se la cavava sempre con la lingua, ovunque andasse. Quando tornava dai suoi viaggi,sfoggiava tante parole sconosciute: si trattava di piccole frasi che dicevano la bellezza,la stranezza, la nostalgia (talvolta anche il disgusto) di luoghi lontani appena conosciuti.Dai suoi racconti e dai piccoli oggetti che aveva portato con sé da quei luoghi, iopotevo accedere a mondi a me ancora sconosciuti.Accadeva spesso che gli amici stranieri acquisiti sia per ragioni di lavoro cheoccasionali, venissero a trovarci in Italia e che anche noi ospitassimo a casa nostraqueste persone che a loro volta lo avevano ospitato o intrattenuto nei loro paesi. Papà cispiegava allora cosa era educato fare e non fare, cosa cucinare, quali parole dibenvenuto porgere, quali cose sarebbe stato bene che comperassimo in base alla loroprovenienza, oppure quali cose avrebbero amato riportare a casa ai loro bambini…Cominciavamo a conoscere il loro mondo così, dalle piccole cose quotidiane,preparandoci ad ospitarli, per quanto fosse per noi possibile, in modo accogliente.Ogni ospite aveva un modo particolare di stare a tavola, salutare, ringraziare, diesprimere piacere e disagio: i loro mondi educativi erano forse cugini dei nostri (sitrattava prevalentemente di europei) eppure c’erano parecchie diversità nelle posturedei corpi, nei gesti, nei rituali convenzionali.Le lingue di questi ospiti (di cui mio padre aveva elaborato improbabili “pidgin”),producevano suoni e intonazioni peculiari. Spesso ci portavano in dono oggetti artistici,strumenti musicali, libri illustrati, loro prodotti tipici: ricordo che li manipolavo eannusavo cercando di raccordarli con i ricordi dei racconti del babbo e con le fantasieche la mia mente di bambina ci aveva costruito sopra.Ad ogni nuovo incontro, si apriva una breccia nel mio minuscolo mondo e una piccolaradice di alterità si insinuava ampliandolo di meraviglie e curiosità. E’ naturalmenteesagerato parlare di incontro con “culture altre”, troppo brevi e superficiali gliapprocci; per me si trattava di un gioco entusiasmante. Queste esperienze hanno tuttaviasegnato in modo indelebile la mia visione dell’alterità, facendomi associare al“diverso” (proprio perché acquisito dagli occhi liberi e curiosi di un bimbo), ilconcetto di stupore e novità.Dentro a questi vissuti affondano le radici della mia propensione e del piacere neiconfronti dell’incontro con l’alterità culturale; non penso che ciò nasca da unasuperficiale vena filo-esotica o folklorica, ma da un'innata e intima curiosità, un4
desiderio autentico di scoperta verso le diverse forme di concepire la vita delle personedi culture diverse.Ho intrapreso gli studi universitari molto tardi (coronando un sogno che non ho potutorealizzare a suo tempo), scegliendo proprio l’indirizzo educativo interculturale.Nell’università sto affrontando una sorta di percorso a ritroso, mettendo in ordinel’esperienza pratica maturata negli “impegni non professionali sul campo”: esperienzedi volontariato nel territorio, nell'ambito scolastico e nell’associazionismo. Sono statequeste esperienze a gettare le basi delle mie conoscenze a carattere interculturale e afarmi sentire l’esigenza di una maggior competenza, da ricercare appunto nell’ ambitostrutturato degli studi universitari.Attraverso gli studi sono stata condotta in dimensioni di estrema complessità einterdisciplinarietà, cui ho potuto ahimè solo affacciarmi. Una nuova consapevolezza,un concetto semplice e chiave che ho appreso, è stato quello di poter prenderecoscienza di quanto etnocentrismo siano impregnati i miei sguardi sulla realtà e dicome sia arduo raggiungere quello che De Martino definiva un “etnocentrismocritico” 1 , un punto di vista capace di allargare la propria coscienza culturale di fronte adogni cultura "altra", attraverso una presa di coscienza critica dei limiti della propriastoria culturale, sociale, politica, e di conseguenza, un’autocritica radicata nelconfronto storico-culturale.Durante gli studi, ho ritrovato con grandissimo piacere, in un manuale di pedagogia,l’estratto del decalogo di Alex <strong>Langer</strong>, figura che avevo conosciuto negli anni ’90grazie alla raccolta Il viaggiatore Leggero. Scritti 1961 – 1995, curata da Edi Rabini.Non mi era mai accaduto di incontrare la storia di un uomo politico, di un intellettualecosì strenuamente impegnato, intelligente e capace di teorizzare e praticare insiemela pacifica ed ecologica convivenza umana fra diversi. L’intera vita di <strong>Langer</strong> è statacontrassegnata da un’eccezionale sensibilità e profondità umana: il suo modo diconiugare costantemente teoria e prassi, la sua capacità di pensiero complesso e ampiosulle cose, in un disegno dalla coerenza assoluta, rappresentano per me una fonte diispirazione e di riflessione continua.Ho deciso quindi in occasione della prova finale, di riprendere le fila del suo“Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica”, per tornare a fare luce e trarre1Ugo Fabietti, Storia dell’antropologia, Bologna, Zanichelli, 2001, pp 166-167.5
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per ogni lavoratore non i regola.co
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varie Federazioni.delle autorizzazi
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7. FONTI BIBLIOGRAFICHE E DI ALTRA
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• Wieviorka, Michel, L’inquietu