“Rientra nella natura dei ‘diritti umani’ il fatto che sebbene siano intesi aessere goduti separatamente, (…) la lotta per la loro conquista debba esserecombattuta collettivamente, e che solo collettivamente essi possono esseregarantiti (…). Perché possa diventare un ‘diritto’ la differenza deve esserecondivisa da un gruppo o categoria di individui, abbastanza numeroso edeterminato da contare qualcosa; deve diventare un obiettivo da conquistareattraverso rivendicazioni collettive.” 68Questa affermazione di Zigmund Bauman mi riconduce al pensiero di Paulo Freire,pedagogista brasiliano, che ha delineato un modello educativo per la trasformazionedelle società, chiamando in causa la coscienza dell’uomo, quale condizione necessariaper la liberazione dall’oppressione. Secondo Paulo Freire l’educazionecoscientizzazioneconsente lo svelamento del mondo e della realtà: solo attraverso laconoscenza diretta di ciò che la riguarda e la circonda, la persona acquista dignità e puòpartecipare attivamente alla propria storia. Nel saggio Pedagogia della speranza egliriprende i temi della sua opera più nota Pedagogia degli oppressi e con uno sguardopiù maturo ripropone un metodo pedagogico che evidenzia la necessità delprotagonismo civile di tutti per lottare contro le discriminazioni, la violazione dei dirittie il raggiungimento di una società democratica; l’accettazione consapevole del fatto checiò rappresenti un’ ‘utopia’ lo porta a formulare una paziente e tenace pratica disperanza, per l’appunto una pedagogia della speranza. Si tratta di un credo radicato nelsuo peregrinare esule in giro per il mondo, documentando l’esperienza di pratichecondivise in prima persona insieme alla gente:“[l’utopia] però, non sarebbe possibile se le mancasse il piacere della libertà(…) se le mancasse anche la speranza, senza cui non è possibile lottare. Ilsogno dell’umanizzazione, la cui realizzazione è sempre un processo, è sempredivenire, esige la rottura delle correnti reali, concrete, di ordine economico,politico, sociale, ideologico ecc., che ci condannano alla disumanizzazione. Ilsogno è così un’esigenza, o una condizione che diventa permanente nellastoria che facciamo e che ci fa e ri-fa.” 6968Zygmunt Bauman, op. cit., p. 74.69Paulo Freire, Pedagogia della speranza. Un nuovo approccio alla Pedagogia degli oppressi, Torino,EGA, 2008, p. 21.36
3.8 Dell'importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri,esploratori di frontiera. Occorrono "traditori della compattezza etnica", ma non"transfughi".Siamo all'ottavo capitolo del decalogo. La passione di <strong>Langer</strong> si materializza in unasequela di potenti metafore. Egli si spiega in questo modo:“In ogni situazione di coesistenza interetnica, si sconta, in principio, unamancanza di conoscenza reciproca, di rapporti di familiarità. Estremaimportanza positiva possono avere persone, gruppi, istituzioni che sicollochino consapevolmente ai confini con le comunità conviventi e coltivinoin tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione. (…) Accantoall’identità e ai confini più o meno netti delle diverse aggregazioni etniche è difondamentale importanza che qualcuno, in simili società, si dedichiall’esplorazione ed al superamento dei confini: attività che magari, insituazione di tensione e conflitto assomiglierà al contrabbando, ma è decisivaper ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’inter-azione”. 70Ho letto tante volte l’ottavo punto del decalogo, e ogni volta mi stupisco della quantitàdi significati che si traggono da esso: <strong>Langer</strong> pare abbia concentrato una serie diprovocanti ossimori, per dare la massima energia a questo suo “ottavo comandamento”per la convivenza interetnica.Il ponte è una metafora ricorrente in <strong>Langer</strong>: i ponti non sono generati perinvadereterritori altri, che non ci appartengono, ma vengono gettati per “esplorare”: c’ècuriosità, c’è desiderio di scoprire ciò che non è noto o già lo è, con un procedere cauto,paziente. I pontieri-esploratori, questi uomini di buona volontà, un po’ antropologi e unpo’ architetti, sondano le frontiere per capire dove e come si possano attraversare, iluoghi in cui non bisogna valicarle, quelli invece dove si possono praticare piccolivarchi. Esistono anche impedimenti alla costruzione di ponti: ci sono frontiere-limiteche non si possono valicare: i limiti della biosfera ad esempio…Un’altra riflessione sulla metafora del ponte. Il ponte è un’architettura che presupponedue solide sponde: impossibile costruire ponti senza averne consolidato le sponde.Laddove ci sia impossibilità di consolidamento, i pontieri possono fare uso diimbarcazioni: un ponte mobile di barche. Il massimo dell’efficacia in condizioni digrande precarietà. A questo punto, per cercare di meglio significare questo concetto,riferirò di un incontro, tenutosi nel 2007 a Bergamo nell’ambito del percorso promosso70Edi Rabini, (a cura di), op. cit., p. 301.37
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