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Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia

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Su Nicola Ponzio<br />

c’è molta luce in questi versi, e mi piace. come un continuo fiorire dell’alba e dell’alba, anzi la luce<br />

è l’elemento che riempie questi “cieli”, ma non soltanto di luce in quanto tale, di luminosità,<br />

chiarezza, fluida trasparenza. la luce diventa altro, assume altre forme più tangibili. come a dire che<br />

davvero tutto viene dalla luce, e per dirla con due versi dello stesso autore “C’è qualcosa di<br />

giusto,/qualcosa che nobilita lo scettro del granturco”.<br />

(Marco Saya)<br />

Caro <strong>Francesco</strong>, ho riletto con calma il tuo splendido commento a L’equilibrio nell’ombra, e non<br />

posso che confermare la tua straordinaria capacità di penetrare nei testi.<br />

Ringrazio quando scrivi<br />

“Ci si muove nel solco di un esercizio etico, perchè ad ogni passo il simbolo in cui si inciampa è<br />

materia vivente”.<br />

(Nicola Ponzio)<br />

A proposito di Nicola Ponzio, mi corre una ulteriore considerazione, da prendersi sempre per quello<br />

che è, cioè un contributo che nasce dalla “mia” esperienza dei suoi testi e che non vuole avere (né<br />

potrebbe) nessuna valenza di esaustività.<br />

Mi è capitato poche volte, soprattutto negli ultimi tempi, di imbattermi in libri della “consistenza”<br />

dei suoi. Una consistenza che investe svariati piani del discorso complessivo che riguarda la <strong>poesia</strong>.<br />

Con una “particolarità”, oltretutto: ci troviamo di fronte, da una parte, a una “complessità” estrema<br />

(a livello di pensiero, di poetica, di riferimenti strutturali, testuali ed extratestuali), che si traduce,<br />

dall’altra, attraverso il sapiente utilizzo dei materiali in cui di dipana l’ordine della scrittura, in una<br />

“leggibilità” sorprendente, capace di tradurre in epigrafi di luce anche i correlativi simbolici più<br />

oscuri ed intricati. E’ come se il “pensiero” che sorregge il tutto si trasformasse in immagini<br />

speculari di chiarezza per grazia di un lessico che, nel suo “laboratorio”, non ha altra consistenza<br />

che quella del “canto”. Nei suoi testi non trovi un solo accento superfluo, dominati come sono da<br />

una “tensione all’essenziale”, alla “parola che lascia una traccia visibile e duratura”: tensione che<br />

agisce da deterrente, tanto nei confronti del tracimare della voce in “cantabilità” fine a se stessa,<br />

quanto nei confronti dell’irrompere, nel dettato, di una concettualità che porterebbe il verso,<br />

inevitabilmente, a farsi sentenza, cioè a snaturarsi.<br />

La “cifra” più autenticamente originale e personale della sua voce è da ricercarsi proprio in questo<br />

“equilibrio”, nella rarefazione e “naturalizzazione” delle immagini, che non risultano mai avulse,<br />

estranee, alla matrice terrestre e profondamente umana che le genera. Ciò gli permette, tanto per<br />

fare un esempio, di rendere accessibili anche astrazioni concettuali chiaramente “metafisiche” (uso<br />

l’aggettivo in una accezione molto “larga”), proprio perché le invera, senza nessuno sforzo,<br />

nell’unico “ordine” che può dar loro un senso: quello delle “cose”, degli “oggetti” reali della vita e<br />

del mondo degli uomini.<br />

(<strong>Francesco</strong> <strong>Marotta</strong>)

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