siderale, rispetto ai temi dell’interculturalità e dell’integrazione.Scrive Francesco Merlo:“Nel nostro paese più che nel resto d’Europa, le differenze linguistiche nonsono una novità. I nostri dialetti erano lingue ben strutturate che tenacementeresistettero alla penetrazione dell’italiano. Il gran lombardo AlessandroManzoni, uno dei monumenti della cultura nazionale, si dannò l’anima pertutta la sua lunga vita – ‘ saremo salvi se uni’ – sulla babele linguistica di unpaese che aveva ospitato mille storie, mille culture, Normanni e Longobardi,Aragonesi e Papalini, ducati, regni e marchesati, il Piemonte dei Savoia, laLombardia Austriaca, il Borbone Napoletano… Non fu facile, ma cel’abbiamo fatta. Anche perchè nessuna lega pensò di differenziare i ragazzi.(...) Ebbene, quell’Italia non fu mai razzista, mai differenziata. Al contrario,mandarono gli insegnanti siciliani nelle scuole lombarde e quelli piemontesi inCalabria e Lucania. Fu il caos a rendere ricca l’Italia.” 39Il problema esiste, è complesso e deve salvaguardare sia l’accesso all’istruzione deibambini stranieri inseriti nelle classi che non conoscono la lingua italiana, sia gli italianiche si ritrovano in classe talvolta numerosi compagni che non conoscono la lingua. E’d'altronde comprensibile che alcuni genitori, ad esempio, esprimano il timore che lapresenza di bambini stranieri in classe impedisca di svolgere il programma in modocompleto. La risposta a questa sfida è strettamente legata al destinare più risorse allascuola (così facendo, forniremmo maggiori chances al futuro della nostra società!). Unasoluzione già sperimentata è quella di consentire agli studenti stranieri di rimediare algap linguistico attraverso corsi integrativi pomeridiani, cosa che permetterebbe loro dimigliorare le competenze linguistiche senza isolarli. Purtroppo il taglio continuo deifondi destinati alla scuola rende di fatto impossibili tali interventi.Considerare i bambini stranieri sin dal loro ingresso a scuola un problema, un ostacoloper gli altri, non è la soluzione. Insegnare non è solo trasmettere nozioni, ma fornirestrumenti, capacità critica, di analisi, di confronto, attitudine a relazionarsi e affrontarela realtà: queste capacità si acquisiscono partecipando e riflettendo su ciò che cicirconda. Dov’è l’ utilità di relegare questi studenti in uno spazio residuale e separato?Questo orientamento a mio parere tradisce il desiderio di rimuovere la consapevolezzadi un processo storico (quello migratorio), inarrestabile e che non si sa governare.Fortunatamente ho constatato che all’interno del sistema scolastico, molti insegnantisono contrari alla costruzione di barriere preventive alla scuola dell’obbligo e fondate39Francesco Merlo , “Il muro tra i banchi” La Repubblica, 15.10.2008.24
sulla nazionalità, perché hanno consapevolezza che la diversità è fonte di crescitaculturale, occasione e non certo di limite, anche se, inevitabilmente, rende il loro lavoropiù complesso.3.6 Riconoscere e rendere visibile la dimensione pluri-etnica: i diritti, i segnipubblici, i gesti quotidiani, il diritto a sentirsi di casa.“La compresenza di etnie, lingue, culture, religioni e tradizioni diverse sullostesso territorio, nella stessa città, deve essere riconosciuta e resa visibile.Gli appartenenti alle diverse comunità conviventi devono sentire che sono‘di casa’, che hanno cittadinanza, che sono accettati e radicati. (…) Più siorganizzerà la compresenza (…) meno si avrà a che fare con dispute sullapertinenza dei luoghi e del territorio a questa o quella etnia: bisogna cheogni forma di esclusivismo o integralismo etnico venga diluita nella naturalecompresenza di segni, suoni e istituzioni multiformi (…). Convivere traetnie diverse sullo stesso spazio, con diritti individuali e collettiviappropriati per assicurare pari dignità e libertà a tutti, deve diventare laregola, non l’eccezione.” 40“Riconoscere” e “rendere visibile” sono due predicati usati nell’accezione concreta deitermini: nell’affondo di <strong>Langer</strong>, sono tradotti nell’espressione “sentirsi a casa”, sentirsiparte, sentirsi accettati e protetti nel cerchio caldo della comunità. Zygmunt Bauman,afferma che nelle affrettate relazioni umane della modernità:“(…) ciò che vediamo in superficie è la sola unità di misura di cui disponiamoper valutare l’estraneo (…) se tutto ciò che vediamo di un individuo è lafacciata, ci sono ben poche probabilità di dialogare e capire cosa c’è dietro.” 41Una politica del riconoscimento, che interpreti correttamente la realizzazione dei dirittientro la società, dovrebbe essere capace di proteggere l’integrità della persona neicontesti di vita in cui si forma la sua identità, attenta a garantire il carattere plurale euniversale dell’umanità. Il concetto di “universale” non contraddice il “plurale”:l’accettazione della diversità passa attraverso il dialogo e il dibattito attorno al concettodi bene comune, universalmente riconosciuto. Nessuna civiltà pare oggi autosufficientee nemmeno sufficiente, in nessun luogo.In un’intervista rilasciata nel 1983 a Città di Castello, Raimon Panikkar 42 ribadisce che40Edi Rabini, (a cura di), op. cit., pp. 299-300.41Zygmunt Bauman, Voglia di comunità, Bari, Laterza, 2005, p. VIII.42Raimon Panikkar, Un dialogo tra le civiltà, intervista a Raimon Panikkar, raccolta da Don AchilleRossi, Città di Castello, settembre 1983 in “Lo Straniero” Ottobre 2008 (100), pp. 54 – 68.25
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