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Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia

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*<br />

“Tu muori di me che nella boscaglia<br />

Di spine d’acacia in foglia mi schiero”<br />

Facciamo spazio al vento. Incurante di quanto fu già scritto, fermenta copie di scintille al suo<br />

passaggio. Vampate di colore dove immergere le dita, e con gli occhi ridipingere il giardino<br />

spianato in sabbie da uragani d’arsenale. La storia<br />

non costringe, l’artiglio non ti stana, se scavi nel suo ventre putrescente anfratti di stupore. Se ti fai<br />

cavo, intarsio, guaina, matrice, insonne abitacolo di sguardi. Chi ti vide in un verso farti foglia, e nel<br />

respiro solidificare in lampo di radura, conosce ogni ramo da cui spunti. Il suo corpo è la cenere che<br />

illumini. La casa.<br />

*<br />

“Rubano il verso<br />

sfinite scogliere<br />

dell’isola madre”<br />

Uscendo dalla gola, come il verde covato da una zolla, la voce si scioglie in segni nella mano. La<br />

sua stagione è una limpida costanza, vocazione d’isola in fiori di corrente. La sera, qui, è solo il<br />

giaciglio provvisorio di una vela.<br />

L’inverno, un sogno d’astri – l’orizzonte rischiarato da pulviscoli di neve. Ma è un guado – una<br />

franchigia d’ombre dove la sete mormora i suoi riti. Oltre è la notte – severa madre che consuma gli<br />

idoli di un lume. Attraversarla così, a occhi chiusi. Sapendosi respiro leggero di farfalla che si<br />

abbandona al migrare silenzioso delle ombre – che aggiunge la sua ombra alla pietà di un fiore.<br />

*<br />

“Con un morso m’azzanno per la coda<br />

E di serpe mi fingo l’infinito”<br />

Colma, sull’ambra che riluce al tuo passaggio, si leva la musica di carne che inventa lo spartito e il<br />

controcanto, il morso dell’aspide e il farmaco sapiente di fonti, di stagioni. Si entra da stranieri nella<br />

notte, quando dispera il cielo la ferita del lume che lacrima sui passi. Vivere è forse un viandante<br />

che si sogna, mentre risale l’abisso gradino per gradino. Al riaffiorare al giorno, solo le sue mani<br />

senza pentimento stringono la stella che fa mute le campane. Si offrono alla luna come cristalli dove<br />

ha trovato dimora ogni dolore, voce ogni silenzio.<br />

*

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