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Malati e senza fissa dimora

Numero 57 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno

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ARTE<br />

Domenica 11 marzo 2012<br />

Il Macro Testaccio di Roma ospita la mostra del fotografo americano Steve McCurry<br />

Giro del mondo in 200 scatti<br />

Camminando tra gli espositori del<br />

Macro Testaccio di Roma è facile<br />

perdersi. Sembrano tutti uguali e<br />

l’aria che si respira è così ammaliante<br />

da non lasciare spazio alla<br />

ragione e alla consapevolezza di<br />

capire dove si è e cosa si sta facendo.<br />

All’esiguo prezzo di otto euro, il<br />

centro di produzione culturale “La<br />

Pelanda” consente di fare una viaggio<br />

nel mondo. E bastano un paio<br />

d’ore; niente a che vedere con gli<br />

ottanta giorni che impiegano il<br />

londinese Phileas e il suo cameriere<br />

Passepartout nell’avventura di<br />

Jules Verne.<br />

I padiglioni del complesso ottocentesco<br />

dell’ex Mattatoio romano,<br />

dal 3 dicembre al 29 aprile, ospitano<br />

la mostra fotografica di Steve<br />

McCurry. Oltre duecento scatti in<br />

cui l’artista americano pluripremiato<br />

racconta le sfaccettature del<br />

mondo che ha incontrato e con il<br />

quale più volte si è scontrato. I suoi<br />

reportage per “Time”, “Life”, “Newsweek”,<br />

“Geo” e “National Geographic”<br />

hanno reso McCurry famoso<br />

in tutto l’etere e la fotografia<br />

della “Ragazza afghana” -pubblicata<br />

come copertina del “National<br />

Geographic Magazine” nel giugno<br />

del 1985 – gli ha permesso di vincere<br />

nello stesso anno il prestigioso<br />

riconoscimento “World Press Photo”.<br />

McCurry ha detto più di una<br />

volta che «se sai aspettare, le persone<br />

si dimenticano della tua<br />

macchina fotografica e la loro<br />

anima esce allo scoperto». Aspettare.<br />

Lui sì che sa farlo bene.<br />

Basti pensare che ha dovuto<br />

attendere 17 anni prima di rincontrare<br />

la ragazza afghana della<br />

foto, Sharbat Gula, e scattarle<br />

un’altra istantanea. «La sua pelle<br />

è segnata, ora ci sono le rughe,<br />

ma lei è esattamente così straordinaria<br />

come lo era tanti anni fa»<br />

ha detto, dopo averle donato<br />

parte della sua fortuna.<br />

Il viaggio tra le foto di McCurry è<br />

un viaggio attraverso le storie dei<br />

cittadini del mondo. Uomini, donne,<br />

bambini, anziani. Mani, occhi,<br />

naso, petto, gambe, braccia, piedi.<br />

India, Afghanistan, Usa, Giappone,<br />

Filippine, Brasile, Sri Lanka, Nepal,<br />

Yemen, Tibet, Pakistan, Vietnam. I<br />

suo personaggi non sono semplici<br />

soggetti che sono stati fotografati<br />

un certo giorno in un certo luogo.<br />

Sono anime che raccontano storie<br />

e comunicano a chi le vede qual è<br />

la loro idea di posto nel mondo.<br />

Anime, piccole e grandi anime racchiuse<br />

in un clic. Come quella del<br />

piccolo bimbo peruviano in lacrime<br />

che si punta la pistola alle tempie.<br />

Non si conoscono le sue generalità<br />

e su di lui non si sa niente<br />

più di quello che si vede nella foto<br />

di McCurry. Ma la sua voce si sente,<br />

si sente eccome. I suoi occhi<br />

parlano e le lacrime riusciamo a<br />

sentirle. A stento però, perché il<br />

bimbo è timidamente spaventato e<br />

ha paura di attirare l’attenzione di<br />

qualcuno. La pistola è di grosso calibro<br />

e il suo braccino ne sostiene<br />

appena il peso. «Perché – sembra<br />

chiedersi e chiedere il bambino –<br />

perché sta accadendo proprio a<br />

me?». Il piccolo racconta la sua<br />

storia a noi che lo guardiamo, anche<br />

se forse è l’ultima cosa che mai<br />

vorrebbe fare. Le foto di McCurry<br />

sono esposte in alcune cupole che<br />

sovrastano e avvolgono lo spettatore.<br />

La sensazione è che infondano<br />

un senso di immensità e allo<br />

stesso tempo di piccolezza della<br />

natura umana. I colori sono ben<br />

studiati e così anche le sequenze<br />

degli scatti che sembrerebbe seguire<br />

il cursus nascita-morte. Tra<br />

tutte le fotografia, 50 sono state<br />

A destra<br />

Steve McCurry<br />

ha fotografato<br />

la finestra<br />

di un albergo<br />

romano<br />

che si affaccia<br />

sulla Fontana<br />

di Trevi<br />

fatte in Italia: McCurry ha visitato<br />

in lungo e largo il nostro Paese e si<br />

è soffermato soprattutto sulle<br />

bellezze delle città di Venezia e<br />

Roma. La foto che ritrae la finestra<br />

di un albergo sulla fontana di Trevi<br />

è magnetica: tutto in questa istantanea<br />

– luci, cibo, armonia, sole,<br />

bellezza, calore, serenità – sembra<br />

voler raccontare l’Italia e la sua<br />

vera es<strong>senza</strong>.L’Italia <strong>senza</strong> stereotipi.<br />

Steve McCurry dà voce e colore<br />

al suo viaggio attraverso il<br />

mondo. E ha il potere di portar con<br />

se chiunque si soffermi anche solo<br />

un attimo sui suoi meravigliosi<br />

scatti. Regalando la sensazione e<br />

convinzione che ben più importante<br />

dell’arrivo è senz’altro il viaggio.<br />

Il suo, come il nostro.<br />

A sinistra<br />

la brutale<br />

immagine<br />

di un bambino<br />

peruviano<br />

con la pistola<br />

puntata<br />

alla nuca<br />

17<br />

Esposta anche “La ragazza afghana” con cui l’artista ha vinto il World Press Photo<br />

Immagini<br />

che fermano<br />

il tempo<br />

La vita è fatta di immagini. E se<br />

le immagini hanno la fortuna di<br />

essere fotografate, allora prima<br />

o poi vengono alla luce foto che<br />

raccolgono attimi di vita. E attimi<br />

di vita che si raccolgono nelle<br />

foto. A volte basta un momento,<br />

una piccola sequenza di fotogrammi<br />

e può accadere l’inimmaginabile:<br />

un dito fermo e veloce,<br />

spinto dall’animo di chi<br />

vuole catturare istantanee del<br />

mondo, ha il potere di fermare il<br />

tempo. E di ritrarre una persona,<br />

una cosa, un odore, un sapore,<br />

un rumore. Un’imma-gine<br />

cristallizzata che il tempo non<br />

avvilirà né consumerà. So-no<br />

quelle fotografie che non<br />

muoiono mai e, anzi, diventano<br />

storia. Come “Migrant mother”,<br />

l’immagine che Dorothea Lange<br />

scatta nel 1936 e diventa icona<br />

della Grande Depressione. Florence<br />

Owens Thompson, la<br />

donna ritratta nell’istantanea, è<br />

una madre trentaduenne di sette<br />

figli che lavora in un campo di<br />

piselli in California. È un donna<br />

come tante che ha dei figli come<br />

tante e fa un lavoro come tante.<br />

Eppure l’occhio della fotografa<br />

l’ha trasforma nella Donna della<br />

Grande Depressione, simbolo di<br />

un’orgogliosa nazione che deve<br />

e vuole resistere a una crisi mai<br />

vista prima. Nove anni dopo<br />

Alfred Eisenstaedt scatta “The<br />

kiss”: è il 14 agosto del 1945 e un<br />

marinaio bacia un’infermiera.<br />

La guerra è finita e tutti corrono<br />

per le strade inneggiando alla<br />

pace. Un marinaio comincia a<br />

baciare ogni donna che incontra.<br />

L’infermiera Edith Shain è<br />

una delle malcapitate (o fortunate<br />

che dir si voglia) che si trovano<br />

sulla sua via ed è lì con loro<br />

anche la macchina fotogra-fica<br />

di Eisenstaedt. Uno scatto e in<br />

un’attimo la guerra è finita. A<br />

volte poi accade che la gente si<br />

cristallizzi in un’immagine, pur<br />

a tratti rifiutandola e contestandola.<br />

Richard Drew scatta “The<br />

falling man” l’11 settembre del<br />

2001: un uomo si getta dal<br />

World Trade Center perché sceglie<br />

di che morte morire e l’inesorabile<br />

volere delle coincidenze<br />

vuole che il fotografo sia proprio<br />

lì sotto. A vedere la vita che si<br />

toglie la vita.<br />

La fotografia può far soffrire,<br />

commuovere, sorridere, sorprendere,<br />

incantare. “È un’austera<br />

e sfolgorante poesia dal vero”<br />

(Ansel Adams) che è allo stesso<br />

tempo “una pseudo pre<strong>senza</strong><br />

e l’indicazione di un’as<strong>senza</strong>”<br />

(Susan Sontag). Fotografare la<br />

vita che scorre per immagini o<br />

immaginare la vita che scorre per<br />

fotografie. Magari la differenza<br />

alla fine non è poi così tanta.<br />

Pagina a cura di<br />

GIORGIA MENNUNI

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