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GLI ULTIMI<br />

SARANNO I PRIMI<br />

VIAGGIO A PARIGI<br />

Nel deserto metropolitano<br />

66 | 20 luglio 2011 | |<br />

di Marina Corradi<br />

Dall’alto, mentre l’aereo scende sul charles de Gaulle, Parigi si palesa immensa.<br />

Una distesa di cui non vedi i confini. Le auto sulle tangenziali sembrano insetti;<br />

gli uomini poi, non li distingui nemmeno. Che cosa suscita un f<strong>il</strong>o di sgomento,<br />

mentre guardi dal finestrino? Cerchi di mettere a fuoco con lo sguardo una<br />

casa, una piazza, a rassicurarti; in questa moltitudine di strade e svincoli autostradali,<br />

ci sono le case di uomini. E ciascuna, ti dici, ha una porta e una chiave che nella<br />

serratura gira con un suo caratteristico clic, e ciascuna dentro ha un suo odore, e<br />

una poltrona, e piatti in f<strong>il</strong>a nello scolapiatti. E forse un gatto; o un canarino, magari.<br />

Poi, sul metrò li incontri, gli uomini di Parigi. Nei vagoni dell’ora di punta sono<br />

così pigiati che ritorna quel sott<strong>il</strong>e spavento. La folla che al mattino si riversa dai cancelli<br />

della gare Saint Lazare è un torrente in piena; e alle nove, nella penombra del<br />

metrò Champs-Élysées i parigini non camminano, corrono – scavalcando come un<br />

ostacolo chi non corre abbastanza, o non sa dove andare. Nella folla di una metropo-<br />

li si sta come in un deserto; come in un<br />

deserto si è soli. Ma c’è un antidoto. Bisogna,<br />

dentro alla folla, concentrarsi su<br />

una faccia, una unica faccia. Come questa<br />

donna nera, sui cinquanta, sul metrò<br />

che corre verso l’Opera; è tanto stanca<br />

che <strong>il</strong> rullio del vagone la assopisce, quasi<br />

ne fosse cullata, e chiude gli occhi e <strong>il</strong><br />

busto le si inclina in avanti nel sonno. Poi a ogni fermata <strong>il</strong> clangore delle porte la<br />

sveglia, e in un sussulto apre gli occhi, stranita. La stanchezza della sconosciuta mi<br />

commuove, mi riguarda; ciò che scioglie <strong>il</strong> deserto, è la faccia di un uomo, uno solo.<br />

E questi due appena usciti dal Quai d’Orsay, <strong>il</strong> ministero degli Esteri? Due talmente<br />

giovani che sembra strano, quasi un travestimento, vederli in abito scuro e<br />

camicia candida; solo <strong>il</strong> colletto slacciato, come si fossero appena tolti insofferenti,<br />

nella sera calda di luglio, la cravatta. Devono avere poco più di vent’anni; due stagisti,<br />

forse, vincitori di severe selezioni, per approdare, tanto giovani, in quel sontuoso<br />

palazzo. E così dritti, così vincenti, gli occhi scint<strong>il</strong>lanti; <strong>il</strong> mondo – loro ne sono<br />

certi – nelle mani. Sull’autobus verso Notre Dame un signore elegante, i capelli grigi,<br />

la 24 ore sulle ginocchia, li fissa, assorto; forse anche lui era, trent’anni fa, come<br />

loro. Ma ora ha attorno alla bocca due pieghe<br />

amare; tracce, si direbbe, di ambizioni fallite,<br />

di beneducati fallimenti. A Notre Dame<br />

i due scendono e scompaiono, con <strong>il</strong> loro<br />

passo da vincitori. Alla fermata dopo<br />

scende <strong>il</strong> signore coi capelli grigi. (Ma,<br />

almeno per un momento, li hai guardati<br />

in faccia, quei tre).<br />

Poi nella notte Parigi è una schiera<br />

di finestre <strong>il</strong>luminate, una galassia infinita.<br />

Può fare un po’ di paura. L’antidoto,<br />

è guardare bene chi ti capita accanto:<br />

gli occhi, le mani, le rughe. Il deserto<br />

si scioglie, nella faccia di un uomo.<br />

La folla che al mattino si riversa dai cancelli<br />

della gare Saint Lazare è un torrente in piena;<br />

e alle nove i parigini non camminano, corrono<br />

– scavalcando come un ostacolo chi non corre<br />

abbastanza, o non sa dove andare<br />

DIARIO

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