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glI UlTIMI<br />
SaRanno I PRIMI<br />
alla fIne Del vIaggIo<br />
L’eco di un’altra traversata<br />
di Marina Corradi<br />
66 | 12 settembre 2012 | |<br />
Diciannove agosto sera, al largo di livorno. La linea della costa con le sue luci<br />
nell’oscurità sembra un confine. Fino a lì la terra degli uomini; oltre, soltanto<br />
<strong>il</strong> mare. La nave traghetto si avvicina lenta, lasciandosi dietro una scia<br />
di schiuma chiara. Le luci di Livorno tremanti nel buio disegnano una città assisa<br />
nell’afa di agosto: come una vecchia di paesi mediterranei seduta, la sera, davanti alla<br />
porta di casa. In alto le stelle del Grande Carro – così indifferenti, straniere. Quaggiù<br />
la lanterna del faro che sciabola di raggi obliqui, a ritmo regolare, <strong>il</strong> nero del mare.<br />
Quella luce all’imbocco del porto sembra una scolta di vedetta su un orizzonte<br />
infinito. La nave ne riconosce <strong>il</strong> segnale: e avanza adagio, ma certa, verso <strong>il</strong> suo molo.<br />
I fari del porto disegnano sull’acqua riflessi rossastri. Passa una motovedetta<br />
della guardia costiera e si lascia dietro una scia che subito si dissolve. L’acqua calma<br />
è uno specchio che non trattiene le ombre che passano. Un istante, e tutto torna<br />
liscio e uguale. (Tu che ti affacci dall’alto del ponte pensi che quello scomparire<br />
di ogni traccia ti ricorda qualcosa; come una<br />
mano che sfiori una antica ferita).<br />
Sulle banchine dello scalo merci, a<br />
quest’ora, nessuno. Solo le sagome dei magazzini,<br />
squadrate sul cemento; e i bracci delle gru<br />
alti, immob<strong>il</strong>i, strani uccelli chiusi in un loro<br />
sonno d’acciaio. Tra i depositi per un istante ti<br />
pare di intravvedere l’ombra di un uomo. Un<br />
guardiano, o un poveraccio in cerca di un rifugio per la notte? La lanterna del faro,<br />
imperturbab<strong>il</strong>e, continua a girare.<br />
Laggiù, però, ci aspettano. Un gruppo di manovali attende che la pachidermica<br />
nave faccia la sua manovra e accosti la poppa, adagio, alla banchina. Allora dall’alto<br />
lanceranno cime grosse quanto <strong>il</strong> braccio di un uomo, e a terra le fisseranno<br />
agli ormeggi, tese, quasi lacci che immob<strong>il</strong>izzano una preda. Cos’è<br />
questa strana commozione, quando dopo ore di viaggio si attracca<br />
e si torna, dal mare, a terra, fra gli uomini? Quando i radar<br />
sul castello di prua smettono di girare; di cercare la rotta,<br />
la invisib<strong>il</strong>e strada sul mare.<br />
In questo porto che ha la luce e i s<strong>il</strong>enzi delle piazze<br />
di De Chirico tutto sembra in attesa. Di cosa poi?<br />
Un orologio sulla torre è chiaro e pallido come una<br />
faccia di luna. Segna le dieci e dieci con le lancette<br />
spalancate come braccia aperte. E allora noi passeggeri<br />
ci si affretta e ci si spinge sulle scale, le valige<br />
per mano, i bambini addormentati in braccio. Il confine<br />
è varcato, la terraferma è solida sotto ai nostri piedi.<br />
L’attimo incerto delle luci tremanti del porto, della<br />
lanterna del faro, è passato. Cosa è stata quell’ombra<br />
che per un attimo ti sei sentita addosso? L’eco di un’altra<br />
traversata, di un altro approdo. Nulla. Fantasmi.<br />
Niente di misurab<strong>il</strong>e dai radar che girano, ma non registrano<br />
le osc<strong>il</strong>lazioni del cuore.<br />
Cos’è questa strana commozione,<br />
quando si attracca e si torna a terra,<br />
fra gli uomini? In questo porto che<br />
ha la luce e i s<strong>il</strong>enzi delle piazze<br />
di De Chirico tutto sembra in attesa<br />
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