Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
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3.<br />
Se dunque sia l’inferno<br />
dei viventi questa tirannide di corpi<br />
scorza di firmamenti e atomizzati nodi<br />
arco di vertebre<br />
che scocca al gravitare<br />
il dardo provvisorio del soggetto<br />
che pur mirato all’oltre<br />
nel sé<br />
scagliando affonda e in onda si trasforma<br />
rossa salsedine<br />
marea dal ritmo addolorato<br />
respiro madido di sangue e rose<br />
fiato spinato dell’evento<br />
atteso fino al colmo dei fardelli<br />
al chiodo della luce<br />
fulcro di leva azzurra<br />
che<br />
dal petto ai semidei solleva<br />
oscurità riflessa<br />
*<br />
Poesia o mantra? Ripetere è pur sempre un modo per creare. O anche per scongiurare, in<br />
atteggiamento magico-rituale. Molte poesie di Pepe hanno una struttura ciclica che tende a ripetersi.<br />
(…) La struttura ciclica rappresenta quel continuo errare in gabbia, così come il poeta erra nel suo<br />
corpo, col quale evidentemente ha un rapporto conflittuale (per ragioni non certo lievi). Il limite, la<br />
malattia, l’inadeguatezza sono sentiti come la maledizione del soma, il carcere, il fio da scontare,<br />
con un approccio certo non nuovo nella cultura occidentale. Là infatti il corpo è la causa prima della<br />
dannazione eterna (Platone e il Cristianesimo), qui il corpo invece, ancora materia “maligna”, è la<br />
causa prima della dannazione presente. Una <strong>poesia</strong>, dunque, che tende a una struttura circolare<br />
perfettamente simmetrica, che è insieme una specie di bulumia di versi, a volte ripetizioni continue<br />
della stessa figura con differenti immagini e metafore; <strong>poesia</strong> che spesso va letta come un mantra e<br />
ciclicamente (due versi sembrano alludere a quest’idea: “con un morso mi azzanno per la coda / e di<br />
serpe mi fingo l’infinito”). Quest’idea di perfezione formale è tenacemente perseguita in tutta la<br />
raccolta: si va dalle forme tradizionali come il sonetto, alla quartina, alla terzina; si va<br />
dall’endecasillabo al settenario, al doppio settenario e doppio endecasillabo, sempre nella certosina<br />
(medievale) ricerca dell’esatta forma, di una struttura che salvi dal disfacimento, che possa dare una<br />
parvenza di centro e di certezza quando il proprio Io sembra sgretolarsi nel tempo, fuoriuscire dal<br />
corpo che non è in grado di sostenerne l’impeto e perdersi nel nulla, nel caos delle cose e degli<br />
eventi. (…) Il poeta vive la sua sofferenza cercandovi un senso tra le pieghe di una cultura<br />
palesemente inadeguata ad esprimere l’esperienza del soffrire e l’integrazione tra psiche e corpo, fra<br />
slancio vitale e morbilità minante, fra eros e thanatos; una cultura presa com’è nel magnificare<br />
l’eterna giovinezza o una patetica volontà di potenza protesizzata da trucchi tecnologici e dal<br />
sospirato “benessere”, e che esorcizza invece la fragilità del corpo e l’inesorabilità della morte.<br />
(…)