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Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia

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5.<br />

Chi ti regalò l’inquietudine del verso col quale navighi sul filo degli abissi, se avevi con te,<br />

stretto dentro il palmo, il sigillo che ricolma lo sguardo di certezze? In quale mattino senza<br />

nome, abitato dal graffio inudibile dell’ombra, prese il largo il tuo canto che varca stagioni<br />

di ferite? Forse fu lo stigma vivente della pioggia, la preghiera nuda di un ramo che si offre<br />

all’abbraccio dell’acqua. Forse la speranza di seminare echi nelle terre ammutolite dell’esilio,<br />

essere voce che racconta il giorno alla pupilla cieca delle pietre. Tu che oggi ti accompagni<br />

a chi si lascia il lume di ogni morte trascorrere tra i pori, tu sai le rotte che guidano gli uccelli<br />

ai sacrari inviolati dell’aurora.<br />

6.<br />

Scrivi di Osip, e laceri la tela spiegata dei miei sensi. Ti apri un varco tra i silenzi e le piaghe<br />

di un’esistenza che puoi solo immaginare. Vieni a smarrirti nei solchi di una terra che dorme<br />

sotto il fuoco. Ti accolga l’abbraccio della lampada muta che accendo ogni notte sulla soglia.<br />

Ti accolga il vento che dalla soglia sussurra alla mia polvere. Che mi riporta le voci mai placate<br />

dei morti che gridano giustizia dal ciglio ferito dei miei occhi. Questa è la casa, qui è la tavola<br />

che invecchia e che rinasce a ogni pasto. La mensa di spighe acerbe imbandita dal transito degli<br />

anni. Guarda. Non si consuma l’olio, se arde nella coppa delle mani la luce fraterna degli sguardi.

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