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Francesco Marotta, Scritture II, 2007 - Biagio Cepollaro, poesia

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Su La distanza immedicata<br />

Due rive, parte del medesimo tutto, che si guardano, due rive non connesse se non da un qualcosa<br />

che divide e che nello stesso tempo segna un confine. Due rive tra cui non è stato gettato un ponte<br />

(che avvicina) bensì vi è una distanza, immedicata, non guaribile. Il risanamento è già escluso sin<br />

dal titolo: La distanza immedicata. […] Io non vedo però Guglielmin su un o sull’altra riva, bensì al<br />

centro dell’acqua. E su di lui e dentro lui che tutto scorre ed è lui che agisce per dividere le acque<br />

non già come il fiume divide le sponde ma come il figlio che trova salvezza – grazie agli<br />

accadimenti ed alle ferite- e che cresce, trova sostegno dalla memoria e divide le acque, lui perchè è<br />

parte dell’acqua, non spettatore ma elemento, non estraneità ma componente. Ciò che ci lascia è un<br />

testamento esperienziale da mettere nelle mani del figlio acché possa comprendere.<br />

(Fabiano Alborghetti)<br />

E’ di un respiro che si tratta, del continuo sussulto ondulatorio di un torace che racconta di un essere<br />

partorito dal “perfettibile di un uovo” (Marsilio Ficino). Ed è dai simboli primigeni che incalza il<br />

dire, troncato, spezzato, ansimato, poi di nuovo illuminato da parole chiave. Scorre, così, da un lato<br />

la pena, dall’altro l’esorcismo ad essa.<br />

(Gian Ruggero Manzoni)<br />

Laddove la <strong>poesia</strong> del precedente incontrava la filosofia, fino a farle da balia, declinandone i<br />

concetti in versi levigati (mentore Deleuze), qui si aprono sguardi sulla realtà, a partire da un nucleo<br />

intimamente letterario: la <strong>poesia</strong> si specchia nell’intera tradizione in volgare, per cogliere le<br />

rifrangenze del reale, i suoi scorci, le sue pieghe.<br />

(Luigi Metropoli)<br />

Frequenti, e finemente ammaestrati, come in un mirabile concerto per voce sola, sono i cambi di<br />

registro e tono che percorrono l’opera lungo tutto il corso. La lingua di Guglielmin è duttile,<br />

s’insinua sottile come acqua nella roccia, e insistente scava, fino a sfociare in un gorgo di<br />

complessità restituita in tutta la nobile bellezza di una rivelazione che pare palesarsi suo malgrado, e<br />

che pure in questo dispiegarsi sottovoce trova la sua forza espressiva più efficace e dilaniante. E i<br />

riferimenti letterari che innervano e come linfa nutrono i versi di Guglielmin sono dopotutto segni<br />

inequivocabili di un bagaglio meditato, fecondo e presente, ma al tempo stesso condiviso col lettore<br />

in un atto di una consapevole, generosa, matura umiltà.<br />

(Cristina Babino)<br />

È ancora possibile la <strong>poesia</strong>? E prima ancora, che cos’è la <strong>poesia</strong>, quale posto ha nel divenire del<br />

mondo? Questo nuovo libro di Stefano Guglielmin, certamente il più stilisticamente maturo e<br />

complesso, dà una risposta sconcertante, ma che nella sua persuasività sembra essere l’unica<br />

possibile, anzi che sembra essere lì da sempre: la <strong>poesia</strong> è ancora possibile proprio perché è il<br />

divenire stesso del mondo, è l’emblema stesso della continua lotta che caratterizza gli opposti che<br />

fanno essere la realtà. E quale immagine allegorica poteva essere più calzante di quella del fiume?<br />

[…] Il fiume è sempre uguale a se stesso e sempre diverso; il fiume, pur nella sua apparente<br />

orizzontalità e staticità, scorre e cade dall’alto verso il basso; il fiume, pur non ergendosi come un<br />

muro, separa di fatto una riva dall’altra. E attorno al concetto di movimento, cioè di caduta e<br />

separazione, si impernia il libro… “<br />

(Giovanna Frene)

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