Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
6<br />
“come da celeste bocca una parola<br />
che s’involi al caglio degli uomini”<br />
Una parola che semina pupille e notti, un calmo uragano che si apre a visitare lumi seguendo il<br />
passo che annaspa dietro avvisaglie d’ali. Non più la spina che da millenni ci ferì la mano, ma<br />
l’ombra vocale per ritrovati accenti: pensare – il sangue – voce che scivola tra bivacchi d’astri,<br />
che corre alla foce sfiorando anfore di rovi: linfa decisa dal battesimo dell’alba, sillaba oracolare<br />
che oltrepassa i giorni.<br />
Una parola che sogna d’essere sibilo rovesciato da calici di vento, asceta di rovine, voce che<br />
esplode in linfe franando contro l’ardente nudità dei platani. Una parola riemersa dall’acqua della<br />
Sorga che si trascina una lucerna spenta – il suo corpo rifiorito dall’aprile. La pagina, allora, sarà un<br />
portico di passi in disertati altrove, la bocca dove Laura è un grido, la fonte che sfiniva nel sudario<br />
azzurro delle nevi. Sulle sue labbra, la veglia muta di un fuoco – un concilio di pollini planati a<br />
stormi, dalle palpebre di rami ancora stretti al gelo.<br />
Il lunario degli autunni è appena il suo viso che si oscura, una vela arresa a rotte di zodiaco – eco<br />
di papaveri sepolta dai grappoli che fluttuano del sole, possibile lampo di innevati oracoli. La guardi<br />
e le sue labbra dicono – è morte lunga ferirsi a una stella assente. La guardi dileguare in lenta fuga<br />
d’ore, in giochi d’ombre, sopra miniate lingue di rubinie – tu che ora ricami il suo tramonto nei<br />
colori indelebili del pane.<br />
7<br />
“non lo spiffero o l’angelo ma il becco<br />
a picco verso il suolo l’aprirsi tuttavia<br />
d’ogni tempo il suo farsi frutto”<br />
Nell’aura di lune pietose è il crepuscolo che svela ogni distanza. Viene dopo il silenzio la fiamma<br />
che sarà marea e sponda. La sera, intanto, nutre il suo incendio di isole mai sognate. Tu inalberi un<br />
grido, una vela che procede oltre la soglia – memoria naufraga che tende all’origine senza faro e<br />
rotta. La corrente lascia minuscole lamine d’argento assorbite dall’inchiostro – l’acqua è un roseto<br />
che suggerisce ai venti la chiave segreta della sue forme arcane. Ardono le corolle il brivido che<br />
parla in nome di ogni luce – relegano ai margini la cenere che compone i giorni. I petali, nel palmo<br />
che fiammeggia contro il cielo, curvano dai meridiani di una riva assente. Dissetano il piano delle<br />
labbra. E voci inferme, ammalate di silenzio, varcano il tempo dell’aurora. Sfociano nel giorno –<br />
irripetibili, smisurati echi della vita. Di ogni vita.