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Nocciole e pomodori taroccati

Numero 21 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno

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10 Domenica<br />

15 marzo 2009PRIMO PIANO<br />

L’esposizione artistica dei 21.610 capolavori del Museo del tesoro di San Gennaro<br />

in mostra in un viaggio tra fede e bellezza per la collezione più preziosa al mondo<br />

Là dove ti porta il Santo Patrono<br />

CHIARA DEL GAUDIO<br />

FRANCESCO ANTONIO GRANA<br />

Fede e mistero, arte e devozione,<br />

speranza e bellezza nel cuore di<br />

Napoli, accanto al popolo che da<br />

oltre quattro secoli rinnova la sua<br />

professione di fede dinanzi al<br />

miracolo della liquefazione del<br />

sangue: è il Museo del tesoro di<br />

San Gennaro, la collezione più<br />

preziosa al mondo, assieme alla<br />

corona d’Inghilterra e al tesoro<br />

dello zar di Russia, sorto per dare<br />

maggiore fruibilità ai tesori d’arte<br />

raccolti nel nome del patrono.<br />

Un patrimonio immenso: 21.610<br />

opere d’arte di finissima manifattura<br />

partenopea. Non tutte ancora<br />

restaurate, ma l’impegno costante<br />

anima il lavoro del direttore<br />

Paolo Jorio, che tale museo ha<br />

voluto tenacemente, affinché<br />

questa “vetrina d’eccezione diventi<br />

il biglietto da visita di<br />

Napoli”.<br />

L’anno scorso l’apertura della<br />

sezione dedicata ai gioielli e qualche<br />

mese fa quella dei paramenti<br />

sacri. L’ultima visita illustre risale<br />

a pochi giorni fa: l’ospite, il ministro<br />

della cultura spagnolo César<br />

Antonio Molina, è rimasto a tal<br />

punto affascinato da rendersi<br />

promotore di una mostra del<br />

tesoro anche a Madrid.<br />

Se la nuova cappella nacque dal<br />

voto popolare al Santo Patrono<br />

per ottenere protezione sulla<br />

città flagellata dalla guerra franco-spagnola,<br />

dalle eruzioni del<br />

Vesuvio e dalla peste, il percorso<br />

museale non poteva che rispecchiare<br />

il forte legame che unisce<br />

San Gennaro alla città. «Abbiamo<br />

concepito un museo - racconta<br />

Jorio - a portata di mano<br />

dei visitatori, poiché l’orgoglio e<br />

il rispetto dei napoletani per San<br />

Gennaro fanno si che essi stessi<br />

siano il miglior antifurto del<br />

tesoro».<br />

Un viaggio di fede e bellezza che<br />

partendo dal ritratto del vescovo<br />

Busto di Sant’Irene del 1733<br />

opera di Carlo Schisano.<br />

La santa, protettrice dai fulmini,<br />

sorregge la città di Napoli<br />

in una ricostruzione<br />

dove si riconoscono<br />

Maschio Angioino e Castel Sant’Elmo.<br />

In basso Paolo Jorio<br />

direttore del Museo di San Gennaro<br />

San Gennaro<br />

in un dipinto<br />

di Solimena del 1702<br />

dà inizio al percorso<br />

museale<br />

Gennaro, opera del Solimena del<br />

1702, conduce il visitatore in una<br />

vera e propria processione artistica<br />

attraverso i busti dei 51<br />

compatroni di Napoli.<br />

«L’allestimento della mostra -<br />

spiega il direttore - è un vero e<br />

proprio viaggio nel tempo tra le<br />

bellezze e le radici della città partenopea,<br />

tra i vicoli e i colori dei<br />

mercati, tra i volti degli emigranti<br />

e quelli della gente in attesa del<br />

miracolo, tra la processione di<br />

New York e quella di Napoli, con<br />

sonorizzazioni, immagini, voci,<br />

emozioni, che si rincorrono tra le<br />

sale dove emergono dal buio solo<br />

le luci splendenti dei gioielli più<br />

preziosi del mondo».<br />

Calici, candelabri, pissidi e ostensori<br />

fino ad arrivare al reliquario<br />

che, da secoli, trasporta le ampolle<br />

con il sangue del santo.<br />

«Tutte le opere sono testimonianze<br />

artistiche straordinarie<br />

perché - prosegue Jorio - appartenere<br />

al tesoro di San Gennaro<br />

era ed è un privilegio e i lavori<br />

che non fossero ritenuti all’altezza,<br />

venivano rifiutati».<br />

L’idea è quella di un museo dove<br />

le future generazioni possano<br />

ripercorre la storia di fede e di<br />

mistero che avvolge la devozione<br />

al patrono dei napoletani, attraverso<br />

la bellezza di opere d’arte<br />

di inestimabile valore.<br />

Il prossimo 13 marzo il museo<br />

ospiterà i partecipanti al convegno<br />

nazionale promosso e organizzato<br />

dal Servizio Nazionale<br />

per l’edilizia di culto della Cei in<br />

collaborazione con il Politecnico<br />

di Milano, sul tema “La manutenzione<br />

programmata per l’edilizia<br />

di culto”. Monitoraggio, diagnostica<br />

e prevenzione del degrado<br />

saranno i temi proposti,<br />

perché la conservazione degli<br />

edifici storici e la progettazione<br />

di quelli nuovi sia al centro delle<br />

linee programmatiche istituzionali<br />

di tutte le più grandi città<br />

d’Italia.<br />

MARIA EMILIA COBUCCI<br />

Nelle grotte di Scario centomila anni fa viveva l’uomo della preistoria<br />

Il paese di Neanderthal<br />

Una mostra permanente con esclusivi reperti archeologici<br />

A sinistra due<br />

mandibole:<br />

in alto quella<br />

di un bambino<br />

neaderthaliano;<br />

in basso quella<br />

di un bambino<br />

di oggi<br />

È dai primi anni Ottanta che<br />

Scario, piccolo borgo marinaro<br />

immerso nel Parco nazionale<br />

del Cilento, lungo il golfo di<br />

Policastro, è anche il luogo di un<br />

importantissimo museo archeologico<br />

riguardante l’Uomo<br />

di Neanderthal.<br />

La testimonianza della presenza<br />

del nostro progenitore lungo la<br />

costa della Masseta, che si sviluppa<br />

da Scario a Marina di Camerota,<br />

è emersa nella prima<br />

campagna di scavi risalente al<br />

1980, promossa dalla Soprintendenza<br />

archeologica di Salerno,<br />

in collaborazione con il<br />

Dipartimento di archeologia e<br />

storia delle arti dell’Università<br />

di Siena, sotto la direzione della<br />

professoressa Anna Maria Ronchitelli.<br />

È stato il gruppo archeologico<br />

“Golfo di Policastro”,<br />

costituito negli anni Settanta e diretto<br />

da Domenico Smaldone, ad effettuare i<br />

primi scavi e ritrovamenti lungo il golfo.<br />

Tra le antiche spiagge e le numerose grotte<br />

frequentate dall’Uomo preistorico, per tutto<br />

il Paleolitico medio, è il Riparo del Molare,<br />

la grotta nella quale sono stati effettuati i<br />

più importanti ritrovamenti riferibili a questo<br />

periodo.<br />

L’attuale riparo è costituito da una cavità<br />

poco profonda, scavata nella parete rocciosa<br />

la cui volta è andata arretrando a causa di<br />

crolli avvenuti nel tempo. La parte alta del<br />

deposito preistorico era visibile, mentre<br />

quella bassa era ricoperta dalla vegetazione.<br />

Così si presentava il riparo al momento<br />

della scoperta.<br />

Il giacimento ha una stratigrafia dello spessore<br />

di quindici metri, e presenta diciotto<br />

livelli archeologici, riferibili ad un periodo<br />

compreso tra circa 100.000 e 50.000 anni fa;<br />

in quest’epoca l’Uomo di Neanderthal frequentava<br />

il Riparo. La parte più ricca del<br />

deposito è quella inferiore, dall’ottavo al<br />

sedicesimo livello, corrispondente ad altrettanti<br />

periodi di occupazione del sito, dove<br />

sono stati rinvenuti focolari e alcune strutture<br />

abitative delimitate da pietre. Poche<br />

sono le testimonianze su come l’uomo di<br />

Neanderthal adattava ed organizzava il proprio<br />

spazio abitativo, anche se sappiamo che<br />

nei suoi insediamenti in grotta o all’aperto<br />

era in grado di costruire capanne e di fare<br />

pavimentazioni con ciottoli e<br />

blocchi di pietra.<br />

Rinvenute anche ossa di animali:<br />

appartenevano a bisonti, cervi<br />

e stambecchi.<br />

Sicuramente il reperto più importante,<br />

come sottolineato<br />

dall’archeologo Antonio Mazzoleni,<br />

ritrovato nel Riparo del<br />

Molare nel 1984, è la mandibola<br />

appartenente ad un bambino<br />

di tre-quattro anni d’epoca<br />

neanderthaliana. La mandibola,<br />

che proviene dalla base dello<br />

strato a focolai, conserva quattro<br />

molari di latte, mentre i<br />

rami ascendenti, i canini e gli<br />

incisivi sono andati perduti dopo<br />

la morte, e la parte destra si<br />

è leggermente deformata per il<br />

peso degli strati soprastanti.<br />

I ritrovamenti del Riparo del<br />

molare sono di una tale importanza<br />

scientifica che, nel 1989,<br />

apparve un dettagliato servizio<br />

sull’“American Journal of Physical Antropology”.<br />

Negli anni 1991-1992, i reperti furono ordinati<br />

in una mostra allestita a Siena presso<br />

l’Accademia dei Fisiocratici, sotto l’insegna<br />

“Scavo a Scario”. Invece è nel museo di<br />

Scario che la mostra intitolata “Centomila<br />

anni prima di Scario” è permanente ed è<br />

impreziosita da un ricco e interessante corredo<br />

iconografico.

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