popoli e missione sett-ott.pdf
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Mentre il mondo pone di nuovo attenzione alla<br />
questione israelo-palestinese, Moni Ovadia - attore,<br />
scrittore, cantastorie yiddish, poeta, musicista,<br />
cantante – racconta in questa intervista tutta la<br />
pesantezza di un conflitto che non accenna a<br />
concludersi. Nato in Bulgaria, italiano di nazionalità<br />
ed ebreo di origine, Ovadia è convinto che la pace si<br />
realizzerà se gli israeliani sapranno riscoprire le loro<br />
origini e impareranno a vivere sulla propria terra da<br />
stranieri fra stranieri.<br />
di CHIARA PELLICCI<br />
c.pellicci@missioitalia.it<br />
Nelle tante foto che lo ritraggono<br />
sulla scena di un teatro o<br />
davanti a un interlocutore, il<br />
suo sguardo va oltre, mette a fuoco in<br />
lontananza. I suoi occhi hanno una<br />
forza che penetra e scruta, quasi a<br />
voler carpire in un istante tutto quello<br />
che osservano. Anche a tu per tu, nell’incontro<br />
che con disponibilità ci offre<br />
per un’intervista a Popoli e Missione<br />
nel suo appartamento di Milano, Moni<br />
Ovadia – nato nel 1946 in Bulgaria da<br />
una famiglia ebraico-sefardita e trasferitosi<br />
nella città lombarda all’età di<br />
tre anni - sembra attratto da qualcosa che le pareti della stanza non<br />
possono contenere.<br />
Effettivamente per uno che è ora cantastorie yiddish, ora poeta, ora<br />
attore, ora musicista, ora cantante, ora tutto questo insieme ad altro,<br />
non è difficile spaziare con la mente dove ancora le parole non arrivano.<br />
E infatti la conversazione scivola subito sul contenuto del suo ultimo<br />
libro - già, è anche scrittore – intitolato “Il Popolo dell’esilio” (a cura<br />
di Alessio Aringoli, Editori riuniti) da cui scaturisce un concetto esplosivo:<br />
quello della fratellanza universale come specificità dell’ebraismo, in<br />
netta contrapposizione al nazionalismo.<br />
Moni Ovadia è seduto, ma i movimenti, l’espressione del viso e il tono di<br />
voce sanno di teatro, luogo abituale per l’attore impostosi al grande<br />
pubblico sin dal 1993 con lo spettacolo Oylem Goylem, che in yiddish<br />
significa “Il mondo è scemo”. Sul palco della sua cucina,<br />
intorno a un tavolo gigante che invita alla convivialità,<br />
tiene l’attenzione, modula il volume delle parole, alza<br />
l’intensità della voce e l’abbassa, come sul più naturale<br />
dei palcoscenici. »<br />
POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />
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