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È<br />
un mare di jeans che inonda il pianeta ogni<br />
anno. Più o meno 5 miliardi di paia, commissionati<br />
dai giganti della moda, tra cui non potevano<br />
davvero mancare gli <strong>it</strong>aliani: Gucci, Versace,<br />
Dolce&Gabbana, Armani, Benetton, insomma<br />
tutta la compagnia dell’eleganza. È la richiesta che<br />
mette in moto una rudimentale catena di montaggio<br />
che ha i suoi pilastri nei paesi in via di sviluppo.<br />
Dal Bangladesh al Messico, dalla Cina all’Eg<strong>it</strong>to,<br />
dalla Giordania e Siria all’Indonesia, India, Pakistan,<br />
Cambogia. Oltre, ovviamente, alla Turchia.<br />
È <strong>qui</strong> che si fabbrica il vintage, che i jeans diventano<br />
stazzonati, sbiad<strong>it</strong>i. Per creare l’illusione di un<br />
capo “vissuto” e far girare la testa a miliardi di<br />
adolescenti, spesso in età avanzata, che non es<strong>it</strong>ano<br />
a spendere centinaia di euro per una di quelle<br />
meraviglie. È <strong>qui</strong> la radice di prof<strong>it</strong>ti colossali. È <strong>qui</strong><br />
che impazza il sandblasting omicida. La silice<br />
scagliata con la violenza dell’alta pressione contro<br />
l’incolpevole tessuto di cotone. E che con violenza<br />
attacca e distrugge i polmoni dei lavoratori.<br />
Non c’è bisogno della zingara per capire perché la<br />
sabbiatura abbia tanto successo. I meccanismi<br />
della macchina produttiva cap<strong>it</strong>alista sono cinicamente<br />
semplici. Il sandblasting è il procedimento<br />
più economico. Le alternative esistono: dalla<br />
modesta carta vetrata al trattamento chimico con<br />
permanganato di potassio, dalla candeggina ai<br />
gusci di noci e noccioli di frutta sbriciolati, fino alil<br />
Salvagente/23 dicembre 2010-6 gennaio 2011<br />
37 ab<strong>it</strong>i pul<strong>it</strong>i<br />
anche la volontà pol<strong>it</strong>ica di assestare un<br />
colpo decisivo a un business multimiliardario,<br />
che nel 2008 ha reso la Turchia il<br />
maggior esportatore mondiale di jeans. E<br />
ha rinvigor<strong>it</strong>o l’economia nazionale con<br />
l’afflusso di quasi due miliardi di euro.<br />
IL TUNNEL DI GAULEY PARK,<br />
PRIMO DELITTO DELLA SILICE<br />
E<br />
rano gli anni della Grande Depressione.<br />
Enormi masse di persone<br />
si spostavano negli Stati Un<strong>it</strong>i per<br />
guadagnarsi la v<strong>it</strong>a. Si prendeva il poco lavoro disponibile dove si trovava. Circa 5mila operai avevano raggiunto<br />
con le famiglie il Sud-est della Virginia. Sarebbero andati a scavare la Gauley Mountain. Per aprire un tunnel<br />
di tre miglia (poco meno di cinque chilometri): l’Hawk’s Nest Tunnel (galleria Nido di falco). Il tunnel avrebbe<br />
deviato le acque del fiume New River, convogliandole verso enormi turbine che avrebbero forn<strong>it</strong>o energia all’azienda<br />
Electro-Metallurgical. Superfluo dire che le paghe erano irrisorie e le condizioni di lavoro spaventose.<br />
Le rocce su cui gli operai si accanivano con le perforatrici e gli altri strumenti da scavo, non esclusa la dinam<strong>it</strong>e,<br />
erano gonfie di silice. Dato non ignoto all’azienda. Non a caso, i funzionari che si addentravano nel cantiere<br />
erano sempre dotati di maschere. Gli operai, invece, lavoravano a viso scoperto, senza alcuna protezione.<br />
La silice sprigionata dalle perforazioni, pertanto, seguiva indisturbata le proprie evoluzioni; si infilava nelle<br />
bocche, scivolava nei polmoni.<br />
Quando il lavoro fu completato, quattrocentosei lavoratori mancavano all’appello. Nell’arco di un paio di<br />
anni, altri millecinquecento contrassero la malattia. Il tunnel di Gauley Bridge è consegnato alla storia<br />
come uno dei peggiori disastri industriali dell’America. E la c<strong>it</strong>tadina di Gauley Bridge assunse<br />
l’etichetta sinistra di C<strong>it</strong>tà della Morte Vivente.<br />
CINA, INDIA E TURCHIA<br />
Il business<br />
del vintage<br />
a basso costo<br />
SI CONTINUANO A USARE TEC-<br />
NICHE RISCHIOSE. EPPURE LE<br />
ALTERNATIVE ESISTONO.<br />
la sofisticata tecnologia del laser. E il mercato offre<br />
anche sabbiatrici automatizzate. Ma il sandblasting<br />
manuale comprime al massimo i costi.E<br />
impiega una manodopera non qualificata, remunerata<br />
con salari da fame.<br />
Il procedimento ha il suo atto di nasc<strong>it</strong>a nell’ottobre<br />
del 1870. Lo aveva messo al mondo<br />
Benjamin Chew Tilghman, un ufficiale<br />
con il bernoccolo dell’inventore. Pare che lo<br />
avesse ispirato il vento che nel deserto scagliava<br />
con forza la sabbia contro le finestre. Indicò<br />
alcune possibili applicazioni: incisioni su vetro,<br />
affilatura di lame, pulizia di caldaie. Ottenne il<br />
brevetto. Ne ricavò fama e onore.<br />
Da allora il sandblasting ne ha fatta di strada. Oggi<br />
alimenta una filiera produttiva e un giro d’affari<br />
mastodontici. Resi appetibili da un imprecisato<br />
eserc<strong>it</strong>o di sabbiatori, quasi mai contrattualizzati,<br />
quei cinque miliardi di jeans rigenerati conoscono<br />
un’esaltante cresc<strong>it</strong>a di pregio. Già in partenza<br />
costano tre volte un comune jeans.A ogni<br />
passaggio, il valore aumenta.<br />
Fin quando arrivano nel campionario degli stilisti.<br />
Che dovrebbero spartirsi con i forn<strong>it</strong>ori il 60-70%<br />
del prezzo di listino. Di conseguenza, non hanno<br />
particolarmente a cuore le misure di sicurezza che<br />
le aziende del sandblasting potrebbero adottare,<br />
con un’ovvia ricaduta sui costi. Anzi, spesso non<br />
mancano di fare pressioni perché il costo per un<strong>it</strong>à<br />
di prodotto scenda ancora. Né i governi si affannano<br />
nell’opera di prevenzione; schiacciati<br />
dal deb<strong>it</strong>o estero, attendono come una manna investimenti<br />
di cap<strong>it</strong>ale straniero per far decollare<br />
economie depresse; <strong>qui</strong>ndi, se c’è da chiudere un<br />
occhio…<br />
Sia pure inconsapevolmente,<br />
Tilghman col suo marchingegno offrì un tributo<br />
alla silicosi. Scambiata dapprima per tubercolosi.<br />
Poi, nel 1937, il dipartimento del Lavoro degli<br />
Stati Un<strong>it</strong>i riconobbe il nesso di causal<strong>it</strong>à tra silicosi<br />
e sandblasting. Si approntarono le prime misure<br />
protettive. A distanza di anni, i bandi. La<br />
Gran Bretagna proibì il sandblasting nel 1949.<br />
L’Europa traccheggiò, ma nel 1966 ne seguì l’esempio.<br />
Senza battere ciglio, la filosofia globalizzante<br />
della delocalizzazione spostò nelle aree depresse<br />
quella produzione imbarazzante.<br />
Eppure, paradossalmente, sono proprio gli Stati<br />
Un<strong>it</strong>i, che il sandblasting hanno concep<strong>it</strong>o e allevato,<br />
a correre i maggiori rischi. Tra miniere, sandblasting<br />
ed edilizia, quasi due milioni di lavoratori<br />
sono a rischio. Un problema Neppure tanto.<br />
L’”American Journal of Industrial Medicine” informava<br />
nel 2003 che le ispezioni governative omettono<br />
di registrare migliaia di casi di silicosi. ●