Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
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*<br />
Se l’eco degli amori<br />
si ripete<br />
sui perché la primavera<br />
si ripete,<br />
è giusto contraddirsi<br />
e poi ricredersi.<br />
Non farsi omologare e dare credito<br />
a quest’opera di nomi<br />
e di domande,<br />
che la terra dell’inchiostro<br />
poi dissimula.<br />
*<br />
Dove la terra si fa dono di parole senza voce<br />
(di <strong>Francesco</strong> <strong>Marotta</strong>)<br />
“Che mai avremo avuto, invero, se non raggiungeremo il vero luogo?”<br />
(Yves Bonnefoy)<br />
“allontanarsi da sé per ritrovare<br />
la scrittura della vita”<br />
Ci sono segni, figure, tracce, un intero alfabeto senza inizio e senza sintassi, nello spazio dove<br />
l’ombra dimora per farsi evento e sguardo: lo spazio dove la vita s’immerge nella pienezza della<br />
sua libertà senza ragione, inavvertita, per vedersi rinascere a ogni alba nelle forme mobili, cangianti,<br />
che liberano nel giorno lampi ed echi del suo universo senza riposo. La scrittura della vita segue i<br />
passi interminati di un perpetuo esilio: da una forma al suo mistero rivelato, da ciò che<br />
apparentemente permane al vento che ne cancella il profilo, da quanto si rinchiude in bozzoli di<br />
pietra al lampo che spinge più avanti l’orizzonte. L’equilibrio è l’orma che manca, l’immagine che<br />
nel cammino si lascia presentire come assenza. Perché è nelle cose, nella loro semplice,<br />
inafferrabile esistenza, che dimora la radice del canto: tutte, una ad una, lettere di un sillabario<br />
d’aria, d’acqua, di terra e di fiamma; glifi alle cui labbra la pupilla tende la sua sete, si abbevera –<br />
per restituire alla lingua la misura inaccessibile della metamorfosi e del passaggio.<br />
“nel gesto di riempire con il cielo<br />
la distanza della carne”<br />
Ci sarà sempre un fiore, una zolla, uno sciame, uno stelo, un’ala da leggere negli specchi senza<br />
verbo di una storia che non ha cieli da escludere, orme da cancellare – ma si riverbera nelle cose e si<br />
incide a segnali di luce nella carne. Oracolo senza tempo e senza altari che si rivela nel suo essere<br />
ricettacolo di ogni senso, profezia di ciò che spunta, di ciò che vola ed è muta misericordia di<br />
un’esistenza che si fa presenza, pietra scritta, parola senza suono che non teme la metamorfosi a cui<br />
il respiro delle cose la conduce. E’ allora che davvero si appartiene: per necessità di un ordine che è<br />
pura nominazione, inafferrabile confine dove la lingua frange e si abbandona.