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Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia

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Poesie da leggere percorrendo il chiostro del mondo e l’esterno che preme minaccioso ma pure<br />

salvifico, specie quando il mistero si annuncia con il dolore della scoperta e del dubbio. Grande<br />

<strong>poesia</strong> di un uomo grande pienamente immerso nel guado.<br />

(Gabriele Pepe)<br />

Le parole di Fabrizio sono severe e intelligenti - nella etimologia della parola intelligenza - ma di<br />

una intelligenza che ha lo sguardo a ventaglio e che insieme chiama dal livello terrestre delle cose<br />

dure: pietre, totem che sono posati alla superficie del pensiero a dire mondo, mentre il pensiero tira<br />

verso il risucchio di dio e della sua parola che vuole sfolgorare qui, tra le pietre.<br />

(Maria Grazia Calandrone)<br />

Mi pare che questa <strong>poesia</strong> sgorghi da un vissuto pieno che non si cela dietro l’abito talare ma che sa<br />

tenere in mano la torcia della ricerca nel buio che circonda l’umano vivere. Qualcuno ha parlato di<br />

missione del poeta, a me sembra invece che sia la missione sacerdotale ad essere interrogata<br />

continuamente in profondità dall’urgenza della <strong>poesia</strong>, di questa <strong>poesia</strong>, che mette a fuoco quella<br />

verità che ci vuole tutti, fede o no, davanti a quel muro che ci separa dalla visione certa, dalla<br />

conoscenza.<br />

(Elena F. Ricciardi)<br />

Mi sono domandato se il fatto che Fabrizio sia un sacerdote ha qualche rilevanza, da un punto di<br />

vista poetico. Forse ne ha, almeno come dato esperienziale. E forse ne ha come problema di<br />

“conciliabilità”, o se vogliamo di indagine (…) sulle capacità di linguaggi diversi, che pure gli<br />

appartengono, di guadagnare una dimensione spirituale, parlando della condizione del mondo con<br />

tutta la verità di cui un poeta è capace, e di giungervi per un’altra strada. (…)<br />

Fabrizio è poeta fine. Non gli servono particolari artifici, tranne quello della voce. Non cerca vie di<br />

fuga stilistiche, e le emergenze metriche o rimiche sono semmai affioramenti di una cultura<br />

sedimentata e controllata (inutile qui fare il gioco delle parentele, si potrebbe parlare di Luzi, non<br />

solo per l’uso di certe parole, o Raboni, per l’uso di certi registri minori, ma che importa). Traspare<br />

un lavoro attento sul verso che sembra anche di sottrazione, di ricerca di leggibilità, di una<br />

leggerezza sintattica e semantica (e qui semmai viene in mente Calvino, che sappiamo essere<br />

oggetto della sua tesi di laurea). Il suo lessico è relativamente semplice, per certi versi anti<br />

espressionista. Un poeta che si discosta e osserva, anche sè stesso, e se un io c’è, si è appartato<br />

modestamente, come in un confessionale, e tende eventualmente o a farsi oggettivo o a diventare un<br />

noi partecipativo, condiviso e, quindi, pietoso. Da questo punto vista è difficile qui parlare di<br />

lirismo, il dato oggettivo (…) quando c’è assume subito un valore metaforico, diventa aggancio di<br />

una meditazione esistenziale.<br />

Il richiamo più intenso della <strong>poesia</strong> di Fabrizio, a mio avviso, è alla difficoltà, tutta novecentesca, di<br />

capire l’esistenza e il mondo, di interpretarli, di comunicare quello che abbiamo intuito e di<br />

domandare quello che anche tragicamente ci assilla. Del mondo e della vita si cercano i segni, le<br />

mappe. Si cerca di vedere o di intravedere. Ma il veggente è un naufrago, che a volte sembra<br />

cercare i suoi gorghi. Certo, ci sono presagi, c’è la “carta topografica del cielo”, ci sono “carte<br />

infisse nel portone” come ordinanze decise altrove, ma servono a capire? Rimane il dubbio che<br />

cresce, la luce è inaccessibile, il “vivere inespresso” si concretizza in parole scritte nella polvere,<br />

nemmeno i morti ci parlano, mentre il timore si fa vicino, “le bombe fischiano in cantina”, che non<br />

è solo sotto di noi, è anche dentro di noi. Anche altri segnacoli eludono la comprensione: agende<br />

scadute, strani appuntamenti (a cui presumibilmente non si presenta nessuno), indirizzi inutili.

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