasferimento della sede della Società<br />
dall’Italia alla Romania. Nel giudizio di primo grado i giudici<br />
avevano rilevato che il trasferimento della sede era fittizio in<br />
quanto determinato da ragioni puramente fiscali. Circostanze<br />
queste ultime confermate dalle medesime dichiarazioni rese<br />
dall’imprenditore, il quale aveva riconosciuto che: «… le cessioni<br />
di quote e le nomine degli amministratori erano false …» e che:<br />
«…gli amministratori stranieri trovati erano dei prestanome ai<br />
quali erano stati pagati dei soldi per sottoscrivere gli atti …».<br />
Infatti, essendo mancato il trasferimento all’estero della società,<br />
- si legge nelle motivazioni della Sentenza della Cassazione<br />
- considerato motivatamente falso nella sentenza del giudizio<br />
di merito, è ovvio che, ove esso fosse stato effettivo, avrebbe<br />
comportato la giurisdizione del giudice rumeno (ai sensi dell’art.<br />
3, comma 1 del Regolamento CE del Consiglio del 29 maggio<br />
2000), tuttavia inapplicabile nel caso di in esame, per cui la<br />
Corte di merito ha coerentemente rigettato l’eccezione di difetto<br />
di giurisdizione del giudice italiano. Gli Ermellini, che hanno<br />
accolto l’impostazione dei giudici di merito, hanno affermato<br />
che, avendo la società sede in Romania solo fittiziamente,<br />
sussiste la giurisdizione dell’Italia poiché è stato comprovato<br />
che il trasferimento della sede aveva il particolare e unico scopo<br />
di eludere il fisco italiano; nella fattispecie hanno ritenuto fittizio<br />
il trasferimento, in quanto destinato solo a ridurre gli oneri fiscali,<br />
essendo – nella realtà - rimasto in Italia il centro degli interessi e<br />
l’attività dell’impresa. Le Sezioni Unite della Cassazione si erano<br />
già espresse in passato in merito, in particolare in un caso analogo<br />
era stato sancito il principio secondo il quale: «…se anteriormente<br />
alla presentazione dell’istanza di fallimento, la società abbia<br />
trasferito all’estero la propria sede legale, e tale trasferimento<br />
appaia fittizio, non avendo ad esso fatto seguito l’esercizio di<br />
attività economica nella nuova sede, né lo spostamento presso<br />
di essa del centro dell’attività direttiva, amministrativa ed<br />
organizzativa dell’impresa, permane la giurisdizione del giudice<br />
italiano a dichiarare il fallimento». Principio affermato dalla<br />
Cassazione Civile a Sezioni Unite nr.11398 del 18/05/2009, in<br />
riferimento ad un caso in cui la società, già avente sede in Italia,<br />
aveva trasferito la propria sede legale in Spagna nell’imminenza<br />
della presentazione dell’istanza di fallimento, quando la<br />
situazione d’insolvenza era già ampiamente in atto, senza che<br />
tale trasferimento trovasse riscontro nell’iscrizione nel registro<br />
delle imprese dello stato estero.<br />
Eugenio Leoni<br />
Consulente del lavoro, esperto in materie sindacali e rapporti con gli enti pubblici, case editrici, società<br />
sportive e dello spettacolo. È titolare dello Studio Leoni, attività con 30 dipendenti e 10000 paghe mensili<br />
elaborate.<br />
Studio Leoni - Via Statuto, 4 - 20121 - Milano<br />
Tel. 02 36573500 - Fax. 02 62910074 - info@studioleoni.it - www.studioleoni.it<br />
Avv. Paolo Broggi<br />
Avvocato civilista del Foro di Milano. Si occupa prevalentemente di diritto civile, commerciale e di problematiche<br />
legate al diritto di famiglia.<br />
116 N.55<br />
CM<br />
M C 117<br />
N.55