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RAPPORTO DI RICERCA - Consorzio Sol.Co.

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strumenti elettrici per alzarsi/sedersi, salire le scale e fare il bagno, strumentiindividuati anche come comodità, probabilmente, oltre che come necessità.L’assistenza part-time è preferita, nelle richieste del nostro campione, rispetto aquella full-time (51% contro 34%), probabilmente anche in relazione alla gravitàdei soggetti coinvolti.C’è quindi bisogno di lavorare ancora molto per promuovere l’autonomia nelrispetto della dignità della persona. La vita autonoma è un concetto diffuso chesquarcia un nuovo orizzonte nei servizi alle persone con disabilità lievi o condisabilità fisiche, metaboliche. Garantire una vita autonoma vuol dire garantirelibertà, indipendenza, autodeterminazione, attraverso la realizzazione diprogrammi di aiuto alla persona, mediante piani personalizzati per i soggetti chene facciano richiesta, consentendo di dare attuazione all'art. 39 della legge104/1992, così come modificato dalla legge 21 maggio 1998, n. 162: le personecon disabilità sono titolari dei diritti fondamentali di libertà ed uguaglianza primofra tutti quello di auto-organizzarsi la propria vita. Ecco che diventa necessario,per una persona con disabilità avvalersi di ausili e supporti tecnici per essereaiutato a superare, o quanto meno ridurre, la sua disabilità. E nel momento in cuiun soggetto con disabilità si trova privo del sostegno familiare, nasce la necessitàdi poter contare su strutture che gli consentano di vivere in un ambiente in cui isuoi bisogni possano essere ascoltati e ricevano risposte adeguate.Le persone possono anche arrivare a scegliere personalmente sia le forme diaiuto sia le professionalità necessarie. Sarebbe auspicabile che vi fossero deiCentri, dei punti di riferimento a cui rivolgersi per operare autonomamente leproprie scelte.Quando, invece, le disabilità sono caratterizzate da danni gravi, damenomazioni o sono di tipo comportamentale e/o psichiatrico, l’autonomia nonpuò essere auto-organizzazione e bisogna elaborare, invece, un progetto di presain carico individualizzato, evidenziando e valorizzando le autonomie e le risorsepossibili.Dall’ analisi delle risposte al nostro questionario si evidenzia con chiarezza che lapersona con disabilità necessita non solo di cura, ma di competenza e attitudinealla capacità di “prendersi cura”. Stiamo parlando di community care, cheanche e soprattutto per i disabili significa: essere vicini a tutte le famiglie deidisabili, il “durante noi” che deve integrare, nel progetto globale di presa incarico, il “dopo di noi”.Accoglienza (Tab. 47 e 48): la maggior parte (80%) dei redattori del questionarioha avuto bisogno di aiuti e ha ricevuto supporto all’insorgenza della disabilità, il65%, probabilmente facendo riferimento alle associazioni di categoria e alle ASL,dichiara la presenza di strutture che hanno fatto la presa in carico. Accogliereuna richiesta di aiuto vuol dire innanzitutto poter ascoltare il bisogno più o meno“sommessamente gridato” e successivamente prendere la mano del richiedentee della sua famiglia ed insieme progettare risposte che siano coerenti con lerichieste. Ma vuol dire anche avere un Referente (centri istituzionali, ASL,cooperative…) cui rivolgersi che con il ruolo di cabina di regia possa mettere inrete tutti gli attori coinvolti nella relazione di aiuto al richiedente.Assistenza domiciliare e altri servizi ricevuti negli ultimi tre mesi ( Tab. 49 – 55): solol’11% ha usufruito negli ultimi tre mesi di assistenza domiciliare, prevalentementeda parte di medici specialisti e fisioterapisti, seguiti, in percentuale, da assistenti,assistenti sociali, infermieri e medici generici solo per l’8% a conferma di unandamento generalizzato che vede il medico di famiglia scarsamente presente adomicilio. L’assistenza domiciliare è stata richiesta soprattutto in caso di patologiecronico degenerative, di handicap psicofisico e sensoriale e solo nel 2,5% dei casi48

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