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interni professione spy-doctor<br />

«ciò che nasce dall’iniziativa di una parte<br />

della procura di Palermo non potrebbe<br />

aver tutta questa efficacia se non avesse<br />

eco mediatica, anzi a volte è stimolata dal<br />

fronte mediatico»), ed è “<strong>il</strong> buco della serratura”.<br />

Assodata, per ammissione degli<br />

stessi inquirenti, l’irr<strong>il</strong>evanza penale e giudiziaria<br />

delle telefonate Napolitano-Mancino,<br />

qual è la loro r<strong>il</strong>evanza? Dice Polito: «La<br />

loro r<strong>il</strong>evanza, per chi vuole che vengano<br />

rese note, è esclusivamente sapere che cosa<br />

dice in privato <strong>il</strong> capo dello Stato a un suo<br />

amico. Dal dettaglio intravisto dal buco<br />

della serratura si vuol dedurre <strong>il</strong> tutto della<br />

politica italiana». Questa forma di “giornalismo-verità”<br />

in realtà, più che informare<br />

deforma, e disinforma. «Un fatto separato<br />

dal suo contesto – spiega Polito – non<br />

vuole dire nulla, può essere letto in diecim<strong>il</strong>a<br />

modi diversi e non dà un vero contributo<br />

informativo al comprendere quello<br />

che mi sta succedendo intorno. L’idea<br />

dell’informazione come trasparenza assoluta<br />

è un errore, anzi, una finzione di chi<br />

ut<strong>il</strong>izza i fatti per una battaglia politica».<br />

Cronache anti-potere<br />

Ferrara ci tiene a essere esplicito: «Se <strong>il</strong><br />

giornalismo è oratorio e tribunizio, realizza<br />

<strong>il</strong> presupposto di una democrazia:<br />

intorno ai fatti, attraverso i fatti, giudicando<br />

i fatti. Quando la piattaforma è pluralista,<br />

per cui ci sono vere diversità culturali<br />

intellettuali e identitarie a confronto,<br />

veri interessi che si scontrano sulla piazza<br />

democratica, la situazione è buona. Il giornalismo<br />

come professionismo e deontologia<br />

secondo me è la falsa regola per cui i<br />

giornalisti sono indipendenti “in quanto”<br />

giornalisti, <strong>il</strong> giornalismo cosiddetto indipendente<br />

è invece <strong>il</strong> veicolo di una esasperazione<br />

dei compromessi, come in tutte le<br />

altre attività della vita. Il giornalista che<br />

si presenta sempre in una posizione apparente<br />

di contro-potere vive un’insincerità e<br />

una bugia di fondo che non può che emergere,<br />

perché è invece evidente a tutti, dal<br />

suo agire, dalla sua logica, dalla sua iniziativa<br />

pubblica, che asseconda dei poteri e<br />

ne danneggia altri».<br />

Il giornalista anti-potere è sempre alla<br />

ricerca della grande verità, quella con la V<br />

maiuscola; Piero Ostellino, editorialista e<br />

già direttore del Corriere della Sera, lo invita<br />

a scendere tra i mortali: «La nostra è sempre<br />

una verità con la v minuscola, parziale,<br />

in prospettiva, all’orizzonte. C’è un’etica<br />

dei princìpi che deve essere cosciente<br />

di questa parzialità, e delle responsab<strong>il</strong>ità<br />

che <strong>il</strong> nostro ruolo comporta. A chi ci<br />

critica non si può rispondere: questi sono<br />

i miei princìpi e crolli <strong>il</strong> mondo, ma si<br />

risponde tenendo conto delle conseguenze<br />

18 | 12 settembre 2012 | |<br />

A lato, <strong>il</strong> direttore<br />

dell’Osservatore<br />

Romano Gian Maria<br />

Vian; gli editorialisti<br />

del Corriere della Sera<br />

Piero Ostellino (già<br />

direttore della testata<br />

di via Solferino)<br />

e Antonio Polito<br />

(ex direttore del<br />

Riformista); <strong>il</strong><br />

direttore del Foglio<br />

Giuliano Ferrara<br />

che ciò che io scrivo finisce con<br />

l’avere sull’opinione pubblica,<br />

sugli equ<strong>il</strong>ibri politici e sociali<br />

del paese. Il giornalista non<br />

è <strong>il</strong> depositario della verità, è<br />

solo un signore che racconta le<br />

verità che crede di aver capito»<br />

All’obiezione che la considerazione<br />

delle conseguenze<br />

di ciò che si scrive potrebbe<br />

essere interpretata come autocensura<br />

Ostellino ribatte: «Nessuna<br />

autocensura, tutto ciò<br />

che noi facciamo, in particolare<br />

l’uomo pubblico, e <strong>il</strong> giornalista<br />

lo è, ha delle conseguenze<br />

sugli altri e sono conseguenze<br />

di cui l’intellettuale, ammesso<br />

che <strong>il</strong> giornalista possa essere<br />

considerato tale, è responsab<strong>il</strong>e,<br />

non giuridicamente, moralmente e<br />

politicamente. L’idea che <strong>il</strong> giornalista, in<br />

nome di questa trasparenza, non subisca<br />

gli schizzi di fango della storia è un’idea<br />

elitaria e presuntuosa. Ciò che noi scriviamo<br />

e diciamo muove valori, princìpi, convinzioni<br />

e aspettative. Esercitare la critica<br />

nei confronti delle istituzioni non può prescindere<br />

dal fatto che ciò che <strong>il</strong> giornalista<br />

scrive delle istituzioni e del mondo in cui<br />

vive non è estraneo al mondo stesso. Si può<br />

anche essere faziosi, è una forma di esercizio<br />

della libertà, ma coscienti che ogni<br />

manifestazione di pensiero ha degli effetti.<br />

Siamo immersi nella storia, <strong>il</strong> giornalista<br />

non è mai innocente».<br />

Una censura grazie ai giornali<br />

«Quid est veritas? Io – ci dice <strong>il</strong> direttore<br />

dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian<br />

– ripartirei dalla domanda di P<strong>il</strong>ato. Per<br />

molti era una domanda irridente nei confronti<br />

dell’imputato che aveva davanti, per<br />

me è una domanda drammatica. Quanta<br />

volontà di informazione c’è in un siste-<br />

«Si può anche essere faziosi, è una forma<br />

di esercizio della libertà, ma coscienti che<br />

ogni manifestazione di pensiero ha degli<br />

effetti. Il giornalista non è mai innocente»<br />

ma sempre più urlato e veloce?<br />

Ormai i giornali non vengono<br />

letti ma ascoltati via radio<br />

nelle infinite rassegne stampa:<br />

un titolo, un sommario e<br />

via. La brevità richiede ulteriore<br />

responsab<strong>il</strong>ità. Dopo certe<br />

“notizie” esco più informato<br />

o più confuso? Siamo certi che<br />

la verità si limiti alla supposta<br />

rivelazione di fatti che <strong>il</strong> più<br />

delle volte è decontestualizzata<br />

e finalizzata a una tesi precostituita?<br />

Sono domande che<br />

faccio a me stesso, perché ho<br />

nostalgia delle grandi inchieste<br />

degli anni Sessanta e Settanta<br />

che hanno contribuito a<br />

una crescita del paese. Oggi mi<br />

sembra prevalere una volontà<br />

malevola di denigrazione – <strong>il</strong><br />

Vaticano ne sa qualcosa, anche<br />

se non voglio minimizzare problemi<br />

che sono sotto gli occhi<br />

di tutti – che non aiuta a capire.<br />

Per dirla con Chesterton,<br />

a volte penso che “non abbiamo<br />

bisogno di una censura sui<br />

giornali perché abbiamo quotidianamente<br />

una censura grazie<br />

ai giornali”».<br />

Quale sia la verità con la V<br />

maiuscola che <strong>il</strong> giornalista deve denunciare,<br />

per Polito è una vulgata sin troppo<br />

fac<strong>il</strong>e: «Il potere è corrotto». Per Ferrara,<br />

«dire che lo Stato ha trattato e ancora tratta<br />

con la mafia è un modo fac<strong>il</strong>e di fare<br />

propaganda e giornalismo manettaro». In<br />

nome della Grande Verità, poi si omettono<br />

le tante piccole verità di cui invece è fatta<br />

la vita comunitaria. Polito fa un esempio:<br />

«Leggi che tizio è amico di caio, che conosce<br />

sempronio che ha un fratello indagato<br />

per mafia. Perché dicono “indagato”?<br />

Se fosse stato riconosciuto colpevole direbbero<br />

“condannato”, evidentemente è stato<br />

assolto. Ma così <strong>il</strong> castello crollerebbe.<br />

Quindi, in nome della Grande Verità omettono<br />

tante piccole verità». Disinformano.<br />

«Dall’estero» Vian osserva che «nella<br />

situazione italiana c’è una debolezza della<br />

politica, un vuoto che i giornali, cambiando<br />

ruolo, cercano di riempire. Si fanno<br />

parte politica, ma si presentano come<br />

l’amico della verità». A questo punto ha un<br />

ricordo fulminante: «Il giornale che dirigo<br />

avrebbe dovuto chiamarsi L’amico della<br />

verità, <strong>il</strong> progetto del 1861 è<br />

conservato nell’archivio; qualcuno<br />

provvidenzialmente tirò<br />

un frego su questa testata e propose<br />

più prudentemente L’Os-<br />

servatore Romano».<br />

n<br />

foto: Ap/Lapresse

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