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64 PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17, 20, 23). Chissà, forse Gesù sentiva come l’unità di quella piccola comunità fosse già minacciata dalla divisione. L’unità influisce in maniera decisiva sulla <strong>missione</strong> e sulla testimonianza dei discepoli al mondo. Gesù prega perché siano una cosa sola «perché il mondo creda che tu mi hai mandato». E poi ancora: «Siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me». Insomma, l’unità della comunità, a qualsiasi livello e in ogni espressione, non è una cosa in più, un’ag- POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011 giunta che può anche non esserci, ma si costituisce come un elemento essenziale del nostro essere discepoli e della crescita della Chiesa. Gli altri crederanno anche nella misura in cui noi siamo uniti. E qui non si tratta solo dell’unità della diverse Chiese e comunità cristiane, a cui si è talvolta relegata l’interpretazione di questo passo evangelico, ma dell’unità di ogni comunità in se stessa e nel suo legame con il corpo della Chiesa. Per questo è necessario esaminare la vita delle nostre comunità, in qualsiasi forma esse si siano costituite, per chiederci in quale misura la preoccupazione dell’unità stia alla base della nostra preghiera e del nostro essere insieme. Talvolta prevale, soprattutto nella vita parrocchiale, un profondo e radicato individualismo, per cui la fede è un fatto privato, che non si incontra che casualmente con gli altri. Manca spesso una tensione verso l’unità, e quindi un impegno per l’unità. Si accetta con naturalezza che ci siano gruppi e individui contrapposti, litigi e fratture insanabili, prepotenze degli uni sugli altri, spartizioni di potere e partiti, divisioni antiche mai sanate. Forse, e bisogna chiederselo, la crisi della <strong>missione</strong> è determinata anche dalla scarsa unità che noi testimoniamo. Mancanza di unità significa mancanza di amore reciproco, mancanza di umanità, di calore umano, di preoccupazione per gli altri, soprattutto per i poveri e i
isognosi. Significa concentrazione su sé stessi e sulle proprie pretese, che si impongono sugli altri, ambizione e ricerca di ruoli e posti da occupare. Quindi divisione e contrapposizione. Soprattutto, mancanza di unità significa uno scarso senso del proprio bisogno del Signore e degli altri, un individualismo esasperato che porta a vivere senza gli altri, un orgoglio di gente che si crede sicura di sé e disprezza o giudica gli altri. Si fa da maestri, magari solo nel proprio cuore, mentre si è poco figli, gente che ascolta il Signore anziché se stessa e si lascia guidare da Lui. L’apostolo Paolo aveva consapevolezza di questo pericolo che correvano le sue comunità. Nella prima lettera ai Corinzi ne parla chiaramente: «Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: ‘Io sono di Paolo’, ‘Io invece sono di Apollo’, ‘Io invece di Cefa’, ‘E io di Cristo’. È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?» (1,10-13). Le divisioni mettono in discussione radicalmente la vita della comunità e il suo stesso fondamento evangelico. Paolo risponde a questa situazione difficile in tutta la lettera, anche affrontando situazioni concrete che avevano portato alla divisione, come nel capitolo dieci la questione dei pasti sacri. Tuttavia è in particolare nel capitolo 12, quando egli affronta il problema dei doni spirituali e dei carismi, che Paolo offre una visione concreta e insieme profonda dell’unità della Chiesa. Qual è la risposta alla diversità umana, ma anche alla diversità dei doni e dei ministeri che noi stessi abbiamo ricevuto da Dio. È il ben noto brano della Chiesa come un corpo. Il parlare dell’apostolo è concreto. Quando in 1 Cor. 12, Paolo parla della necessità di formare un unico corpo, non si riferisce a una prospettiva ideale, ma reale e concreta. INSERTO PUM Il problema di Corinto era l’unità del corpo, la comunione tra membra diverse, tra etnie diverse, tra gente la più differente come origine sociale e cultura. C’erano militari e schiavi, commercianti, ebrei, greci. Dobbiamo abituarci a vedere oltre queste belle immagini della prima lettera ai Corinzi la realtà della comunità. Dio stesso ha disposto «le membra del corpo in modo distinto», ma nessuna parte del corpo può dire di essere autosufficiente e di non avere bisogno delle altre parti. Se una mano, una testa, un occhio dice alle altre membra: «Non ho bisogno di te», quella parte si inaridisce e muore. Sì, talvolta le comunità si inaridiscono, e persino si estinguono, perché ognuno vive per stesso, come se gli altri non esistessero. «Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (12,24-27). Viviamo come un corpo, un noi, un’unità di gente diversa, perché gli altri vedendo come ci amiamo, siano conquistati alla fede nel Signore nostro Gesù Cristo. Così la Chiesa, e ogni nostra comunità, potrà davvero essere «sacramento dell’unità di tutto il genere umano», come ha scritto il Concilio Vaticano II (LG 1). POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011 65
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