Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
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In Itinere – Davide RACCA<br />
“dimenticarsi di noi passandoci davanti<br />
senza aver lasciato traccia”<br />
Davide Racca<br />
(Caserta, 1979)<br />
Note sui testi di Davide Racca<br />
Il discorso poetico di Davide Racca, complessivamente inteso (dalla scrittura alle arti figurative,<br />
dalla parola al segno e all’installazione), è animato da una forza tellurica, primigenia, da un<br />
universo di anticipazioni che confluiscono, inconsciamente, nella definizione di un itinerario<br />
particolarissimo, inquadrabile in un’ottica che Emilio Villa avrebbe definito da “opera totale”:<br />
“totale” non in quanto sistema di segni definiti una volta per sempre, ma in quanto sguardo che si fa<br />
specchio dell’origine, ricerca del momento fondante, non per seguirne la metamorfosi in una forma<br />
che si cristallizza, quanto piuttosto l’orizzonte genetico che, pur tendendo, “naturalmente”, alla<br />
forma finita, non rinuncia alla traccia di alterità, a quel “substrato di ordine” che ogni magma<br />
caotico reca in sé come tensione, come possibilità e, infine, come permanenza.<br />
Davide Racca è lettore e studioso di Villa, ma la ricezione della sua lezione non è un dato, un punto<br />
di approdo contemplato; è, invece, ogni volta, uno scoglio da superare, un grumo di intuizioni<br />
possibili tutte da verificare, uno specchio splendente da rovesciare per cavarne la sostanza d’ombra,<br />
e in ombra, che lo fa essere. C’è una consapevolezza teorica, inusuale, dietro la sua scrittura poetica<br />
e la sua produzione di artista figurativo, quasi che il suo compito si risolvesse tutto nel senso e<br />
nell’espansione di un poiein originario: far sì che l’immagine dica prima e più della parola,<br />
parlando, in quanto immagine, la lingua dei suoni; far sì che la parola dica prima e più<br />
dell’immagine, aprendosi agli alfabeti di un universo erratico tutto “immaginale”.<br />
Una poetica complessa che fonda e riplasma materiali eterogenei della tradizione “alta”, insieme a<br />
frammenti di un reale disadorno, squassato, lacerato dalle contraddizioni della storia: nella più<br />
assoluta coscienza e padronanza dei propri mezzi, mai scissa, comunque, dall’urgenza del dire che<br />
la pervade. Ed è questa “urgenza”, non sembri un paradosso, a regalare alla scrittura, in controluce,<br />
una costante e articolata riflessione di “poetica”: non meta<strong>poesia</strong>, in sostanza, ma eterogenesi<br />
intuitiva e formale che si dispiega in unità di scrittura e di segno, fino a che, attraverso immagini<br />
che spesso danno colore e sangue e movimento alla materia grezza, la parabola dell’atto, del “fare<br />
che crea”, diventa un canto totale alla <strong>poesia</strong>, all’umano nella sua espressione più tragicamente<br />
finita: un’oltranza continua di senso, con testi di grande fascino e apertura a una pluralità, anche<br />
discordante, come è giusto che sia, di “letture” possibili.<br />
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