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Malati e senza fissa dimora

Numero 57 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno

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PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />

Sempre più donne uccidono i loro figli, ma a compiere gli infanticidi sono anche i padri<br />

Tra le cause più frequenti le depressioni post-partum. Negli uomini agisce la vendetta<br />

Bebè, cuore e odio di mamma<br />

11<br />

Madri che uccidono i loro figli. La<br />

sindrome di Medea colpisce le<br />

donne di tutto il mondo, donne<br />

che dopo il parto non accettano<br />

più la loro identità sessuale e di<br />

madre, perdono il contatto con il<br />

passato. Tuttavia a compiere gli<br />

efferati infanticidi o figlicidi sono<br />

anche i padri. Eppure il legame<br />

padre-figlio, ma soprattutto quello<br />

madre-figlio dovrebbe essere sacro,<br />

indissolubile, incondizionato.<br />

Cosa succede allora? Dove si<br />

blocca il meccanismo biologico,<br />

vitale? Ce ne parla la dottoressa<br />

Mara Porcaro, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale.<br />

Come si spiega l’infanticidio?<br />

«Si tratta di momenti di natura<br />

depressiva che le persone vivono;<br />

spesso parliamo di una vera e propria<br />

psicosi che si manifesta dentro<br />

di loro, un’alienazione chiamata in<br />

termini tecnici depersonalizzazione:<br />

la persona depressa il più delle<br />

volte ritiene che la cosa più giusta<br />

da fare sia l’infanticidio, magari per<br />

far risparmiare al figlio una vita<br />

dura. Di solito sono le madri che<br />

commettono questo genere di o-<br />

micidio e solitamente non uccidono<br />

tutti i figli, ma soltanto uno».<br />

Cosa spinge una madre ad uccidere<br />

un figlio? E un padre?<br />

«Intanto bisogna dire che il fenomeno<br />

è molto più frequente nelle<br />

madri. Il più delle volte nelle donne<br />

il motivo dell’infanticidio è la<br />

depressione post-partum di natura<br />

psicotica: ciò che nel preparto viene<br />

vissuto in maniera negativa dalla<br />

madre spesso diventa, dopo la<br />

nascita del piccolo, una vera malattia<br />

psicologica e può innescare<br />

un comportamento di tipo criminale.<br />

La mamma, magari, vede il figlio<br />

deforme e non accetta quella<br />

deformità perché non adeguata al<br />

proprio modo di essere; non riconosce<br />

il bambino come un suo<br />

frutto oppure lo considera la causa<br />

della sua depressione e vuole pertanto<br />

eliminarlo. Nel padre, invece,<br />

si può parlare di ripicca, vendetta<br />

nei confronti della moglie, anche<br />

Nella foto in basso<br />

la psicoterapeuta Mara Porcaro<br />

A destra la tela di Delacroix<br />

esposta al Museo Louvre di Parigi<br />

che raffigura Medea<br />

mentre uccide i suoi figli<br />

se le motivazioni sono disparate.<br />

Ad ogni modo quello che accomuna<br />

l’infanticidio materno con quello<br />

paterno è sicuramente una dissociazione<br />

emotiva, un allontanamento<br />

dalla propria personalità: è<br />

come se la persona si vedesse mentre<br />

compie l’azione».<br />

Spesso questi omicidi avvengono<br />

in piccole realtà, secondo lei<br />

c’è un legame tra piccola realtà e<br />

infanticidio o è un caso?<br />

«Ci potrebbe essere una correlazione<br />

non poco trascurabile. Penso<br />

che ci sia sempre una componente<br />

culturale che incide in queste avvenimenti<br />

perché le depressioni colpiscono<br />

quelle persone che si percepiscono<br />

in un modo differente<br />

rispetto alla realtà culturale, religiosa<br />

e sociale in cui vivono. Le<br />

piccole realtà possono influenzare<br />

maggiormente le ideologie di fondo<br />

di una persona, definite nel settore<br />

cognitivo-comportamentale<br />

convinzioni di base. Quindi il valore<br />

che la persona attribuisce al giudizio<br />

e alla critica dell’altro e l’impatto<br />

che la società e la cultura in<br />

cui vive ha sulla persona, madre o<br />

padre che sia, è molto più forte».<br />

Come giustifica il dilagare del<br />

fenomeno?<br />

«C’è un’ignoranza di fondo tra le<br />

persone. Molti medici di base (attualmente<br />

non esiste la figura dello<br />

psicologo di base che potrebbe tenere<br />

sotto controllo alcune situazioni<br />

di questo tipo) tendono a minimizzare<br />

alcuni sintomi della<br />

depressione post-partum e ritengono<br />

che con una semplice chiacchierata<br />

si possa risolvere il problema<br />

di una donna che manifesta<br />

tristezza, apatia. Bisognerebbe a-<br />

nalizzare il vissuto emotivo interno<br />

di quella madre e vedere se quel<br />

vissuto possa innescare dentro di<br />

lei reazioni pericolose».<br />

Pagina a cura di<br />

MARIA DI NAPOLI<br />

Tra mito e rituale<br />

I casi<br />

Medea<br />

e Isacco<br />

L’uccisione da parte dei genitori dei propri<br />

stessi figli è presente in varie tradizioni<br />

sul piano mitico come su quello rituale.<br />

I casi sono tanti, ma quelli più emblematici<br />

appaiono il sacrificio di Isacco e<br />

quello dei figli di Medea. Nel primo<br />

abbiamo un padre pronto a sacrificare il<br />

proprio figlio unigenito ed amatissimo<br />

quale prova di massima devozione religiosa,<br />

di fede; l’altro, invece, appartenente<br />

ad un testo del teatro greco, mette in<br />

scena una madre che compie l’assassinio<br />

brutale dei propri figli per soddisfare un<br />

mero proposito di vendetta. Una madre,<br />

dunque mostruosa, malata o indegna.<br />

L’istinto materno, secondo ormai la maggior<br />

parte degli studiosi, non esiste e se<br />

esiste non è così determinante in positivo:<br />

storia, mitologia, letteratura e cronaca<br />

ci raccontano infatti nei secoli di<br />

terribili madri assassine. Non solo<br />

Medea, a Sparta le madri gettavano<br />

dalla rupe Tarpea i neonati deformi.<br />

Ancora oggi in Cina, complici le<br />

mamme, si uccidono le figlie eccedenti<br />

il numero legale. Platone suggeriva di<br />

sterminare i figli nati da donne ultraquarantenni<br />

e da padri ultracinquantenni.<br />

Un tempo in Bulgaria - e le madri<br />

non si opponevano - si seppelliva un<br />

piccolo bimbo sotto le fondamenta di<br />

un edificio per propiziare la fortuna<br />

degli abitanti.<br />

Psicologicamente il legame materno è<br />

un legame ambivalente molto forte nelle<br />

due polarità estreme: una madre può<br />

amare e prendersi cura del bambino<br />

oppure può odiarlo fino ad ucciderlo.<br />

Secondo gli studiosi del settore chi uccide<br />

il proprio bambino a volte è una persona<br />

malata, ma sempre più spesso vi è<br />

la prova che si tratta di un uomo o una<br />

donna inadatti a dare la vita, perché<br />

incapaci anche di governare la propria.<br />

E spesso le cause, che non diminuiscono<br />

la responsabilità degli assassini verso il<br />

loro delitto, sono di natura socio-culturale<br />

e morale.<br />

Il ruolo dei media<br />

I giornali<br />

creano<br />

paure<br />

I giornali e i programmi televisivi trattano<br />

le madri assassine come l’ennesimo mostro<br />

da sbattere in prima pagina. Pochi approfondiscono,<br />

si interrogano a fondo sulle<br />

motivazioni di questi gesti estremi, apparentemente<br />

così innaturali. La maggior<br />

parte degli uomini e delle donne che non<br />

hanno avuto figli pensa che l’istinto materno<br />

sia naturale, scontato, anzi, obbligatorio.<br />

Mariti, genitori, suoceri danno per scontato<br />

che la donna che ha appena partorito<br />

stia passando il momento più bello della<br />

propria vita e che riesca per istinto a fare e<br />

dare il meglio. Non è così. Per la maggior<br />

parte delle donne il momento in cui si<br />

mette al mondo un figlio è il momento di<br />

massima stanchezza e fragilità della propria<br />

vita. C’è bisogno intorno di calore, di<br />

comprensione, di aiuto, di affetto, di dialogo.<br />

Gesti e sentimenti a volte completamente<br />

assenti e magari corredati dall’angoscia<br />

di perdere il proprio posto di lavoro<br />

“a causa” della maternità.<br />

E poi i media spesso creano allarmismo<br />

rispetto a queste situazioni e di conseguenza<br />

accade che dagli specialistici vadano<br />

persone che, magari una sola volta,<br />

abbiano pensato di “uccidere” il figlio.<br />

«Quel tipo di pensiero - dice Porcaro - non<br />

è una forma di depressione, è un altro tipo<br />

di disturbo detto ossessivo-compulsivo. La<br />

persona, ad esempio, sogna immagini<br />

macabre in cui uccide il figlio, lo martella,<br />

lo affoga, si spaventa, si allarma e decide di<br />

andare in terapia preso dall’ansia di non<br />

esser una buona madre o un buon padre».<br />

Quel tipo di immagini le vedono tutti, ma<br />

se le persone sane di mente allontanano<br />

quei pensieri e non manifestano alcun tipo<br />

di reazione emotiva, le persone ansiose<br />

catturano quei flash, li fermano e si colpevolizzano.<br />

Quante volte sarà capitato ad<br />

una madre di pensare “è meglio che mio<br />

figlio stia zitto, lo strozzerei per le continue<br />

urla”? La depressione è tutt’altra cosa<br />

rispetto ad un pensiero dettato dalla stanchezza<br />

o da una routine stressante.

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