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SOCIETÀ<br />
40 | 12 settembre 2012 | |<br />
<strong>il</strong> prezzo di un sì<br />
Gloria<br />
Pelizzo<br />
opera feti affetti da spina bifida, usa la robotica coi<br />
lattanti, mette i carcerati al servizio dei bambini. donna,<br />
madre e pioniera della professione. parla <strong>il</strong> direttore<br />
di chirurgia pediatrica del san Matteo di pavia<br />
La dottoressa che ha sconvolto la sua vita<br />
per rivoluzionare la medicina moderna<br />
È<br />
alta, bionda, di una classe riservata. Il<br />
ta<strong>il</strong>leur rosa e gli orecchini di perle<br />
stonano con i lividi sugli avambracci,<br />
«dovevo portare a tutti i costi <strong>il</strong> comodino<br />
in camera di mia figlia. Siamo a<br />
Pavia da due anni e volevo che finalmente<br />
ne avesse uno suo. Era una promessa».<br />
A parlare è Gloria Pelizzo, l’unico chirurgo<br />
a fare alcuni interventi in Italia. Che<br />
combatte per rivoluzionare <strong>il</strong> concetto di<br />
chirurgia pediatrica, che insegna diversamente<br />
da come vuole la medicina moderna,<br />
che mette insieme carcerati e neonati<br />
e che «mangio, pulisco casa, vado al cinema<br />
allo stesso modo in cui opero. Vivo<br />
ogni giornata come fosse l’ultima». Così<br />
lei fa ogni cosa. «Perché nella vita bisogna<br />
rispondere. Tutto è fatto per essere incontrato<br />
e valorizzato da noi. Anche quando<br />
non capiamo».<br />
La forza della donna che ha operato<br />
bambini affetti da spina bifida quando<br />
erano ancora in grembo, tra i pochi<br />
ad effettuare alcuni interventi di chirurgia<br />
robotica su lattanti e bambini di basso<br />
peso, è sicuramente nella particolare predisposizione<br />
fisica aiutata da un temperamento<br />
tenace. Ma a sentire parlare <strong>il</strong> chirurgo<br />
trapela una vulnerab<strong>il</strong>ità che sembra<br />
fare a pugni con l’eccezionalità del<br />
suo vissuto. «Non ho fatto nulla se non<br />
dire di sì. La mia vita si costruisce su continue<br />
risposte e cedimenti a quello che capi-<br />
In queste pagine, Gloria Pelizzo, direttore di<br />
Chirurgia Pediatrica al San Matteo di Pavia<br />
ta. Un susseguirsi di chiamate di cui non<br />
ho ancora capito pienamente <strong>il</strong> senso».<br />
Pelizzo nasce e cresce in Friuli, quando<br />
decide di andare a studiare medicina<br />
a Ferrara, dove incontra chi le fa capire<br />
che nelle cose che accadono c’è più di<br />
quanto sembra. «Era <strong>il</strong> mio primo maestro,<br />
un chirurgo di religione ortodossa<br />
che si coinvolgeva totalmente con i bam-<br />
bini. Fino a battezzarli e a chiamarci per<br />
fare da testimoni in sala operatoria prima<br />
dell’intervento chirurgico». Poi Pelizzo<br />
vola in Francia. E a Lione incontra quello<br />
che resterà <strong>il</strong> suo mentore. «Mi chiedeva:<br />
“Cosa mi dice di questo paziente?”.<br />
E io: “È affetto da...”. E Lui: “Ma lei lo ha<br />
sentito?”. Io: “Sì lo ho auscultato”. “No! –<br />
si infuriava – lei lo deve prendere su di sé<br />
per sentirlo e quando lui si abbandona<br />
allora siete in sintonia totale e così può<br />
procedere”. L’immagine di quell’uomo<br />
che ascoltava i bambini tenendoli in braccio<br />
mi ha scavato dentro. Oggi cerco di<br />
insegnare questo ai miei collaboratori e<br />
agli studenti». Ma poi Pelizzo vola all’estero<br />
per approfondire gli studi e ci rimane<br />
fino a quando, appena trentacinquenne,<br />
viene nominata primario responsab<strong>il</strong>e<br />
del dipartimento delle urgenze chirurgiche<br />
e dei trapianti pediatrici nell’ospedale<br />
universitario di Lione: «Il mio maestro<br />
venne da me felicissimo: “Vado in pensione<br />
in pace”, mi disse. Il giorno dopo fatti<br />
legati alla mia vita privata mi convinsero<br />
però a rientrare in Italia».<br />
Così la donna dopo un anno a Trento<br />
ne passa un altro all’Ospedale di Ferrara<br />
e successivamente sei presso l’ospedale<br />
pediatrico di Trieste. Presto altre difficoltà<br />
inducono Pelizzo a lasciare <strong>il</strong> suo<br />
lavoro e a cercarne uno che le conceda<br />
più tempo libero. «Andai da un respon