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Numero 10 Jolly Roger Magazine. Letteratura, attualità, arte. Libri, musica, recensioni.

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maître à penser<br />

maître à penser<br />

dell’arte<br />

di comunicarsi addosso<br />

Il primo approdo di una nuova graditissima firma<br />

sulla tolda del vascello pirata<br />

Inizio questo articolo sulla “comunicazione<br />

nell’era digitale”<br />

con un senso di rifiuto: è un<br />

argomento sconfinato, spesso<br />

abusato, a volte stuprato. Che<br />

necessità c’è di scriverne ancora?<br />

Nessuna. Così mi metto il<br />

cuore in pace e proseguo, consapevole<br />

che non sarò altro che<br />

l’ennesima voce del coro. Bello<br />

sgravio di responsabilità.<br />

Però, una cosa originale voglio<br />

dirla: ke ‘ano o ka kamaʻilio’<br />

ana me ke kino.<br />

Bella frase vero? Eufonica, ritmica,<br />

caratterizzata da un sapore<br />

apotropaico e da un’aura<br />

di Simona Castiglione<br />

sapienziale.<br />

Cosa significa? L’arte di comunicarsi<br />

addosso nella lingua dei<br />

nativi delle Hawaii. Questo lo<br />

so non perché io sia una cultrice<br />

di lingue esotiche, ma per aver<br />

visionato un dizionario online<br />

“italiano-hawaiano”.<br />

Perché l’ho fatto? Perché proprio<br />

l’hawaiano e non lo spagnolo,<br />

che è una lingua che in<br />

parte conosco, o – diciamo – il<br />

finlandese?<br />

Non ne ho idea, ma i tanti strumenti<br />

che abbiamo a disposizione<br />

sul web sono così invitanti<br />

che non ho resistito: mi andava<br />

di sorprendere i lettori con una<br />

frase bizzarra, che colpisse l’attenzione,<br />

e il dizionario online<br />

mi ha dato la possibilità di farlo.<br />

Eppoi suonava molto bene,<br />

ripetendola ad alta voce con<br />

tono roboante. Mi sono sembrate<br />

ragioni sufficienti.<br />

In una società basata sui surplus<br />

informativi, sugli scambi<br />

in tempo reale, sugli scarti comunicativi<br />

offerti come piatti<br />

prelibati, sulle fake news... No,<br />

non posso continuare così, se<br />

fossi il lettore mi sarei già annoiato<br />

e comincerei a controllare<br />

le notifiche dei social o la<br />

mail. Che è esattamente ciò che<br />

sto facendo in questo momento<br />

di “terrore della pagina bianca”.<br />

Gli psicologi, in casi simili,<br />

parlano di “evitamento”.<br />

Per evitare l’evitamento, o anche<br />

l’avvitamento, andrò sul<br />

concreto, fornendo a chi legge<br />

alcune informazioni personali<br />

e tecniche: io non possiedo un<br />

cellulare. Come faccio ad affrontare<br />

la vita quotidiana priva<br />

di questo indispensabile device?<br />

Semplice: ho preferito acquistare<br />

un phablet e non il solito<br />

smartphone. Senza voler giudicare<br />

in alcun modo chi usa lo<br />

smartphone, devo dire però,<br />

anche per dovere di cronaca,<br />

che con il mio phablet è tutta<br />

un’altra vita.<br />

Alzi la mano chi sa cos’è un<br />

phablet. Da qui non vedo tutti,<br />

ma a occhio e croce direi che<br />

non siete in tanti. Bene, un phablet<br />

è una chimera elettronica,<br />

un ibrido tra un cellulare e un<br />

tablet. Praticamente, un ufficio<br />

portatile dal quale non mi<br />

separo mai e che svolge perfettamente<br />

le due funzioni per<br />

le quali è nato. È stato uno dei<br />

miei acquisti migliori nel campo<br />

della tecnologia, ottimo rapporto<br />

qualità-prezzo.<br />

A questo proposito, volevo<br />

parlare dei giovani e ai giovani,<br />

quei nativi digitali dai quali<br />

sono circondata per motivi professionali.<br />

Insegno letteratura e<br />

storia in una scuola serale dove<br />

il bacino d’utenza è composto<br />

in prevalenza da ventenni.<br />

Prima, però, farò una digressione<br />

chiedendo scusa fin d’ora se<br />

non seguo un perfetto filo logico.<br />

La digressione riguarda<br />

l’immagine che mi ha appena<br />

fulminato: mi ritrovo persa in<br />

una giungla di cavi elettronici,<br />

arrampicata in cima a una torre<br />

di consolle per difendermi<br />

dall’assedio di una tribù di nativi<br />

digitali in mutande di pelle<br />

e dreadlocks, che cercano di digitalizzarmi<br />

puntandomi contro<br />

un’enorme chiavetta Usb. Fine<br />

digressione.<br />

Torniamo ai giovani: è sotto gli<br />

occhi di tutti il fatto che stiano<br />

sviluppando nuove e pericolose<br />

dipendenze. Una fra tutte, la<br />

dipendenza da iPhone o smartphone.<br />

Come non empatizzare,<br />

visti i problemi che pone loro la<br />

compagine sociale che gli stiamo<br />

lasciando in eredità.<br />

Non si tratta di un normale attaccamento<br />

a un oggetto bello<br />

e costoso o di un’irrefrenabile<br />

voglia di comunicare in continuazione,<br />

di stare sempre connessi<br />

con il mondo che li circonda.<br />

Nossignore, la loro compulsione<br />

a compulsare compulsivamente<br />

il telefono portatile non<br />

ha niente di “normale”.<br />

Vado a dimostrarlo.<br />

Durante le verifiche in classe,<br />

com’è ovvio, ritiro i cellulari,<br />

non sia mai che gli studenti si<br />

colleghino a Internet per copiare<br />

stupidaggini dai siti scolastici<br />

o informazioni discutibili<br />

da Wikipedia. Mentre li raccolgo,<br />

vedo i loro volti sbiancare,<br />

le mani tremare nel passarmi<br />

l’oggetto, gli occhi esibirsi in<br />

espressioni supplichevoli: “La<br />

prego, lo lasci accanto a me,<br />

giuro su mia madre che non lo<br />

consulterò”. Io, com’è mio dovere,<br />

sono irremovibile con tutti<br />

– tranne con Sebastiano.<br />

Sebastiano ha vent’anni e fa il<br />

calciatore in serie D sognando<br />

la serie A. Pare che sia bravo,<br />

ma non ne sono sicura perché<br />

di calcio non capisco nulla. Ultimamente<br />

ha ossigenato i capelli<br />

e mi è venuto fatto di pensare<br />

che questo volersi distinguere<br />

con una chioma bionda<br />

artificiale sia un piccolo segno<br />

di un successo crescente. Glielo<br />

auguro di cuore.<br />

Sebastiano piange quando c’è<br />

verifica; le lacrime rigano il<br />

suo bel volto da calciatore che<br />

dovrebbe giocare in serie A e<br />

frequentare modelle, ogni santa<br />

volta che mi avvicino al suo<br />

smartphone. Non dice niente,<br />

piange in silenzio mentre una<br />

paralisi temporanea prende possesso<br />

dei suoi muscoli facciali.<br />

Allora io, anche su consiglio<br />

dei compagni che conoscono<br />

bene il suo problema, gli dico<br />

solo di spegnerlo e di metterlo<br />

ben in vista sul banco, in modo<br />

che lo possa controllare anche<br />

dalla cattedra. E lui riprende<br />

possesso di sé, il viso si decontrae,<br />

inghiotte le lacrime e comincia<br />

a scrivere.<br />

La classe comprende e accetta<br />

il motivo della mia eccezione e<br />

non me ne fa una colpa.<br />

Solo, ogni tanto, alzando lo<br />

sguardo dal mio phablet – che<br />

utilizzo durante le verifiche sia<br />

ANNO I • NUMERO X • dicembre 2<strong>01</strong>8 www.jollyrogerflag.it • facebook.com/gojollyroger<br />

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